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Home » Esteri

Cina: la nuova ondata Covid mette a rischio la politica del governo di Pechino

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I casi di coronavirus legati alle nuove sottovarianti Omicron la settimana scorsa hanno travolto l’area di Shanghai scatenando numerose proteste tra la popolazione. Nonostante i numeri relativamente bassi, per evitare la diffusione del contagio le autorità di Pechino si sono ancorate nuovamente alla politica della “Tolleranza Zero” per il Covid-19, annunciando un nuovo lockdown per i circa 26 milioni di abitanti della megalopoli cinese.

Shanghai genera il 4,8% del PIL cinese, e a metà marzo lo stesso presidente Xi Jinping si era raccomandato di limitare i danni senza bloccare l’economia già in sofferenza. Le autorità del partito di Shanghai si erano infatti limitate a mettere in quarantena i singoli blocchi residenziali dove erano stati registrati nuovi casi mentre al resto della città era consentito proseguire le normali attività quotidiane. Tuttavia, a fronte dell’estrema rapidità di diffusione di Omicron passata inosservata, da Pechino è arrivato il contrordine e anche a Shanghai è stato nuovamente imposto il pugno di ferro per “azzerare” i contagi dal territorio.

 

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La decisione attuata il 28 marzo prevedeva inizialmente un lockdown breve diviso in due fasi, ma l’alta incidenza dei casi positivi ha spinto le autorità ad annunciare un lockdown totale per i 26 milioni di abitanti di Shanghai, sottoponendo l’intera popolazione a nuovi cicli di tamponi a tappeto e alla reclusione in strutture provvisorie per i positivi, che si sono rivelate inadeguate dal punto di vista logistico e igienico. I problemi sono arrivati anche per la gente chiusa in casa, che ha iniziato a esaurire le scorte alimentari. Come scrive l’inviato del Corriere da Pechino, la risposta del governo è stata quella di centralizzare l’approvvigionamento di cibo, ma le scorte si sono rivelate insufficienti e le autorità locali si sono ritrovate costrette a scusarsi con i cittadini per i ritardi nelle consegne, creando grande tensione tra i cinesi che soffrono “di una paura atavica della penuria di cibo”.

 

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Ieri a Shanghai sono stati individuati 24.952 nuovi casi d’infezione, di cui 1.006 sintomatici, portando i casi accertati nella città a 120mila. I casi asintomatici di quest’ultima ondata, partita sotto traccia a fine febbraio, sarebbero dunque del 95%, – nella categoria sarebbero inclusi anche i pazienti con “sintomi moderati” – numeri che avrebbero spinto molti governi monitorare attentamente la situazione invece di adottare soluzioni drastiche. Il nuovo lockdown imposto nella città al cuore delle attività finanziarie e commerciali dell’economia del Paese infatti ha riportato la Cina ai giorni cupi dell’inizio della pandemia, tra gennaio e aprile del 2020, quando furono confermati i primi casi da Wuhan che portarono le autorità a chiudere gradualmente l’intero Paese.

 

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Le proteste della popolazione si sono riversate sui balconi degli edifici rimbalzando sui social network, dove girano numerose testimonianze e video di protesta da parte dei cittadini per uscire di casa e fare acquisti. In uno dei video circolati si sentono cori di persone infuriate che gridano “Vogliamo lavorare, vogliamo essere liberati,” mentre i droni dotati di altoparlanti invitano alla calma intimando di chiudere le finestre e aspettare. Sebbene sia probabile che nessuno morirà di fame a Shanghai, il nuovo lockdown è stato male accolto dalla popolazione, che dovrà aspettare almeno 14 giorni e una nuova tornata di tamponi in tutte le comunità residenziali prima di poter tornare a respirare all’aria aperta.

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