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Home » Economia

Eredità universale: l’economista Salvatore Morelli spiega a TPI la proposta del Forum Disuguaglianze e Diversità

Immagine di copertina
Credit: AGF

“Più tasse su successioni e donazioni per assicurare un capitale di partenza a tutti i giovani”. Così il docente associato di Economia pubblica presso l'Università Roma Tre illustra la proposta per un'eredità universale

Professor Morelli, cos’è l’eredità universale?
«La proposta di eredità universale prevede di riequilibrare verso l’alto il capitale di partenza a disposizione di quella fetta di popolazione che si affaccia alla vita adulta, una fase particolarmente sensibile, delicata e trasformativa, dove si prendono decisioni cruciali, attingendo dai vantaggi ricevuti nel corso della vita da chi ha avuto la fortuna di godere di consistenti successioni e donazioni».
Cosa prevede in concreto?
«Prevede, da un lato, un riequilibrio della tassazione in chiave progressiva sui trasferimenti di ricchezza, in particolare le successioni alla morte e le donazioni in vita, e dall’altro un versamento di 15mila euro a favore di tutte le persone che diventano maggiorenni, senza condizioni di utilizzo».
Perché proprio 15mila euro?
«È una cifra simbolica. Quando avanzammo per la prima volta questa proposta, era pari a circa il 10% della ricchezza netta media pro-capite in Italia. Ma è anche una somma che, secondo gli esempi e i calcoli che presentammo allora nel rapporto del Forum Disuguaglianze e Diversità, permette di coprire il costo di tre anni di tasse universitarie o, in alternativa, di pagare l’affitto di una stanza in una città media italiana per il triennio di studi, o di costituire almeno una Srl ordinaria».
Qual è lo scopo?
«Avere una base di ricchezza su cui contare potrebbe allargare lo spettro delle opportunità, delle scelte di vita e delle libertà di azione e pianificazione, inclusa la possibilità di prendere rischi, costituire attività territoriali innovative, investire nel proprio capitale umano e nel proprio grado di istruzione e competenze o anche semplicemente di risparmiare».

Serve una nuova tassa però: una “imposta sui vantaggi ricevuti”.
«La nostra proposta prevede un completo riassetto del sistema di tassazione dei trasferimenti durante il corso della vita. Innanzitutto dovremmo cambiare la modalità di tassazione dei patrimoni per andare a interessare tutti i trasferimenti, le donazioni e le eredità che riceviamo. Si tratta di una sorta di inventario in cui registrare tutti i vantaggi economici ricevuti, motivo per cui l’abbiamo chiamata così. Ma in primis dobbiamo cambiare prospettiva: da una tassazione annuale a una di ciclo vitale, dove quello che conta non è quanto abbiamo ricevuto quest’anno, ma nell’intero corso della nostra vita. L’obiettivo è adottare un approccio volto a ridurre le disuguaglianze di opportunità tra le persone. Dopodiché sarà necessario introdurre una forma di progressività».
Sono previste soglie di esenzione?
«L’esenzione è fissata a 500mila euro: tutto quanto ricevuto al di sotto di questa cifra non verrebbe tassato».
Quanto pagano tutti gli altri?
«Ogni trasferimento da 500mila a un milione di euro sarebbe tassato al 5%. Tra uno e cinque milioni invece l’aliquota salirebbe al 25%, mentre al di sopra di questa somma si arriverebbe al 50%. Queste soglie possono sembrare elevate ma sono compatibili con gli attuali livelli massimi di tassazione sui grandi patrimoni in Paesi come Giappone, Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia, dove le aliquote massime sono comprese tra il 30 e il 55%: quindi è un cambiamento fattibile».
Ma chi paga?
«La previsione di una soglia di esenzione tanto generosa riduce la platea dei soggetti interessati dall’imposta. Al momento, secondo le nostre stime, solo il 6% degli adulti più ricchi del nostro Paese possiede un patrimonio più alto di 500mila euro. Questo significa che la classe media e le piccole eredità verrebbero in gran parte esentate. Ad aumentare le disuguaglianze infatti sono le grandi successioni, che in genere concentrano la ricchezza su chi è già relativamente abbiente anche prima di ricevere l’eredità, acuendo le disparità».

Come pensate di contrastare l’elusione?
«Cambiando paradigma: il paradosso dell’attuale sistema di tassazione è che buona parte del gettito tributario viene concentrato su chi riceve una somma inferiore a un milione di euro».
Ci spieghi meglio.
«A fronte di quasi 250 miliardi di euro di trasferimenti stimati ogni anno in Italia, tra donazioni e successioni, il gettito è inferiore a un miliardo circa. La maggior parte di questi introiti però pesa soprattutto su chi riceve somme inferiori a un milione. Ricalibrando la tassazione come l’abbiamo proposta noi, invece, il 95% del gettito sarebbe generato da chi riceve eredità superiori a tale cifra. Questo rafforzerebbe la progressività del sistema tributario, attualmente regressivo».
Come si fa a ricalibrare il sistema?
«Allargando la definizione della base imponibile, cioè quali sono i patrimoni soggetti a tassazione. Al momento il sistema prevede una serie di buchi».
Quali?
«Le obbligazioni governative, ad esempio, o i fondi pensione e assicurativi privati, le quote di aziende, anche quotate in borsa, che vengono ereditate e di cui si mantiene il controllo per almeno cinque anni dalla ricezione».
Cosa proponete?
«Proponiamo di ampliare la base imponibile il più possibile per coprire questi buchi, che promuovono pratiche elusive ed evasive perché incentivano le persone a trovare il modo di minimizzare il carico fiscale, grazie alle scappatoie offerte dal sistema».

Basterà per finanziare l’eredità universale? La vostra ultima stima parlava di un costo pari a circa 8,8 miliardi di euro all’anno.
«Quella stima è datata e stiamo lavorando per aggiornarla. Quando abbiamo proposto l’eredità universale contavamo di coprire i due terzi circa di questa misura con la nuova formula di tassazione. Ma sulla base degli attuali trend demografici e del calo delle proiezioni delle nascite fino al 2050 potremmo colmare anche questo gap, visto che si sta riducendo il potenziale numero di beneficiari del trasferimento e al contempo sta paradossalmente aumentando il volume delle eredità in successione e quindi la base imponibile soggetta a tassazione».
La maggior parte dei patrimoni ereditati riguarda immobili. Servirà un aggiornamento dei valori catastali?
«Servirà assolutamente una ricalibrazione dei prezzi degli immobili dal valore catastale a quello di mercato. Sappiamo che, attualmente, il valore catastale è almeno 3,3 volte più basso di quello di mercato. In altre parole un immobile che potrebbe essere venduto a tre milioni di euro, al catasto è valutato meno di uno e questo ha, ovviamente, delle ripercussioni sul flusso del gettito tributario».
Ci fa un esempio?
«Immaginiamo di avere un immobile che sul mercato vale circa sei milioni di euro e che venga diviso fra due eredi in parti uguali. Sul mercato ciascuno potrebbe realizzare tre milioni di euro mentre il valore catastale della loro proprietà sarebbe in media inferiore al milione. A sistema vigente non ci sarebbe nessuna forma di tassazione su questi patrimoni».
Quante persone riguarderebbe una misura simile?
«Con una soglia di esenzione di 500mila euro, molto poche. Dai dati ufficiali sappiamo che meno del 2% del patrimonio complessivo immobiliare in Italia ha un valore di mercato superiore a 600mila euro. È chiaro che un qualche tipo di riforma del catasto sarà assolutamente necessaria, non solo per garantire il gettito ma anche per assicurare un’equità tributaria orizzontale e verticale».

A proposito di equità, come la mettiamo con i patrimoni “illiquidi”? Non è facile valutare, ad esempio, le imprese familiari non quotate.
«La loro valutazione è certamente complicata ma va detto che queste costituiscono una piccola fetta della ricchezza complessiva, anche se potenzialmente interessano proprio le fasce più abbienti della popolazione. Non è comunque un problema irrisolvibile: per evitare di deprimere gli investimenti, un rischio collegato all’aumento del carico tributario sugli eredi, si potrebbero ad esempio prevedere casi di rateazione su base decennale dell’imposta».
Passando ai beneficiari: non teme che un’eredità “universale” rischi di premiare anche chi non ne ha bisogno?
«Sul concetto di universalità abbiamo registrato tante obiezioni ma offre anche molti vantaggi. Da un lato, riguardando tutti, elimina gli incentivi a manipolare la propria condizione economica dichiarata per poter rientrare nella soglia di esenzione. Questo riduce anche i rischi di arbitrarietà ed errori nell’identificare chi effettivamente rientri o meno nella platea soggetta a tassazione. Inoltre anche gli eredi delle persone più abbienti hanno diritto a godere di un mezzo di affrancamento rispetto alla famiglia di provenienza. In più sapere che anche i discendenti di chi ha contribuito beneficeranno di questa misura rafforza l’accettabilità dell’imposta».
Un’equità generazionale più che di classe.
«Una misura universalistica rafforza il senso di appartenenza comune ed evita la divisione tra chi ha ricevuto e chi no».

Va bene l’universalità ma perché non condizionare il versamento a un percorso di studio o di imprenditorialità?
«La nostra scelta di non imporre alcun vincolo all’utilizzo di queste risorse è coerente con l’obiettivo di una misura che valorizzi la libertà effettiva dei giovani di contare su una base di ricchezza all’inizio della propria vita adulta. Non c’è nulla di male nell’imporre vincoli per minimizzare il rischio di spreco e di abuso ma l’identificazione di tali limiti si ridurrebbe a stilare una lista delle scelte corrette, potenzialmente molto arbitraria. Inoltre un tale approccio risulterebbe non solo paternalistico ma anche costoso perché imporre delle condizioni per incassare la somma, richiederebbe un monitoraggio dei comportamenti corretti, che sarebbe ancor più complicato. Ai divieti e alle liste delle scelte corrette, che costituirebbero un fallimento in partenza dello spirito di questa misura, vogliamo invece opporre l’ascolto dei giovani».
Che cosa intende?
«Proponiamo di predisporre nelle scuole, già a partire dai 14-15 anni, un servizio di accompagnamento che aiuti il più possibile i futuri beneficiari a prendere decisioni informate, consapevoli e oculate».
Una sorta di struttura di ascolto.
«Una struttura di ascolto delle aspirazioni di questi ragazzi, che verrebbero interpellati sui loro piani per il futuro. Sarebbe un’occasione di riflessione personale ma anche collettiva. Un rito di passaggio che potrebbe avvenire sia all’interno che fuori dalle scuole, con una sorta di welfare di comunità a cui potrebbero partecipare anche rappresentanti del mondo delle imprese, delle istituzioni, dell’università e di ogni altro settore della società. Potrebbe rivelarsi anche un bel momento di condivisione».
Cioè?
«Non è detto che questi versamenti debbano servire solo per piani individuali. Immagini cosa potrebbe succedere se un gruppo di una decina di ragazzi di una singola classe decidesse di finanziare un progetto collettivo: da 15 avremmo all’improvviso un investimento da 150mila euro».
Cosa potrebbe nascerne?
«Nessuno può saperlo: una misura del genere sfida l’immaginazione. Ma una sperimentazione su un campione limitato, dove sia possibile controllare il contesto in cui applicare tale misura, assumerebbe grande importanza per poterne effettuare un’analisi accurata dell’impatto e raccogliere informazioni sui suoi potenziali effetti».

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