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Virus indebolito? Cosa pensano gli scienziati del nuovo ceppo scoperto a Brescia

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Virus indebolito? Cosa pensano gli scienziati del nuovo ceppo scoperto a Brescia

La scoperta di un ceppo meno potente del virus isolato a Brescia ha aperto un confronto tra esperti. Il Coronavirus si è veramente indebolito? Potrebbe tornare nella sua forma più virulenta? Non tutti i virologi, in realtà, leggono questa informazione allo stesso modo. Anticipando la scoperta effettuata dal laboratorio di Microbiologia dell’Asst Spedali Civili, il presidente della Società italiana di virologia Arnaldo Caruso ha dichiarato: “Mentre i ceppi virali che siamo stati abituati a vedere in questi mesi, che abbiamo isolato e sequenziato, sono bombe biologiche capaci di sterminare le cellule bersaglio in 2-3 giorni, questo per iniziare ad attaccarle ha bisogno minimo di 6 giorni“.

Carlo Federico Perno, professore di Microbiologia e virologia all’Università di Milano e direttore del Dipartimento di Medicina di laboratorio all’Ospedale Niguarda, sostiene che quello di Brescia sia “un modello in vitro molto preciso”. A essere stato identificato, spiega, è “un tipo di virus che uccide le cellule meno rapidamente rispetto ai ceppi circolanti nei mesi scorsi. Questo però non significa indebolimento del germe né della sua efficacia replicativa, ma solo della sua capacità di fare danno (effetto patogeno). Un virus che replica tanto non necessariamente è molto aggressivo, dunque è impreciso dire che Sars-CoV-2 si sta attenuando. È la malattia che è meno aggressiva, perché i pazienti vengono individuati e curati più precocemente”.

I dati a disposizione non consentono infatti ancora di valutare se il virus si sia effettivamente indebolito. Anzi, sottolineando l’importanza di un ampio studio cinese pubblicato sulla rivista NatureMassimo Galli, direttore del Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche “Sacco” dell’Università Statale di Milano, evidenzia che il microrganismo, dall’inizio dell’epidemia, non è sostanzialmente cambiato.

“Al momento le circa 30mila sequenze virali depositate nella banca dati internazionale dicono che il virus da dicembre a oggi ha subito pochissime e poco significative mutazioni”, ha detto al Corriere della Sera Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma. “Tutti gli isolamenti che abbiamo effettuato confermano questo trend. Ad essere mutate sono le condizioni ambientali: il numero degli infetti è diminuito, l’affinamento delle strategie di sorveglianza consente di individuare sempre più precocemente i casi positivi”.

I medici che stanno sul campo, tuttavia, evidenziano cambiamenti oggettivi nel loro vissuto quotidiano vicino ai pazienti. “È una sensazione di pancia, ma basata su una quotidianità che a marzo e aprile è stata pesantissima e oggi è cambiata”, dice Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova. “Ancora oggi ricoveriamo dei novantenni, ma se la cavano con forme lievi, non rischiano la vita”.

Cosa manca quindi per capire davvero se il virus si è indebolito? “Per dimostrare che Sars-CoV-2 è effettivamente mutato è necessario sequenziare il suo genoma e clonarlo in un cromosoma artificiale batterico per poter verificare le cosiddette gain of function o loss of function del virus”, spiega Giorgio Palù, past president delle Società italiana ed europea di virologia e professore emerito all’Università di Padova. Palù definisce “di grandissimo interesse” il dato rilevato a Brescia, ma, aggiunge, “servirebbero conferme di scarsa replicazione in altri pazienti”.

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