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Perché non si lavora di sabato e di domenica

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Per quanto l’idea di dividere l’anno in settimane sia arbitraria, moltissime attività quotidiane si basano proprio su questa ripetizione costante dei sette giorni

A meno che non si viva in una comunità isolata e volontariamente contraria alle regole sociali vigenti, la società contemporanea prevede un concetto del tempo preciso e organizzato, che considera la settimana un’unità di misura fondamentale

S&D

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Per quanto l’idea di dividere l’anno in 52 segmenti di sette giorni sia arbitraria, moltissime attività quotidiane, dal lavoro alla scuola, dalle funzioni religiose alla programmazione televisiva, si basano proprio su questa ripetizione costante dei sette giorni della settimana.

All’interno di questi sette giorni, gli ultimi due sono tradizionalmente dedicati al riposo. Per quanto non manchino le eccezioni, la maggior parte delle attività lavorative si fermano il sabato e la domenica per garantire ai lavoratori e ai loro familiari di disporre come meglio credono del tempo libero.

Eppure quest’organizzazione, che oggi ci sembra assolutamente ovvia e fissata nella nostra concezione del tempo, non è sempre stata così rigida. Lo spiega Katrina Onstad, che ha scritto un articolo al riguardo sul sito Quartz rifacendosi al suo libro The Weekend Effect: The Life-Changing Benefits of Taking Time Off and Challenging the Cult of Overwork.

Secondo Onstad, fino a pochi secoli fa, prima della rivoluzione industriale, i lavoratori svolgevano i propri compiti seguendo le leggi della natura, sia a livello quotidiano che stagionale, ma con l’arrivo delle fabbriche e poi della luce elettrica, i datori di lavoro cercarono di sfruttare ogni minuto a favore di una maggiore produttività.

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, era un’abitudine diffusa quella di non presentarsi a lavoro di lunedì per onorare l’inesistente “San Lunedì”, ma più probabilmente per riprendersi dalla sbronza del giorno prima.

I lavoratori venivano pagati di sabato, frequentavano la chiesa di domenica e spendevano il loro stipendio di lunedì, rinunciando a un giorno di salario pur di avere due giorni consecutivi di libertà.

In seguito si trovò un nuovo compromesso eliminando il “San Lunedì” e offrendo agli operai di lavorare solo mezza giornata al sabato, una nuova modalità che intorno al 1870 era già lo standard.

Nel 1926, poi, una nuova mossa strategica da parte di un notissimo industriale, Henry Ford, cambiò nuovamente le cose, introducendo la settimana lavorativa di cinque giorni, che in realtà voleva essere un incentivo a far sì che nei due giorni rimanenti gli impiegati spendessero soldi, possibilmente in automobili.

Il weekend diventava quindi sia un momento di riposo che un momento dedicato al consumo, una sorta di “trucco” del sistema capitalista per creare desideri che esso può soddisfare.

Diverse altre aziende cominciarono durante la Depressione degli anni Trenta ad adeguarsi alla settimana di cinque giorni, e nel 1938 il Fair Labor Standards Act firmato dal presidente Roosevelt sancì le otto ore quotidiane e quaranta ore settimanali.

Nel 1955 il fine settimana di due giorni era standard in Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti, e negli anni Settanta nessun paese europeo aveva ormai una settimana lavorativa che superasse le quaranta ore, e tutti osservavano il fine settimana.

In culture non occidentali, come nel Medio Oriente, i weekend sono solitamente composti dal venerdì e dal sabato, almeno a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, e anche se alcuni paesi del Golfo e del Nord Africa avevano invece scelto il giovedì e venerdì come giorni di riposo, la globalizzazione ha favorito un’uniformità.

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