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“Arresti, violenze, acqua avvelenata: io, birmana in Italia, vi racconto cosa sta succedendo in Myanmar”

Immagine di copertina
Una donna piange al funerale di tre manifestanti uccisi durante le manifestazioni contro il golpe in Myanmar, Yangon, 5 marzo 2021. Credit: EPA/NYEIN CHAN NAING

Mi chiamo Tin Ni Ni Htet, vivo a Genova da 13 anni. Sono laureata alla facoltà di lingue di Genova, organizzo viaggi e lavoro come accompagnatore turistico ufficiale sia per i turisti birmani nei paesi europei che per gli italiani che visitano il mio paese, il Myanmar. Sono cresciuta sotto la giunta militare fino a 24 anni, sono cosciente di quanto sono disumani ed egoisti e vorrei tanto che la nuova generazione potesse vivere con dignità godendo dei diritti umani e dell’istruzione che ognuno di noi merita. Per queste ragioni ho deciso di descrivere quello che sta succedendo in Myanmar.

Il 1 febbraio 2021, in concomitanza con l’insediamento del nuovo governo eletto dal popolo, la giunta militare guidata dal generale Min Aung Hlaing ha arrestato il presidente Win Myint, il consigliere di Stato Aung San Suu Kyi e molti membri del governo, con il pretesto di supposte frodi nelle elezioni democratiche di novembre 2020. La giunta militare ha preso il potere con le armi senza rispettare la volontà politica del popolo del Myanmar. Nei giorni immediatamente successivi, sono stati nominati tutti i nuovi ministri illegittimi e i ministri regolarmente eletti dai cittadini sono stati messi agli arresti.

Nella notte del 9 febbraio i militari sono entrati nella sede del Partito Democratico per sequestrare tutti i documenti. Molti impiegati statali, a partire dai medici, dagli infermieri fino agli impiegati degli uffici di quartiere, hanno aderito al movimento di disobbedienza civile, tranne alcune persone che hanno un legame stretto con le istituzioni militari, soprattutto chi ama il potere e trae beneficio dalla collaborazione con esercito. Nei giorni seguenti, medici, insegnanti, studenti, operai e dipendenti pubblici delle varie zone del Myanmar sono scesi in strada per dimostrare pacificamente contro la dittatura, criticando l’ingiustizia e l’illegittimità del colpo di stato. Riconoscono solo il governo eletto dal popolo e chiedono la liberazione immediata dei rappresentanti politici detenuti ingiustamente. Tutti i cittadini dichiarano il loro amore e affetto verso l’eroina nazionale Aung San Su Kyi, dichiarando totalmente inaccettabile il tradimento del governo eletto dal popolo, usurpato con l’uso delle armi.

A partire dalla prima settimana di febbraio, sono iniziate grandi proteste da parte di tutte le classi sociali della popolazione, guidate soprattutto dai giovani della cosiddetta Generazione Zeta, contro la dittatura militare. Le manifestazioni sono pacifiche, senza violenza da parte dei cittadini, e sono sempre proseguite fino ad oggi nonostante gli arresti, le continue e crescenti violenze e soprusi di ogni genere da parte dei militari. Inizialmente il contrasto alla protesta popolare da parte della giunta militare è stato fatto attraverso una sorta di “guerra psicologica” o “Psy war” come è chiamata dai giovani birmani, secondo le strategie suggerite dal noto psicologo Chit Naing che collabora con la giunta militare: diffusione di fake news per creare alti e bassi dello stato mentale, alternando buone notizie (come quella per cui l’esercito a Pakkoku difende il popolo contro la giunta militare), e spaventose notizie (come l’ordine di sparare ai manifestanti in ogni circostanza).

Già in questa prima fase, i militari andavano nei quartieri ad arrestare attivisti, politici e giornalisti. Nonostante queste notizie volte a intimorire le persone e scoraggiare le azioni di protesta, ogni giorno sempre più manifestanti in tutte le città del Myanmar si riuniscono e scendono in strada. Per questo dall’8 di febbraio, il governo golpista ha proibito di uscire e radunarsi in più di 5 persone, vietando qualsiasi assembramento tra le 20 e le 4 di mattina. Ogni sera e durante gli orari del coprifuoco i militari entrano nelle case, rompendo anche le serrature con la forza ed eseguono arresti senza motivo. Il 13 febbraio il telegiornale di Stato ha annunciato il mandato di arresto per alcuni famosi attivisti tra cui Min Ko Naing, per attentato contro l’autorità attraverso i social media.

La violenza verso il popolo si è intensificata a partire dal 12 febbraio, quando sono stati liberati dalle carceri del Myanmar 23mila criminali. A partire dal pomeriggio di quel giorno si registrano violenze, rapine, incendi e disordini ogni giorno e notte. La popolazione non dorme per paura di subire soprusi. Ogni quartiere ha istituito una squadra di vigilanza per difendersi dalla polizia o dai delinquenti portati dalla polizia o dall’esercito tramite ambulanze o mezzi di Ong. Ogni giorno sono stati fermati bambini e ragazzini pagati dall’esercito con taniche di benzina per incendiare case ed avvelenare i contenitori d’acqua nei quartieri. Nonostante controlli ed allerta da parte della popolazione, purtroppo alcune fabbriche ed alcune case sono state bruciate e ci sono molti incendi dolosi.

La polizia locale ha sostituito i capi di quartiere con altri assunti dai militari golpisti, per tenere ogni singola zona sotto il comando diretto dell’esercito, soprattutto per il controllo e l’arresto dei manifestanti. Quasi tutti i quartieri non accettano questa imposizione e protestano durante il giorno, alle 20 tutti battono le pentole facendo rumore. Dappertutto ci sono tensioni e violenze da parte del governo golpista che manda persone in divisa o senza a colpire persone e famiglie che protestano suonando le pentole: secondo la tradizione birmana, ogni fine anno del calendario buddhista, in ogni famiglia si suonano i coperchi delle pentole per scacciare i demoni nascosti nelle case. Oltre agli spari con proiettili veri, con proiettili di gomma, alle violenze verso il popolo picchiato con spranghe di ferro, i manifestanti hanno anche scoperto che migliaia di bottigliette d’acqua donate durante le manifestazioni da alcuni donatori sono state manipolate (presentano un forellino sul fondo poi richiuso) ed alcune persone sono state ricoverate per avvelenamento.

Alle manifestazioni sono presenti anche piccoli gruppi di persone schierate a favore del governo militare, siamo certi che siano detenuti liberati dai militari per il loro atteggiamento violento. Al loro passaggio vengono protetti e accompagnati da polizia e militari. Dal momento in cui arrivano al centro delle manifestazioni popolari di protesta iniziano a creare il caos sparando con le fionde, rompendo le macchine dei passanti, picchiando i giornalisti. Polizia e militari difendono gli aggressori dei giornalisti e dei manifestanti pacifici. Tra i manifestanti a favore del colpo di stato ci sono anche persone in buona fede, inconsapevoli di cosa stia accadendo, portate alla manifestazione a loro insaputa. Tanti di loro dichiarano di ricevere un compenso da alcuni membri del Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo, braccio politico della giunta militare birmana i cui membri sono pensionati della giunta militare o loro parenti.

Nel quartiere delle ferrovie a Mandalay vivono operai e impiegati della ferrovia che partecipano al movimento di disobbedienza civile e hanno manifestato disarmati bloccando il transito dei treni: la sera stessa sono arrivati i militari a sparare sulla folla lanciando anche bombe lacrimogene nelle case. Durante la notte i militari girano nei quartieri distruggendo macchine e moto parcheggiate.

Il livello di violenza è aumentato dopo l’annuncio dell’ambasciatore birmano all’Onu Kyaw Moe Tun, che di fronte all’assemblea internazionale negli Usa il 26 febbraio, si è ufficialmente dichiarato a favore del popolo birmano invitando le Nazioni Unite ad agire per porre fine al colpo di stato. Dal giorno successivo le violenze si sono intensificate, la polizia ha iniziato a sparare ad altezza uomo e la prima vittima è stata una ragazza di 19 anni, colpita mortalmente alla testa da un proiettile il 29 febbraio a Nay Pyi Daw. In questi ultimi giorni i cittadini hanno iniziato a usare caschi e scudi fatti a mano, e maschere per proteggersi dalle bombe lacrimogene. Il 28 febbraio in un’unica giornata sono morte oltre 20 persone che manifestavano in pace, tanti di loro colpiti da proiettili alla testa.

La seconda giornata più tragica è stata quella del 3 marzo dove nel quartiere di North Okkalapa a Yangon sono rimaste uccise dai militari più di venti persone attraverso uso di armi da guerra, lancio di bombe lacrimogene dal cielo con aerei, mentre la polizia ha aggredito anche i volontari impegnati nell’assistenza sanitaria e rotto i vetri dell’ambulanza. In un solo giorno, secondo le fonti dei media interni, in tutto il Myanmar le città hanno registrato quasi 60 morti uccisi dalla polizia. Solo una parte di notizie riescono ad essere diffuse dai social a causa del caos crescente, dei continui attacchi verso i giornalisti e del sequestro dei cellulari. Nonostante in Occidente stiano arrivando molte testimonianze e notizie attraverso i social media, da parte di birmani che rischiano la vita a diffondere le prove inequivocabili di continue violazioni dei diritti umani, questo non sembra sufficiente a ottenere un sostegno concreto da parte delle forze internazionali e occidentali, al di là della generica condanna e critica in diverse sedi internazionali ed europee.

Il popolo birmano è molto pacifico, non ama la violenza e anche per questo da più di un mese ogni giorno continua a fare manifestazioni per avere giustizia, senza reagire con la violenza e chiedendo aiuto attraverso i social media per avere un efficace aiuto diplomatico internazionale. Viviamo giorno e notte con la paura e siamo trattati in modo disumano: non sappiamo quando finiranno sia la forza di non reagire con la violenza sia l’energia per resistere in questa situazione, che si somma a tutte le altre difficoltà della popolazione per procurarsi il cibo e avere una esistenza dignitosa.

Leggi anche: 1. Myanmar, San Suu Kyi riappare in video davanti al giudice che dovrà processarla /2. Spari sui folla, uccisi almeno 18 manifestanti nelle proteste in Myanmar: è il giorno più buio

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