Vittorio Emanuele Parsi spiega a TPI: “Il gioco d’azzardo senza scrupoli di Netanyahu a Teheran”

“Il premier israeliano deve distogliere l’attenzione non solo da Gaza ma dai suoi problemi politici e processuali. Trump? Con lui gli Usa non sono più credibili”. Il professore spiega a TPI gli effetti dell’ultima guerra in Medio Oriente
Professor Parsi perché Israele ha attaccato l’Iran proprio ora?
«Per troncare qualsiasi ipotesi di una trattativa diretta tra Washington e Teheran che avrebbe potuto, anche se in maniera molto remota e ipotetica, segnare una strada diversa nella questione del nucleare iraniano. Dico ipotetica perché Trump distrusse il “Plan of Action” del 2015. Netanyahu ha un problema fondamentale che è quello di mostrare alla sua opinione pubblica un successo, dal suo punto di vista, politico, diplomatico e militare dopo il disastro del 7 ottobre 2023 di cui lui è principale responsabile sulla parte israeliana visto che, in termini politici, ha criminalmente orientato tutti gli apparati di vigilanza del Paese a sostegno delle colonie legali in Cisgiordania. Ha prodotto quel genocidio che di fatto è in atto a Gaza dividendo l’opinione pubblica a livello internazionale. Ora ha scelto di attaccare l’Iran perché sul piano interno gli israeliani sono convinti, in parte con ragione, che l’Iran costituisca una minaccia nei loro confronti e sul piano internazionale perché sa che toccare la questione atomica dell’Iran e mettere il mondo di fronte a un fatto compiuto, ovvero Israele contro Iran, avrebbe riallineato le cancellerie europee che invece erano molto critiche sulla conduzione criminale della campagna di Gaza. E poi è riuscito nell’impresa a cui teneva di più, ovvero trascinare gli Stati Uniti nella sua guerra. Dal suo punto di vista, ha ottenuto un grandissimo successo».
L’intervento di Netanyahu serve anche a oscurare la guerra a Gaza e a distogliere l’opinione pubblica dai bombardamenti nella Striscia?
«È un dato di fatto, di Gaza chi ne parla più? Ci sono quasi 100 morti al giorno. Chi parla più dell’Ucraina? In cui il massacro e l’aggressione putiniana continuano. Si parla solo di questo, tutto il resto è sparito. Oltretutto in termini di interessi italiani ed europei consente a tutte quelle forze politiche, che sono incapaci di articolare una linea coerente, di poter lavorare contro l’implementazione delle difesa europea mettendo in un solo calderone la resistenza dell’Ucraina all’aggressione di Putin, il massacro di Gaza, la guerra all’Iran. Tutto viene condannato nel nome di un generico e comodo “no alla guerra”. Che è come dire “no alla cellulite”. Così come la maggioranza ha problemi a tenere una linea comune, basti pensare a Salvini che, come sappiamo, è grande amicane di Putin, dall’altra l’opposizione ha un problema con la capacità di Schlein di articolare una linea coerente ed essere sempre all’inseguimento di Conte che sappiamo essere un opportunista che adesso si atteggia a paladino della sinistra ma che in passato era al governo con Salvini in un esecutivo che fece le leggi contro i migranti».
Cosa cambia dopo l’intervento degli Usa?
«È un ulteriore picconata sul sistema di regole e alle istituzioni internazionali. Non è possibile immaginare una guerra nei confronti di qualcuno sulla base di alcuni sospetti, in parte fondati in parte completamente in aria, bypassando le procedure da prassi. Un presidente che dice che dà due settimane di tempo all’interlocutore e poi lo attacca dopo tre giorni mina anche la credibilità del suo Paese, almeno fino a quando ci sarà lui: questa è la conseguenza più disastrosa. Poi legittima in maniera ulteriore quello che ha fatto Putin in Ucraina e quello che sta facendo Netanyahu a Gaza. Quello di Trump è un comportamento irricevibile».
In Ucraina così come a Gaza e in Iran gli Usa non sembrano avere più la forza di mediare. Siamo di fronte a una perdita di credibilità?
«Stanno distruggendo un sistema di regole e di istituzioni che essi stessi hanno costruito nel Dopoguerra e che ha servito così bene gli interessi degli Stati Uniti oltre che gli interessi del sistema internazionale. La sensazione è che Trump nella sua foga anti-liberal, che lo porta a colpire tutto ciò che di liberal è stato fatto negli ultimi settant’anni, prenda di mira il sistema internazionale semplicemente come una parte di questo. Così come cerca di smantellare il sistema delle libertà costituzionali in America, contemporaneamente si lancia con la furia negli occhi contro quelli che lui ritiene monumenti a una visione della vita, della politica e del mondo che per lui è inaccettabile. Si dimentica che il “soft power” come lo chiamava Joseph Nye è la fonte principale non tanto del potere degli Stati Uniti ma della capacità degli Usa con il loro potere di non aver trovato un’opposizione significativa per tanti decenni».
La guerra in Iran non rischia di gettare ancora di più l’intero Medio Oriente nel caos esponendo Israele stessa ad ancora più pericoli?
«Assolutamente si, ma Netanyahu, che in questo è molto simile a Putin e Trump, è un giocatore d’azzardo privo di scrupoli. Ragiona, così come tutti quelli con l’acqua alla gola, sull’immediato senza farsi grandi preoccupazioni. Lui può presentare questa guerra come quella che risolverà, se sarà portata fino in fondo, la questione della minaccia iraniana e far dimenticare che è inquisito e sotto processo per corruzione. Il primo ministro israeliano è accusato di aver rubato i soldi, anche sulle forniture militari, al popolo israeliano. È accusato di essere un ladro. Ed è al governo con un branco di razzisti, suprematisti e fascistoidi israeliani che pensano che gli arabi siano esseri inferiori e che professano la liberazione di Gaza dalla presenza palestinese e l’occupazione totale della Cisgiordania. La sicurezza di Israele è sacra, come quella di qualsiasi altro popolo, dentro i confini del 1967, non un metro di più non uno di meno. Finché Israele occupa la Cisgiordania non ha diritto a nessuna speciale sicurezza perché è una forza occupante. E contro una forza occupante il diritto internazionale prevede la resistenza armata».
Si continua a parlare della possibilità di un rovesciamento di regime in Iran. Il rischio, visti anche i precedenti, non è quello di gettare Teheran completamente nel caos?
«Cosa sia una priorità nella testa di Netanyahu è difficile capirlo perché il premier israeliano cambia idea ogni due per tre. Un cambiamento di regime è un’operazione estremamente complicata che richiede molto di più che dei bombardamenti aerei. Abbiamo visto come operazioni simili condotte in Libia, Siria, Afghanistan o Iraq abbiano prodotto o nessun risultato o pessimi risultati anche quando erano motivati da buone intenzioni e legittime motivazioni come nel caso dell’Afghanistan del 2011. Questo rischia di essere un problema in più per il movimento della società civile iraniana che vuole liberarsi di questo regime sessuologo, maschilista, oppressivo e assassino che in questo momento è attaccato da un altro regime, altrettanto ossessionato dalla religione e razzista».
L’Europa è ancora una volta spettatrice non protagonista.
«L’Europa è di fronte a un cambiamento totale di quello che era lo scenario internazionale. Siccome non bastava l’aggressione militare della Russia all’Ucraina, ora abbiamo anche un’amministrazione americana che sceglie di blandire l’aggressore e di mortificare non solo l’aggredito ma anche gli alleati europei. Il modo sprezzante con cui Trump il giorno prima dell’aggressione all’Iran ha sottolineato l’inutilità dell’Europa ci dice come siamo messi. La leadership europea deve prendere atto di questo che non significa né rassegnarsi né dire che non può fare niente. Significa che l’Europa deve prendere atto del fatto che il principale alleato si è riallineato in questa maniera e deve quindi modificare le sue politiche».