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Home » Esteri

Torna il burqa sui corpi delle donne afghane: in 20 anni di guerra Usa in Afghanistan non è cambiato quasi niente

Immagine di copertina
Credits: EPA

Il ritorno del burqa integrale sul corpo delle donne afghane annunciato sabato scorso dal capo supremo dei talebani Hibatullah Akhundzada è arrivato senza troppe sorprese a Kabul, dove da agosto a oggi il nuovo governo islamico ha gradualmente reimpostato la shari’a sulle linee degli anni ’90, quando alle afghane che non indossavano il burqa la polizia religiosa imponeva sanzioni fisiche. Le dissidenti venivano spesso picchiate, gli uomini puniti.

Accadrà di nuovo, almeno stando a quanto stabilisce il decreto illustrato da Akhundzada il 7 maggio: per strada le donne dovranno mostrare solo gli occhi attraverso una piccola fessura, che siano coperte dal burqa o dal velo integrale. L’importante sarà non provocare gli uomini non appartenenti al proprio nucleo familiare e non lasciar intravedere niente, dalla testa fino ai piedi. “Vogliamo che le nostre sorelle vivano con dignità e in sicurezza”, ha dichiarato il Ministro per la Prevenzione del vizio e la promozione della virtù (il vecchio Ministero delle Donne) Khalid Hanafi, spiegando che, se una donna non dovesse rispettare l’obbligo, si ritroverà con molta probabilità in carcere.

Un passo indietro che le agenzie per i diritti umani hanno condannato aspramente e che contraddice le promesse fatte dai rappresentanti del nuovo governo quando hanno ripreso il controllo del Paese dopo il ritiro degli Stati Uniti. “Il decreto contraddice tutte le rassicurazioni date alla comunità internazionale dai Talebani durante le discussioni e le negoziazioni intercorse nel decennio passato sul rispetto dei diritti umani di tutti gli afghani, incluse le donne e le ragazze”, si legge nella dichiarazione ufficiale condivisa dalla missione delle Nazioni Unite in Afghanistan.

Quelle negoziazioni sono lettera morta. Pian piano il governo dell’Emirato islamico ha spazzato via i progressi fatti negli ultimi vent’anni, quando la presenza del contingente militare guidato dagli Stati Uniti e l’azione parallela delle Ong e delle Organizzazioni internazionali avevano cercato di cambiare volto al Paese, soprattutto nella capitale, dove tutt’oggi e anche dopo l’emanazione del nuovo decreto alcune donne continuano a camminare disinvolte, secondo quanto riportano le agenzie internazionali sul posto.

La resistenza delle cittadine è forse tutto quello che resta dell’occupazione occidentale: sarà più difficile imporre la legge islamica alle donne che avevano tastato il sapore dell’emancipazione e della libertà quando il governo filo occidentale ha iniziato ad accordare loro il diritto di studiare, lavorare e camminare per strada senza coprirsi. Lo dimostrano le parole delle attiviste in prima linea nella lotta per la parità di genere. “Mi rifiuto di coprirmi, anche se mi uccidono“, ha detto al New York Times Shabana Shabdeez, 24 anni, attivista per i diritti a Kabul. “Le donne sono nate libere, camminare liberamente per strada fa parte dei loro diritti umani”.

Ma il timore è che queste importanti prese di posizione non attecchiscano sulla maggior parte della popolazione, considerando che nelle aree rurali, le stesse che non si sono opposte all’avanzata dei talebani l’estate scorsa, alcune comunità non hanno mai smesso di far indossare il burqa alle donne, che le sanzioni contro chi verrà meno alla raccomandazioni si preannunciano severe per donne e uomini e che, in nove mesi, molti altri spazi di libertà sono già stati tolti alle afghane.

I provvedimenti che hanno ristretto la loro possibilità di lavorare, di studiare e di viaggiare sono arrivati a cascata e hanno già prodotto effetti devastanti, come la chiusura delle scuole secondarie femminili a marzo scorso. Un altro annuncio che ha spiazzato la comunità internazionale che da lontano sta a guardare e considera ormai dimenticate le parole pronunciate dai Talebani dopo la presa di Kabul. Di fatto le donne torneranno a chiudersi in casa, a servire gli uomini e a essere sottomesse come prima della guerra. La raccomandazione a indossare il burqa è arrivata infatti insieme a quella di restare a casa, salvo nei casi strettamente necessari e “per svolgere compiti importanti”.

Un destino forse già scritto nell’accordo stretto a Doha nel 2020 con i talebani dall’allora Capo della Casa Bianca Donald Trump, un incontro che aveva lasciato fuori l’allora presidente Ashraf Ghani e tutto il governo che aveva cercato di far rinascere la società civile. A Ghani fu solo chiesto di liberare migliaia di prigionieri, gli stessi che hanno comandato le truppe che hanno conquistato tre quarti dell’Afghanistan ad agosto. Mentre militari e funzionari governativi si ritiravano o fuggivano, era già troppo tardi per assicurarsi che la società fosse protetta e che l’Afghanistan non diventasse un Emirato islamico a tutti gli effetti.

 

 

 

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