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Home » Esteri

Dovresti apparire diversa

Immagine di copertina

La metamorfosi di Renée Zellweger rivela il messaggio che la nostra società indirizza costantemente alle donne: non andate bene

Renée Zellweger ha soltanto fatto quello che le abbiamo chiesto: apparire diversa.

Cercate su Google “Renée Zellweger occhi semichiusi”. Vi usciranno 3mila risultati, perlopiù critici riguardo al look dell’attrice.

“È normale pensare che Renée Zellweger sia talmente brutta da essere una distrazione?”, si è chiesto un commentatore particolarmente crudele, descrivendo l’attrice come “pallida e con le guance da scoiattolo”.

In occasione di una recente cerimonia di premiazione a Hollywood, Renée Zellweger ci ha soddisfatto. È arrivata con un aspetto diverso. Davvero diverso. Forse è ricorsa alla chirurgia plastica, forse no, la Zellweger non si è espressa al riguardo. Ha detto soltanto di essere felice del suo nuovo look.

“Sono contenta che la gente pensi che io sembro diversa!”, si legge in una dichiarazione dell’attrice alla rivista People pubblicata lo scorso mercoledì. “Sto vivendo una vita diversa, felice, che mi fa sentire più realizzata, e sono entusiasta che forse questo si veda anche dal’esterno”.

Ma sul web, l’attrice viene presa di mira. “Sei veramente tu, Renée?”, ha scritto una giornalista di Atlantic. “Va tutto bene?”.

La Zellweger ha fatto quello che le abbiamo chiesto e adesso la stiamo facendo a pezzi per una differenza che sicuramente si nota. La società indirizza un messaggio costante e consistente alle donne: Voi non andate bene. Dovreste apparire in maniera diversa.

Dovresti apparire diversa. È quello che sento ogni volta che faccio una presenza in tv. Qualsiasi spot pubblicitario, anche uno breve, della durata di 30 secondi, in cui devo recitare una singola frase per rispondere a una domanda sull’Obamacare, richiede una seduta di 30 minuti dal truccatore così che io possa apparire diversa.

I miei capelli vengono arricciati, i brufoli coperti e le labbra lucidate. Mi spuntano zigomi che non ho, creati dal make up artist. Una fossetta strana sulla mia guancia sinistra scompare, ricoperta dal fondotinta. Come può dirvi un mio qualsiasi familiare o amico che ha visto una delle mie apparizioni sullo schermo: quando vado in televisione, sembro diversa.

Dovresti apparire diversa. E così noi ci adattiamo. Le stime prevedono che l’industria globale della “beauty-care” crescerà fino a raggiungere un valore totale di 265 miliardi di dollari nel 2017. Soltanto negli Stati Uniti, l’industria dei cosmetici ha un fatturato annuale stimato intorno ai 58 miliardi di dollari. Più o meno l’equivalente di quanto spende l’America per gli animali domestici.

Dovresti apparire diversa. E molte persone diventeranno molto ricche facendoti sembrare diversa. Sephora, una delle maggiori catene di distribuzione di prodotti di bellezza al mondo, ha avuto una crescita incredibilmente rapida. Alla base dei prodotti che vende, dal kit per la depilazione laser a 449 dollari al phon per capelli voluminosi, c’è la promessa di apparire diverse.

Dovresti apparire diversa. Anche se fa male. Anche se è pericoloso. Anche se è costoso. Le spese per la chirurgia plastica sono rimbalzate negli ultimi anni, e nel 2013 sono tornate ai livelli pre-recessione, un recupero più veloce, ad esempio, di quello del mercato del lavoro. Nel 2013, undici milioni di americani hanno fatto ricorso alla chirurgia plastica per rendere diversi i propri corpi. Più si è esposti al pubblico, più le cose peggiorano. Ci sono blog sulle celebrità che consigliano a varie attrici di perdere qualche chilo, riviste che mettono in evidenza la cellulite nelle foto scattate al mare, comici in seconda serata che fanno battute sui nuovi tagli di capelli.

Dovresti apparire diversa. Se non lo farai, ce ne accorgeremo. Me ne sono accorta, nel mio piccolo, ogni volta che sono apparsa in televisione. Ci sono stati telespettatori, quelli che mi hanno vista discutere il piano Medicare alle 8 del mattino, che mi hanno suggerito modi molto specifici in cui dovevo cambiare. La mia voce assomiglia troppo a quella di una ragazza campagnola, mi ha scritto via email un ascoltatore particolarmente memorabile. “Ti consiglio di trovare un insegnante di dizione”.

Un perfetto sconosciuto che veniva da Atlanta, in Georgia, ha sentito il bisogno di dirmi che la mia voce non andava bene. Doveva essere diversa. Conservo ancora quell’email. E potete stare sicuri che da quando l’ho ricevuta mi sono sentita a disagio riguardo alla mia voce.

Anche se chiediamo che ogni donna appaia diversa, chiediamo anche che non sembri troppo diversa. I cambiamenti innaturali, come la chirurgia plastica, i cosmetici e le creme idratanti, devono sembrare naturali. “Forse lei è nata così, forse è Maybelline”, recita uno slogan onnipresente in tv. Questa è la differenza che vogliamo, quella che ci fa dimenticare che abbiamo richiesto un qualsiasi cambiamento in primo luogo, e che attribuisce la differenza a un’impresa notevole di auto-miglioramento.

I cambiamenti che sembrano artificiali innescheranno una serie senza fine di critiche e sbeffeggiamenti. Quel tipo di differenze semplicemente non sarà sufficiente. Le donne che fanno ricorso a questo tipo di cambiamenti sono superficiali, disperate, strane.

Potete vedere quel margine crudele che emerge mentre sezioniamo e discutiamo il nuovo look della Zellweger. Lei sembra troppo diversa. Lei è cambiata troppo. C’è una linea sottile che apparentemente abbiamo stabilito tra il miglioramento e il rivoluzionamento. Il primo è richiesto. Il secondo viene deriso. Qualsiasi cosa abbia fatto la Zellweger per cambiare il suo aspetto, ha oltrepassato quel limite.

Renée Zellweger ha fatto quello che noi le abbiamo chiesto. Lei è apparsa diversa. Ma lo ha fatto in una maniera che noi stessi non possiamo considerare naturale. E adesso siamo furiosi con lei, perchè ci obbliga a fare i conti con noi stessi. Non ci piace averle chiesto di essere diversa. Non ci piace sentirci in colpa per quello che chiediamo veramente di fare alle donne.

Sarah Kliff è una giornalista americana che scrive per Vox. Il suo articolo è stato pubblicato qui.

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