In Libano la più grave crisi economica al mondo degli ultimi 70 anni, ma nessuno ne parla
In Libano la più grave crisi economica al mondo degli ultimi 70 anni
Più grave di quella dell’Argentina e di quella valutaria della Russia: la crisi economica che si sta consumando in Libano è la peggiore della storia mondiale degli ultimi 70 anni. Eppure le storie dei cittadini libanesi, costretti a convivere con una svalutazione della moneta che ha raggiunto il 90% e un’inflazione superiore all’80%, non hanno conquistato le pagine dei giornali o i servizi delle Tv, almeno fino a quando il primo ministro, Hassan Diab, non ha iniziato a parlare apertamente di rischio di “esplosione sociale”.
Le immagini che arrivano da Beirut mostrano un Paese con cittadini stremati, costretti a lunghe file per poter acquistare gasolio, un Paese in cui oltre il 70% delle famiglie non ha abbastanza cibo e dove oggi scarseggiano anche le medicine. Subire una svalutazione del 90% significa perdere praticamente tutto.
Questa è una crisi che ha origini lontane e vicine nel tempo. Il Libano vive oggi le conseguenze di un processo iniziato quasi dieci anni fa, dopo un periodo di fortissima crescita economica che aveva portato il Paese a raddoppiare il Pil pro-capite dal 2000 al 2010.
Successivamente diversi fattori macroeconomici e politici hanno contribuito a invertire il trend, fino ad arrivare ad un drastico crollo del Prodotto interno lordo e all’iperinflazione. Tra questi fattori, la ridotta capacità industriale, la corruzione, alcuni avvenimenti esogeni (come la guerra in Siria e la difficile gestione di oltre 3 milioni di profughi), il conflitto con Israele (con relativa pressione geopolitica) e, infine, l’esplosione nel porto di Beirut e il Covid-19.
Un dramma che stanno vivendo i cittadini nel Paese ma anche gli oltre 4 milioni di libanesi che vivono all’estero (una popolazione superiore a quella di origine), costretti a convivere con il dramma di una svalutazione monetaria che distrugge il potere di acquisto in patria e all’estero.
Crisi Libano: blocco dei conti correnti e instabilità politica
Nell’ottobre del 2020 il Governo ha imposto il capital control, ovvero il blocco dei flussi bancari. Tradotto: i soldi nelle banche non si spostano e non si toccano. L’obiettivo è quello di ridurre la fuga di capitali, come accaduto durante le crisi in Argentina o la crisi bancaria di Cipro del 2012.
Si cerca inoltre il supporto del Fondo monetario internazionale (Fmi) e quello dei Paesi amici, in una condizione di instabilità politica dettata dal fatto che il primo ministro Diab è stato a capo di un governo ad interim per dieci mesi, a seguito dell’esplosione al porto di Beirut, per il quale è stato accusato di negligenza e responsabilità politica e personale.
Al momento sembra farsi strada l’ipotesi di un nuovo governo, con a capo l’ex premier Saad Hariri, figlio dello storico ex primo ministro Rafic Hariri, ma la strada è tutta in salita. A pesare sono il rapporto non idilliaco con il presidente della Repubblica e relazioni non molto solidi con l’Arabia Saudita, il partner più ricercato per la rinascita economica.
Un passato glorioso, un futuro più incerto
Un Paese che era abituato a crescere, a essere al centro della scena internazionale e ad avere politiche economiche rispettate in tutto il mondo si trova oggi di fronte ad una crisi economica peggiorata dall’attuale condizione sanitaria e dall’instabilità politica.
La storia del Libano è però ricca di episodi di rinascita e di resilienza. Una rinascita che il popolo libanese, sceso in strada per chiedere di porre fine alla corruzione e avviare una nuova fase politica, non sta smettendo di cercare.