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Home » Esteri

In Myanmar non si respira: la repressione dei militari aggrava la pandemia e scatena la corsa all’ossigeno

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In Myanmar non si respira: negli ospedali e nelle case per la mancanza di ossigeno necessario ai pazienti Covid e in tutto il Paese a causa del giro di vite della giunta militare guidata dal generale Min Aung Hlaing, salita al potere con il golpe di febbraio, che ha certamente aggravato la situazione epidemiologica locale.

Sebbene non siano disponibili dati affidabili, le cifre ufficiali mostrano come il nuovo Coronavirus abbia ormai raggiunto ogni angolo del Myanmar, dove l’esercito ha vietato la vendita di bombole di ossigeno al pubblico, riservandone la fornitura alle strutture sanitarie controllate dai militari e chiudendo le farmacie che infrangono il bando. Nonostante i numeri ufficiali delle infezioni siano tutto sommato contenuti rispetto ad esempio alla vicina India, le autorità hanno imposto il lockdown in ben 74 territori locali, dimostrando la gravità della crisi in corso.

Ufficialmente, il numero totale dei casi di contagio da Covid-19 nel Paese asiatico è arrivato a 201.274, compresi 5.014 decessi. Eppure, la grave congestione degli ospedali causata dal colpo di stato militare e dalle conseguenti proteste che insanguinano il Myanmar da oltre cinque mesi hanno ridotto nel caos sia la campagna vaccinale che quella per i test.

Tanto che i dati ufficiali sono considerati sensibilmente sottostimati, mentre il contagio è ormai diffuso a livello nazionale. Secondo il portale locale online Irrawaddy, le infezioni sono state segnalate nel 90 per cento dei distretti cittadini del Paese, mentre la capacità di identificare i positivi è fortemente limitata.

Tra le persone sottoposte a tampone, ha dichiarato ieri il Relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Myanmar, Tom Andrews, “un allarmante 26 per cento è risultato positivo”. Secondo l’esperto indipendente dell’Onu, così il Paese asiatico è a “grave rischio di diventare uno Stato super-diffusore della Covid-19“, con un impatto su un numero incalcolabile di persone sia all’interno che all’esterno dei propri confini.

“La crisi in Myanmar è particolarmente letale a causa della pervasiva sfiducia nei confronti della giunta militare”, ha affermato in una nota Andrews, secondo cui alla giunta “mancano le risorse, le capacità e la legittimità” per riportare la crisi sotto controllo. Un effetto prevedibile dopo cinque mesi di repressione che, secondo gli ultimi dati dell’Associazione birmana di assistenza ai prigionieri politici (Aapp), ha provocato almeno 906 morti, 6.676 arresti arbitrari, 5.239 condanne per reati politici e 1.963 mandati di cattura per oppositori in fuga.

La corsa all’ossigeno in Myanmar

Il problema, oltre che sanitario, è strettamente di natura politica. I cittadini sono infatti costretti a scegliere se recarsi nelle strutture mediche presidiate dai militari o rischiare di diffondere il contagio tra parenti e amici, curandosi a casa. La giunta sfrutta infatti il filtro alle cure sanitarie per arrestare gli oppositori e non solo. Dal golpe di febbraio, in Myanmar sono stati infatti arrestati almeno 157 tra medici e operatori sanitari, mentre altre centinaia risultano ricercati.

Attualmente gli ospedali birmani devono far fronte a una grave carenza di forniture di ossigeno e alla disperata mancanza di personale e unità di terapia intensiva, malgrado i militari abbiano riservato ai nosocomi tutte le scorte disponibili. L’impossibilità di accedere ai ricoveri, per la congestione delle strutture o per evitare di essere arrestati, ha così obbligato la popolazione a tentare di acquistare l’ossigeno privatamente, sfidando i divieti e provocando gravissimi incidenti come quello accaduto all’inizio della settimana a South Dagon, nella città di Yangon, dove un gruppo di soldati ha aperto il fuoco su una folla di persone in fila per acquistare ossigeno.

La situazione si è fatta incandescente, alimentando quella che il Relatore speciale delle Nazioni Unite Tom Andrews ha definito una “tempesta perfetta” abbattutasi sul Paese asiatico, stretto tra la pandemia e la repressione seguita al colpo di stato. Secondo Joy Singhal, responsabile della delegazione in Myanmar della Federazione internazionale delle Società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (FICR), la domanda di ossigeno e servizi sanitari è in aumento a causa della crescita dei casi di infezione e delle nuove varianti virali sempre più infettive in circolazione.

“Temiamo che l’aumento del numero dei contagi possa essere solo la punta di un iceberg”, ha dichiarato Singhal a Reuters. “L’accesso agli ospedali e all’assistenza sanitaria è limitato in gran parte del Paese”. Non solo: anche le centinaia di migliaia di sfollati dovuti alle violenze compiute dai militari negli ultimi mesi espongono la popolazione birmana al rischio ancora maggiore di contrarre il virus, complicando ulteriormente l’accesso a un’assistenza sanitaria adeguata.

Inoltre, il Relatore speciale delle Nazioni Unite Tom Andrews ha lanciato l’allarme sui rischi corsi dalle comunità birmane più vulnerabili, in primis i prigionieri politici detenuti in strutture sovraffollate. “La popolazione carceraria del Myanmar, comprese le migliaia di prigionieri politici detenuti arbitrariamente dal golpe di febbraio, è in grave pericolo”, ha avvertito l’esperto indipendente dell’Onu. “I prigionieri, in particolare quelli affetti da patologie pregresse, potrebbero vedere la propria detenzione trasformarsi in una condanna a morte“.

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