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La campagna del governo cinese per impedire alle donne musulmane dello Xinjiang di avere figli

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Donne uigure protestano a Urumqi, capoluogo della regione autonoma dello Xinjiang in Cina, il 7 luglio 2009, giorno successivo agli scontri in cui hanno perso la vita più di 140 persone. Credit: EPA/DIEGO AZUBEL

Mentre il governo cinese incentiva le donne di tutto il paese ad avere più figli, quelle appartenenti alle minoranze musulmane dello Xinjiang vengono spinte a usare contraccettivi tramite procedure invasive o a subire interventi di sterilizzazione

La campagna del governo cinese per impedire alle donne musulmane dello Xinjiang di avere figli

Le autorità cinesi stanno usando metodi invasivi per sterilizzare donne di etnia uigura, uzbeka o kazaka nello Xinjiang o costringerle a usare contraccettivi, allo scopo di ridurre il numero di persone appartenenti a minoranze musulmane nella regione nordoccidentale della Cina. Lo afferma il New York Times in un’inchiesta, che tramite interviste e analisi di fonti ufficiali ricostruisce lo “sforzo coercitivo” del Partito comunista cinese per controllare i diritti riproduttivi delle donne. Negli ultimi mesi le violazioni dei diritti delle minoranze musulmane nella regione nordoccidentale cinese hanno portato diversi paesi occidentali, tra cui i membri dell’Unione Europea, a imporre sanzioni contro la Cina. Le sterilizzazioni sono state citate anche dal G7 la scorsa settimana in una nota che esprime profonda preoccupazione per le violazioni dei diritti umani subite dagli uiguri.

S&D

Secondo le testimonianze raccolte dal quotidiano statunitense, le autorità locali dello Xinjiang costringono le donne appartenenti a minoranze etniche a farsi inserire spirali intrauterine o sterilizzarsi, inviando funzionari a visitarle o anche vivere con loro dopo l’intervento per valutare se le famiglie mostrano segni di “comportamenti estremisti”. L’articolo riprende la testimonianza di Qelbinur Sedik, già intervistata dal Guardian, che afferma di essere stata costretta a subire procedure invasive all’età di quasi 50 anni, nonostante avesse già rispettato il limite di un solo figlio imposto dal governo.

“Non rischiare con la vita”

In alcuni messaggi che Sedik ha mostrato al quotidiano, le autorità locali chiedono alle donne di età compresa tra 18 e 59 anni di sottoporsi a visite per l’accertamento di gravidanze e il controllo delle nascite, affermando che chi non vuole sottoporvisi potrebbe essere portato alla stazione di polizia.“Non rischiare con la vita”, riporta uno dei messaggi inviati da un funzionario locale, che invita le donne a “non provarci nemmeno”.

Prima di lasciare la Cina, Sedik ha scelto di farsi inserire una spirale, poi rimossa segretamente per le perdite di sangue e i mal di testa che le causava, decidendo di sottoporsi a un intervento per farsi sterilizzare. Dopo l’operazione la donna di etnia uzbeka ha iniziato a ricevere visite regolari in casa da parte del capo di suo marito, affermando di aver rifiutato avance sessuali nonostante il timore di essere additata come estremista.

Chi si rifiuta di essere sottoposto a queste misure, è costretto a pagare multe salate o essere internato in centri di detenzione, dove secondo il New York Times, le donne sono esposte al rischio di subire abusi. Tre ex detenute nello Xinjiang hanno dichiarato al quotidiano di aver conosciuto nei campi altre donne che vi erano state rinchiuse per aver violato le restrizioni sulle nascite. Hanno inoltre affermato, insieme ad altre due ex detenute, di essere state costrette regolarmente a prendere pillole o a ricevere iniezioni che le causavano nausea e affaticamento e in alcuni casi hanno interrotto le mestruazioni. Una delle donne intervistate ha dichiarato di aver subito uno stupro da tre uomini dal volto coperto, mentre un’altra ha dichiarato di essere stata molestata durante un interrogatorio. Le autorità cinesi smentiscono fermamente che nei campi si verifichino episodi di tortura o abusi e affermano che le donne sono libere di scegliere i metodi contraccettivi da usare.

Crollo delle nascite nello Xinjiang

Secondo i dati ufficiali del governo cinese, le restrizioni imposte dal governo hanno portato a un crollo di oltre il 60 percento delle nascite in alcune contee a maggioranze uigura dello Xinjiang tra il 2015 e il 2018, ultimo anno in cui sono disponibili statistiche a livello di contea, a fronte di un calo a livello nazionale del 4,2% nello stesso periodo.

Le restrizioni sono solo alcune delle misure introdotte dal 2009 nello Xinjiang per reprimere il separatismo a seguito di episodi di violenza e aggressioni di matrice etnica. Negli ultimi anni la Cina è stata accusata di aver sottoposto gli uiguri a torture e lavori forzati, trasferendo centinaia di migliaia di persone all’interno di campi di rieducazione per spingerli ad abbandonare la religione islamica e favorendo allo stesso tempo l’afflusso nella regione nordoccidentale di cittadini di etnia Han, maggioritaria nel paese.

Incentivi nel resto della Cina

Il tentativo di contenere le nascite nello Xinjiang è in controtendenza con le politiche promosse a livello nazionale in Cina, dove negli ultimi anni le autorità hanno tentato di incentivare l’allargamento delle famiglie per contenere le conseguenze demografiche della “politica del figlio unico” introdotta a fine anni ’70.

A marzo, la banca centrale cinese ha chiesto che l’abolizione di tutte le restrizioni sulle nascita e di rimuovere tutti gli ostacoli che le donne incontrano “durante la gravidanza, il parto e l’iscrizione all’asilo e alla scuola con ogni mezzo”.

Secondo i dati dell’ultimo censimento, pubblicati martedì 11 maggio, la crescita della popolazione nell’ultimo decennio è scesa allo 0,53 percento. Nel 2020 sono nati 12 milioni di bambini nel paese, quasi ai minimi degli ultimi sei decenni e un calo del 18 percento rispetto all’anno precedente.

Leggi anche: 1. L’Ue sanziona la Cina per la prima volta da Piazza Tienanmen. Pechino mette in lista nera 10 eurodeputati / 2. La Cina oscura la Bbc per “grave violazione”: la replica dell’emittente britannica / 3. Usa, la Camera approva una legge contro la persecuzione della minoranza musulmana degli uiguri in Cina

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