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Le donne giapponesi in protesta contro l’obbligo di indossare tacchi al lavoro: arriva il #KuToo

Immagine di copertina
Credit: Charly TRIBALLEAU / AFP

Ma il ministro del Lavoro nipponico ignora la petizione: “Questa tradizione è necessaria e appropriata”

Una “u”. In Giappone è questa la differenza tra la parola “scarpe” (kutsu) e la parola “dolore” (kutsuu). Ma spesso, nella pratica, le due cose coincidono. Soprattutto per le donne nipponiche, costrette da antiche consuetudini a indossare sempre i tacchi sul lavoro.

Sì, perché a Tokyo e dintorni, se una ragazza si presenta in ufficio indossando scarpe sportive, questa scelta – anche quando sia dettata da motivi di salute –  viene interpretata come una mancanza di rispetto.

Una donna che non porta i tacchi non prende sul serio il suo lavoro, insomma. E rischia di non essere presa in considerazione per una nuova posizione in azienda, perché considerata sciatta e maleducata.

Questo anche se indossare scarpe taccate in molti casi provoca dolorose vesciche ai piedi e, alla lunga, può portare a problemi posturali seri, che coinvolgono la schiena, il collo, le articolazioni.

La petizione di Ishikawa. Yumi Ishikawa, attrice e scrittrice 32enne, ha detto basta a questo dress code, da lei definito “discriminatorio e obsoleto”. Si è fatta fotografare seduta su una scrivania in perfetto look da ufficio – t-shirt nera e gonna longuette in raso rosa – ma con le scarpe da ginnastica ai piedi, e ha lanciato una petizione via internet che in poco tempo ha raccolto decine di migliaia di firme (al momento sono più di 28mila sul sito Change.org).

Un gesto presto diventato virale sul web: in tantissime hanno cominciato a condividere sui social scatti di piedi doloranti o sanguinanti dopo lunghe giornate di lavoro “sui trampoli”. “Spero che la petizione aiuti a cambiare la mentalità secondo cui una donna non rispetta le buone maniere se indossa scarpe senza tacco come fanno gli uomini”, ha dichiarato Ishikawa.

#KuToo. Ad accompagnare il tutto, l’hashtag #KuToo. Richiama la prima sillaba di “scarpe” e di “dolore” – in giapponese – e rievoca il #MeToo, il movimento di protesta nato negli Usa a ottobre 2017, dopo le molteplici accuse di molestie sessuali rivolte da star di Hollywood al produttore Harvey Weinstein.

Le richieste ufficiali e il rifiuto ministero del Lavoro. Forte del sostengo ricevuto online, Ishikawa ha chiesto ufficialmente a Takumi Nemoto, ministro del Lavoro del Sol Levante, di condannare quest’imposizione sociale, per fare in modo che le donne non siano più costrette a portare i tacchi in ufficio. Ma la risposta di Nemoto è stata negativa: per lui, che le donne indossino i tacchi è qualcosa di “necessario e appropriato”, “generalmente accettato dalla società”. Anche per questo – nella classifica stilata dal World Economic Forum circa la parità di genere – il Paese di Shinzō Abe si aggiudica il 110° posto su 149.

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