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La fidanzata: “Khashoggi non è morto, migliaia ne nasceranno oggi, nel giorno del suo compleanno”

Immagine di copertina
Jamal Khashoggi e Hatice Cengiz insieme

Il 13 ottobre il collaboratore del Washington Post avrebbe compiuto 60 anni

La compagna di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita scomparso dopo essere entrato nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, ha ricordato il fidanzato in un editoriale pubblicato sul New York Times il 13 ottobre, nel giorno del compleanno. (Qui la ricostruzione sul caso)

S&D

“Khashoggi non è morto, migliaia ne nasceranno oggi, nel giorno del suo compleanno”, scrive Hatice Cengiz.

La compagna di Khashoggi lo aveva accompagnato al consolato il 2 ottobre e lo aveva atteso fuori dall’edificio per undici ore, fino alla chiusura degli uffici, senza mai vederlo tornare.

“Il mio fidanzato, Jamal Khashoggi, era un patriota. Rifiutava la definizione di dissidente: ‘Sono solo un giornalista indipendente che usa la penna per il bene del suo paese’”, scrive Cengiz.

“Oggi Jamal avrebbe compiuto 60 anni e per lui avevo preparato una festa a sorpresa sul Bosforo. Oggi dovevamo essere già sposati”, racconta la ricercatrice turca.

Khashoggi si era recato infatti presso il consolato saudita in Turchia proprio per acquisire alcuni documenti necessari per sposarla.

Nel lungo editoriale del quotidiano statunitense la fidanzata di Khashoggi rivela dettagli privati sul compagno, proprio per fare capire com’era fatto: “A quella conferenza cominciammo a parlare di politica. Lui descriveva la straordinaria trasformazione del suo paese, ma anche quanto lo preoccupasse. Nelle settimane successive ci unì la passione comune per la democrazia, i diritti umani e la libertà d’espressione: i principi fondamentali per cui lottava”.

“Aveva lavorato come giornalista ad altissimo livello, aveva girato il mondo. Eppure lo hanno costretto a scappare dal suo paese per colpa del giro di vite verso intellettuali e attivisti che hanno osato criticare il principe Mohammed bin Salman. Non ha potuto fare altro. Ha lasciato l’Arabia saudita perché era l’unico modo per trattare delle questioni a cui teneva, l’unico modo di lavorare senza compromettere la sua dignità”.

Come aveva già fatto in un articolo per il Washington Post anche sul Nyt Cengiz chiede giustizia per la morte del compagno e si rivolge al presidente degli Stati Uniti Donal Trump: “So che ha pensato di invitarmi alla Casa Bianca. Accetterò l’invito se farà uno sforzo concreto per capire cosa è successo in quell’edificio di Istanbul mentre io aspettavo fuori”.

“Jamal combatteva contro l’oppressione. Se è morto, e spero ancora che non sia così, migliaia di altri Jamal nasceranno oggi, nel giorno del suo compleanno. Le sue idee e la sua voce dalla Turchia all’Arabia Saudita si propagheranno in tutto il mondo”.

Il commovente editoriale si conclude con monito diretto al principe del regno saudita Mohammed bin Salman: “L’oppressione non dura per sempre. I tiranni alla fine pagano sempre per i loro peccati”.

Chi è Jamal Khashoggi

Ex consigliere del governo saudita, Khashoggi aveva deciso di autoesiliarsi negli Stati Uniti nel 2017 per timore di un possibile arresto, dopo aver criticato alcune decisioni del principe ereditario saudita, nonché ministro della Difesa, Mohammed bin Salman.

Il giornalista aveva anche espresso diverse critiche sull’intervento militare di Riad in Yemen.

Khasoggi aveva più volte denunciato intimidazioni, arresti e attacchi subiti da giornalisti, intellettuali e leader religiosi non allineati con la casa reale saudita.

Ex redattore del quotidiano Al-Watan e di un canale di notizie tv saudita, Khashoggi ha anche partecipato ai programmi della Bbc sull’Arabia Saudita e sul Medio Oriente.

Il giornalista è anche noto per la sua relazione con il giovane Osama Bin Laden, con il quale ha viaggiato molto in Afghanistan negli anni Ottanta durante l’occupazione sovietica.

L’arrivo al consolato e la voci sulla sua morte

Le ultime notizie che si hanno del giornalista risalgono al 2 ottobre 2018, quando Khashoggi è entrato nel consolato saudita di Istanbul senza fare più ritorno.

Una volta in ambasciata, al giornalista è stato anche richiesto di consegnare il suo telefono cellulare, prassi normale in alcune ambasciate e consolati.

Fin da subito i suoi amici e colleghi hanno temuto che Khashoggi fosse stato ucciso in ambasciata e domenica 7 ottobre fonti vicine alla polizia turca, citate dall’agenzia di stampa Reuters, hanno dato per certa quella che fino a poco prima era solo un’ipotesi.

Secondo due funzionari turchi, citati dal quotidiano statunitense New York Times, il reporter è stato ucciso dietro ordine di Riad poche ore dopo il suo arrivo nel consolato saudita di Istanbul.

Non è chiaro come la Turchia sia venuta a conoscenza di questa notizia, ma i funzionari sono anche stati in grado di specificare che il corpo del giornalista è stato fatto a pezzi con una sega “come nel film Pulp Fiction”.

Inoltre, il giorno della scomparsa di Khashoggi, un gruppo di 15 rappresentanti sauditi, con ruoli di primo piano nel governo e nella Difesa, e un esperto di autopsie, sono arrivati a Istanbul con un volo charter. Il gruppo si è trattenuto in città per poche ore e ha fatto una visita in consolato.

Quello stesso giorno, il consolato saudita aveva detto ai funzionari turchi di non recarsi a lavoro, secondo quanto riportato dal giornale Sabah.

La prima ricostruzione 

“Jamal Khashoggi è entrato in nel consolato saudita a Istanbul alle 13.14, è stato portato dal console generale e nella sta stanza sono entrate subito dopo altre due persone che hanno trascinato il giornalista in una seconda stanza dove lo hanno ucciso”, per poi portarlo in una “terza stanza dove è stato fatto a pezzi”.

Questa la prima ricostruzione del presunto omicidio del giornalista saudita diffusa da David Hearst sul sito Middle East Eye, che cita fonti dell’intelligence turca.

“Sappiamo in quale stanza è stato ucciso, in quale stanza è stato fatto a pezzi e in quale stanza è stato portato il corpo. Se ci dessero il permesso sapremmo dove andare”.

Fonti turche hanno anche aggiunto che il console generale saudita a Istanbul ha annullato tutti gli appuntamenti ed è rimasto nella sua residenza per 4 giorni.

I video delle telecamere di sicurezza

Una delle prove della scomparsa del giornalista Khashoggi sono rintracciabili nei video diffusi dall’emittente turca 24 TV e provenienti dalle telecamere di sorveglianza installate intorno al consolato saudita di Istanbul.

Le immagini analizzate sono quelle contemporanee all’arrivo nell’edificio del giornalista, avvenuto intorno alle 13.14: nel video si nota anche un furgone nero parcheggiato nelle vicinanze.

Un secondo filmato mostra lo stesso furgone entrare nel consolato alle 15.08 e uscire poco dopo, dirigendosi nella vicina residenza del console. Secondo il direttore del quotidiano Aksam, Murat Kelkitlioglu, intervistato da 24 TV , “Khashoggi è trasportato in quel furgone, vivo o morto”.

Non è stato invece possibile analizzare i filmati delle telecamere di sicurezza interne al consolato perché, secondo quanto riporta il Guardian che cita le autorità di Ankara, i video sono stati rimossi. Secondo il governo turco, i filmati sono stati portato via da quegli stessi15 uomini sospettati di aver ucciso il giornalista.

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