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La festa dei colori delle vedove

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Le vedove indiane vivono spesso una condizione di umiliazione e povertà. Una Ong ha organizzato per loro la festa di Holi

Quest’anno, per la prima volta, le vedove di Vrindavan hanno celebrato la Holi, la festa induista dei colori che segna l’inizio della primavera. Un passo simbolico e di rottura con la tradizione, che condanna le donne a una vita di umiliazione e solitudine e alla morte del marito.

In molte zone rurali del subcontinente, diventare vedova significa perdere, oltre al proprio uomo, anche la dignità e i diritti. Nell’India del boom economico, di Bollywood e dell’Information Technology, le vedove sono una comunità invisibile, emarginate da una società patriarcale e stigmatizzate da antiche superstizioni: si dice che calpestare l’ombra di una vedova porti sfortuna, o che la sua presenza sia di cattivo auspicio durante feste e matrimoni. Alcuni non pronunciano neanche la parola vidhwa, in hindi.

Allontanate dalla famiglia e abbandonate a loro stesse, molte vedove cercano rifugio nella città sacra di Vrindavan, a 150 chilometri dalla capitale, dove si crede che Krishna abbia trascorso l’infanzia. Migliaia di donne con la testa rasata e fasciate nel tradizionale sari bianco, il colore del lutto, finiscono a vivere negli ashram della cittadina sulle rive dello Yamuna. Con una pensione di 300 rupie al mese (circa cinque euro), molte sono costrette a fare l’elemosina o a cantare bhajan, i canti religiosi nei templi, in cambio di qualche rupia al giorno, appena sufficiente per comprare un pugno di riso e lenticchie.

La loro devozione per Radha Krishna – una delle reincarnazioni del dio Vishnu – le porta a credere che morendo nella città del dio dell’amore conquisteranno la ‘moksha’, la liberazione dal ciclo delle reincarnazioni. Pregano e aspettano la morte, unica salvezza dalla condizione di paria cui l’essere vedova le ha costrette.

Lo scorso agosto la Corte Suprema era stata allertata circa le condizioni di vita delle migliaia di vedove che vivono negli ashram gestiti dal governo a Vrindavan. Un’indagine della Nalsa (National Legal Services Authority) aveva portato alla luce una pratica che ha scosso l’opinione pubblica indiana: alla morte delle vedove, per mancanza di fondi tali da assicurare un ultimo rito dignitoso, i corpi venivano tagliati a pezzi, risposti in sacchi di juta e gettati nel fiume da uno spazzino.

Il fatto, confermato dai principali media locali, ha spinto la Corte a chiedere l’intervento di diverse organizzazioni indiane, tra le quali Sulabh International, una Ngo che dagli anni Settanta si batte per i diritti degli intoccabili e la diffusione dei servizi igienici in India. L’appello della Corte non è rimasto lettera morta.

“Non avrei mai pensato di occuparmi un giorno delle vedove: non si tratta di un ambito di mia competenza”, racconta Bindeshwar Pathak, fondatore di Sulabh, “ma quando ho visto le condizioni di vita di queste donne, cui è stato tolto tutto, anche la dignità, non ho saputo rifiutare”.

Ed è così che, attingendo alle casse della sua organizzazione, ha accolto il mandato della Corte: ha preso in gestione cinque ashram del governo, ha organizzato corsi e lezioni di hindi e bengali per le donne analfabete, ha messo a disposizione cinque ambulanze, un medico e 2 mila rupie al mese per ognuna delle oltre 600 vedove dei suoi ashram.

“In questi mesi ho capito che anche loro, pur se in maniera diversa, sono delle intoccabili, vittime innocenti delle contraddizioni della società indiana”, spiega con il suo tono pacato, poco prima di arrivare al Meera Sahbhagini ashram, uno dei cinque da lui ‘adottati’.

Sulla soglia del vecchio ashram nascosto tra i vialetti labirintici di Vrindavan, una folla di centinaia di vedove in sari bianchi inamidati lo attende come un messia. Oggi, le porte dell’ashram sono aperte e la musica rimbomba dall’atrio dove le donne, sedute a gruppetti sul pavimento, staccano petali dai fiori raccogliendoli in grembo.

I mantra a Krishna, accompagnati da ritmi ipnotici e coinvolgenti, riempiono questi spazi di solito vuoti. Le vedove iniziano a ballare, lanciando in aria polveri colorate e fiori, una pioggia di petali rossi, gialli e arancioni. Si tengono per mano urlando “Holi hai! Holi hai” e “Radhe! Radhe!”, con le braccia rivolte al cielo. Le più anziane, ricurve sui loro bastoni, si tengono ai lati; qualcuna ha la bocca increspata da un sorriso, qualche altra ha il viso rigato dalle lacrime, forse in ricordo dei giorni passati. Oggi anche i loro sari bianchi sono macchiati dei colori della Holi.

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