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La marea umana che ha invaso Londra per dire sì all’Europa: mai così tanta gente dai tempi della guerra in Iraq

Immagine di copertina
Credit: WIktor Szymanowicz/NurPhoto

“Un milione in piazza a #Londra per chiedere un secondo voto. Non è facile rimettere il dentifricio nel tubetto, ma nulla è impossibile di fronte al disastro #Brexit”. Lo scrive con un tweet il Presidente del Pd, Paolo Gentiloni che commenta così il fiume di persone che sabato 23 marzo ha invaso le strade di Londra per ribadire il proprio no alla Brexit e chiedere ntanto un secondo referendum sulla Brexit.

S&D

Nella capitale britannica non si vedeva così tanta gente dai tempi delle marce contro la guerra in Iraq, nel 2003. E intanto la petizione on-line per chiedere che il governo fermi la Brexit è arrivata a 4 milioni e mezzo di firme.

Credit:WIktor Szymanowicz/NurPhoto

Il 23 marzo inoltre sono state raccolte 4,3 milioni di firme tramite una petizione online in cui si chiede al Parlamento britannico la revoca dell’articolo 50, secondo quanto riportato dai media locali.

I promotori della piattaforma “People’s Vote” hanno reso noti i dati e hanno affermato che si tratta di una partecipazione “straordinaria”.

Credit:  WIktor Szymanowicz/NurPhoto

Lo stesso appello era stato lanciato anche nel 2016, ma non aveva ottenuto lo stesso sostegno da parte dei cittadini britannici.

Nonostante l’alto numero di firme e le proteste dei cittadini per le strade del paese, il Governo britannico non sembra intenzionato ad accontentare i manifestanti.

Theresa May scrive ai deputati di Westminster: un terzo voto sull’accordo per la Brexit raggiunto con l’Ue potrebbe non esserci se mancherà il necessario sostegno. Con tutte le conseguenze del caso.

A questo link abbiamo spiegato tutti gli scenari possibili sulla Brexit dopo la bocciatura da parte della Camera dei comuni dell’uscita dall’Ue senza un accordo.

Credit: WIktor Szymanowicz/NurPhoto

La possibilità che non si voti l’accordo, già sonoramente bocciato due volte, rientra tra le opzioni: in quel caso Londra chiederebbe prima del 12 aprile (data per il rinvio breve concesso dall’Ue rispetto alla scadenza del 29 marzo) una proroga più estesa dell’articolo 50 e i cittadini del Regno Unito sarebbero costretti a votare alle elezioni europee del 26 maggio.

Più volte la premier May si è detta convinta di voler andare fino in fondo, affermando che revocare la Brexit sarebbe “un’irreparabile danno alla democrazia” e “un tradimento” della volontà popolare espressa nel 2016.

Dello stesso parere anche il viceministro per la Brexit Kvasi Kwarteng: “Non sta a una petizione cancellare l’esito di un referendum”.

“Il suo approccio è stato tremendo, ha perso la fiducia anche degli europei. Torniamo al voto”, è stato invece il commento del sindaco di Londra. “La Brexit ci rende più deboli, non più forti. In tanti pensano che la Brexit sia il caos più totale”.

Parole non lontane dalla realtà dei fatti. L’ultimo Consiglio europeo si è concluso con una proroga della Brexit, concessa dai paesi membri dopo una lunga trattativa.

La settimana prossima il parlamento britannico dovrà votare nuovamente l’accordo di Theresa May: se la premier riuscirà a convincere in extremis i deputati che il suo accordo è meglio del caos, allora l’Ue concederà una proroga “tecnica” fino al 22 maggio.

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