Esclusivo TPI – “Qui non c’è più spazio per vivere”: lo straziante racconto da Gaza di un operatore umanitario

La Striscia è ormai un deserto di rovine. Adulti e bambini si aggirano come fantasmi alla ricerca di cibo dopo oltre 75 giorni di blocco degli aiuti da parte di Israele. Marco uno dei pochi operatori umanitari ancora presenti racconta cosa resta della popolazione
«È uno scenario altamente catastrofico, in tante missioni che ho fatto tra Siria, Yemen, Afghanistan, Ucraina, Iraq, non ho mai visto nulla di simile. È tutto completamente distrutto, per oltre 75 giorni non è entrato un granello di farina, nulla. Le città più grandi sono state rase al suolo. Rafah, Khan Younis, Gaza City non esistono più. L’80 per cento delle maggiori città della Striscia sono state distrutte dagli attacchi di Israele. La gente vive per strada, trovi tende allestite nelle rotonde, sui marciapiedi, tra le macerie. Non c’è più spazio fisico per vivere». A raccontarlo a TPI è Marco, nome di fantasia che utilizziamo per proteggere l’incolumità di uno dei pochi operatori umanitari ancora presenti nel territorio costiero palestinese. Il racconto che ci fornisce è interrotto dal fragore delle bombe, un frastuono che si ripete ogni tre o quattro minuti al massimo. Con una intensità impressionante, Israele martella la Striscia portando avanti il piano di occupazione totale del territorio costiero annunciato lo scorso 5 maggio.
Benvenuti all’inferno
Sin dall’inizio dell’invasione, nell’ottobre del 2023, Israele aveva occupato quella che aveva chiamato una “zona cuscinetto”, un’area lungo il confine che doveva servire, nelle intenzioni dichiarate dall’esercito, a proteggere lo Stato ebraico da eventuali attacchi. Quest’area, inizialmente, era larga circa 300 metri ma, nel corso della guerra, si è espansa notevolmente, fino a inglobare alcune cittadine e a raggiungere la periferia di due importanti zone urbane: Gaza, a nord, e Rafah, a sud.
Complessivamente, oltre il 70 per cento della Striscia è sotto il controllo israeliano o coperto da ordini emessi da Israele che impongono ai civili palestinesi di evacuare quartieri specifici. Nelle ultime settimane lo Stato ebraico ha bombardato ospedali, scuole, moschee e rifugi umanitari. Nei piani del premier Benjamin Netanyahu, la popolazione palestinese dovrebbe essere costretta a spostarsi nella parte meridionale della Striscia, oppure ad andarsene definitivamente. Per chi sopravvive, da marzo, quando il governo Netanyahu ha violato la tregua ricominciando a bombardare l’enclave palestinese, il bilancio è da record: uccisi 950 minori, quasi 20 mila dall’inizio dei bombardamenti.
Con gli occhi delle vittime
«Pronto? Mi senti? Ecco un’altra bella bomba, non so se l’hai sentita», la conversazione con Marco si fa via via più complessa. «La situazione è al collasso, hanno distrutto quasi tutti gli ospedali, non entra nessuna fornitura medica e ciò che può entrare, fin dall’inizio dell’attacco, è ben selezionato. Non entra il cemento, così non si possono ricostruire i palazzi. Non entrano i generatori di elettricità. Ormai la gente passa tutta la giornata a cercare cibo, i bambini sono in giro con le pentole vuote per capire dove poter mangiare. I panifici sono chiusi, le ong non hanno più scorte e hanno smesso di distribuire alimenti. Il World Food Programme pure. Qualcuno riesce ancora a seminare qualche seme di pomodoro, di patata. Ora è il tempo della raccolta, ma i prezzi sono schizzati alle stelle. Ti costano 30-40 euro. Nessuno può permetterseli. Magari qualche piccolo quartiere ha ancora qualcosa, ma è come dire che in tutta Roma è rimasto un solo fruttivendolo».
La situazione umanitaria ha raggiunto uno degli stadi peggiori dall’inizio della guerra. Ricordiamo che da inizio marzo, Israele ha tenuto bloccato l’ingresso di acqua potabile, cibo e medicine all’interno della Striscia, beni che sono diventati pressoché introvabili. Le principali organizzazioni che si occupano di fornire cibo nella Striscia, il World Food Programme dell’Onu e l’ong World Central Kitchen, dicono di aver finito le scorte.
Ora, sotto le forti pressioni arrivate dagli Usa, il primo ministro israeliano ha annunciato, con effetto immediato, la ripresa degli aiuti umanitari a Gaza. Sono ancora pochi camion rispetto alle reali esigenze della popolazione. Il cibo non è trattenuto per caso: è razionato con precisione matematica. Per evitare qualsiasi malinteso, infatti, il 19 maggio, Netanyahu ha pubblicato un video rivolto ai suoi concittadini, chiarendo che gli aiuti sono stati autorizzati solo per ragioni diplomatiche e per mantenere il sostegno internazionale. «I nostri migliori amici nel mondo, persone del cui sostegno a Israele sono certo, ci hanno detto che non potrebbero più appoggiarci se le immagini di una carestia circolassero liberamente. Dobbiamo evitarla per motivi pratici e diplomatici. Senza il sostegno (della comunità) internazionale non potremmo proseguire la nostra missione fino alla vittoria». Poi ha aggiunto: «Siamo impegnati in combattimenti intensi e su vasta scala a Gaza e stiamo avanzando. Abbiamo intenzione di assumere il controllo di tutto il territorio». Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha rincarato la dose: «Israele distruggerà tutto ciò che resta della Striscia di Gaza».
Di fronte a tutto questo, si fa fatica a immaginare la reazione di persone imprigionate in un fazzoletto di terra da cui è impossibile fuggire. Tuttavia Marco ci racconta di un popolo in grado di mantenere una grande pace interiore, una rassegnazione. «Non sono animati da questo odio contro Israele. Sperano solo che cambi il governo e che la gente possa capire che anche loro hanno diritto a sopravvivere. Hanno una lucidità e una pacatezza, è assurdo dirlo, ma si sono abituati a vedere scene terribili. Sono sotto le bombe tutti i giorni».
Laboratorio bellico
La regista, sceneggiatrice e attivista palestinese con cittadinanza britannica Farah Nabulsi (“The Present”) ha condiviso le parole di uno dei pochi medici di Gaza, il dottor Ezzideen, che ha ancora possibilità di far sentire la sua voce: «Gaza non è governata. È amministrata come un paziente terminale tenuto in vita per studio. Le soglie psicologiche vengono testate, non da studiosi, ma da soldati. I legami sociali vengono schiacciati sotto il peso del lutto ripetuto. Ogni urlo è registrato. Ogni silenzio annotato. Ogni sepoltura cronometrata e archiviata. E il mondo? Si volta dall’altra parte».
Tra le immagini più dure che ci riporta Marco, c’è quella di un territorio dove Israele è libera di testare ogni tipo di arma o bomba: «Un campo di esercitazione a cielo aperto, un laboratorio bellico, ecco cos’è oggi la Striscia di Gaza. Israele è dotato delle armi più potenti e assurde. Droni, bombe ad alta precisione, elicotteri, tutto viene testato qui. Anche ciò che poi viene utilizzato da altri Paesi e organizzazioni in altre zone del mondo. Anche le armi che ancora vengono fornite a Israele da quegli Stati che non hanno smesso di sostenere Netan. È come Davide contro Golia».
Subito dopo il 7 ottobre la rivista +972, gestita congiuntamente da un gruppo di giornalisti, blogger e fotografi il cui obiettivo è quello di fornire report e analisi nuovi e originali sugli eventi in Israele e Palestina, ha pubblicato un’inchiesta sul modo in cui l’esercito e l’aviazione israeliana hanno usato l’intelligenza artificiale per scegliere gli obiettivi da colpire nella Striscia. Quell’articolo aveva un titolo emblematico: “La fabbrica degli omicidi di massa”. Tra gli strumenti usati spicca il “Lavender”, un algoritmo di apprendimento automatico che incrocia dati biometrici, sociali e digitali: i margini di errore sono noti, ma l’esercito israeliano ha continuato a usarlo, con un costo umano altissimo. Come ha rivelato il New York Times, l’uso di questi strumenti ha condotto a numerosi casi di identificazioni errate, arresti immotivati e, soprattutto, alla morte di migliaia di civili. Mentre la tecnologia diventa sul campo uno strumento per la carneficina, gli affari vanno avanti. Nel 2023, Israele ha esportato 13 miliardi di dollari in armi.
Affari armati
La devastazione compiuta dal governo israeliano nella Striscia, però, non è solo opera degli armamenti di Netanyahu. Chi rifornisce Israele? Gli Stati Uniti sono di gran lunga il più grande fornitore di armi di Israele. Nel 2023 il 69 per cento delle importazioni di armi di Israele proveniva dagli Stati Uniti, secondo un rapporto sui trasferimenti internazionali di armi dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). La Germania occupava il secondo posto, con il 30 per cento, seguita dall’Italia con lo 0,9 per cento. Regno Unito, Francia e Spagna figuravano tra gli altri contributori minori.
Se da un lato è vero che nel 2023 la Germania ha contribuito al 30 per cento delle armi di Israele, dall’altro la fornitura si è notevolmente ridotta nel corso del 2024. Gli aiuti militari tedeschi sono scesi da circa 200 milioni di euro dell’ottobre 2023 a 1 milione di euro a marzo 2024. Nel 2023 e nel 2024, l’Italia ha fornito elicotteri e armi a Israele, secondo il Sipri, ed è un partner del programma di caccia F-35. A inizio 2024, il ministro degli Esteri Antonio Tajani annunciava che l’Italia aveva interrotto le spedizioni di armi verso Israele dal 7 ottobre 2023, ma secondo il Sipri tutti gli accordi firmati prima di allora sono stati comunque onorati.
Nel 2024 la crescita delle Autorizzazioni complessive all’export militare, cioè di quanto il Governo italiano ha autorizzato a seguito di richieste di contratti di vendita all’estero delle nostre aziende, è aumentata in maniera davvero rilevante, rileva la “Rete Pace e Disarmo”.
Il Governo segnala che nei dati 2024 non compare Israele, in quanto le caratteristiche dell’intervento israeliano su Gaza hanno indotto l’Autorità nazionale Uama a non concedere nuove autorizzazioni all’export in virtù della legge n. 185/1990. Ciò però non ha fermato la prosecuzione di precedenti forniture. L’ammissione ufficiale da parte del governo è arrivata il 7 maggio 2025 in Commissione esteri alla Camera per voce del sottosegretario Giorgio Silli, che per la prima volta ha pubblicamente dichiarato che armi italiane sono state inviate a Israele anche dopo il 7 ottobre 2023. Il sottosegretario, però, ha precisato che l’approccio adottato dal governo italiano nei confronti di Israele rimane «particolarmente restrittivo»: infatti le spedizioni effettuate dipendono da licenze rilasciate prima dell’inizio del conflitto e su queste vecchie licenze è stata fatta una «valutazione caso per caso». Silli ha sostenuto che: «sono stati inviati in Israele solo materiali che non potessero essere utilizzati contro la popolazione civile».
Il contributo italiano
La relazione governativa 2025 sull’export di armamenti non è totalmente trasparente sulla tipologia di armi esportate, ma sicuramente sono coinvolti pezzi di ricambio per gli aerei caccia addestratori M-346, oltre ad armi leggere e munizioni.
«Se è vero che nel 2024 non sono state concesse nuove autorizzazioni di esportazione a Israele – commenta Giorgio Beretta analista dell’Osservatorio Opal – va però notato come dalla Relazione dell’Agenzia delle Dogane risultino 212 operazioni di esportazioni di materiali militari a Israele per un valore complessivo di 4.208.758 euro che, pertanto, sono da riferirsi a licenze rilasciate in precedenza. Inoltre nel 2024 sono continuati gli interscambi di materiali militari tra Italia e Israele: sono state infatti rilasciate 42 nuove autorizzazioni di importazione armamenti verso il nostro Paese per 154.937.789 euro e, sempre nel 2024, ne sono state fisicamente importate da Israele per 37.289.708 euro».
Secondo le note di commento dei dati presentate nel quadro introduttivo della Relazione al Parlamento anche nel 2024, la categoria “materiali” ha costituito, sia per valore complessivo sia per numero di articoli, la tipologia maggioritaria degli oggetti esportati (81,31 per cento), seguita dalle “tecnologie” (11,97 per cento), dai “servizi” (3,38 per cento) e dai “ricambi” (3,34 per cento). Le prime 15 società esportatrici nel 2024 hanno avuto un peso finanziario del 89,01 per cento sul totale delle autorizzazioni: al vertice dell’export militare italiano troviamo Leonardo S.p.A. (27,67 per cento), Fincantieri S.p.A. (22,62 per cento), Rheinmetall Italia S.p.A. (6,60 per cento), Mbda Italia S.p.A. (6,25 per cento) che da sole rappresentano circa il 63,14 per cento del valore monetario complessivo. Ma il commercio con Israele non coinvolge solo esportazioni: nel 2024, l’Italia ha raddoppiato le importazioni di armamenti da Israele per un totale di 154 milioni di euro.
Ci si domanda dunque se tra le tantissime armi che Israele sta “provando” su Gaza ci sia anche qualcosa che utilizzerà poi il nostro governo in un futuro prossimo. Qual è il prezzo di tutto questo? Nel mentre a Gaza esplode un’altra bomba. Un altro ospedale pediatrico è stato messo fuori uso e gli operatori umanitari come Marco dovranno correre per salvare le attrezzature e quel poco che resta sotto le macerie. Non resta che scavare.