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E il pentito disse: “Attento ai mitra, sono come quelli dell’omicidio Moro”

Immagine di copertina
Una foto d'archivio, datata 9 maggio 1978, del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in una Renault, in via Caetani a Roma. ROLANDO FAVA - ANSA

Sul nuovo numero di The Post Internazionale - TPI, in edicola da venerdì 6 maggio, nell'ambito dell'inchiesta "Struttura Riservata", il contenuto dell'audizione del sostituto procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, titolare del processo ’Ndrangheta stragista, dinanzi all’allora Presidente della Commissione Moro Giuseppe Fioroni, in riferimento a un verbale successivo alla prima fase di collaborazione di Antonio Fiume

«Perché, dottore, non so se questa è una cosa di cui io posso parlare, perché non ne ho mai parlato, proprio perché è una cosa che mi intimorisce. Le devo dire che queste armi in particolare mi furono raccomandate da Orazio De Stefano, che all’epoca era latitante (all’epoca intendo febbraio 2002) e che era il vertice della famiglia De Stefano accanto al nipote Giuseppe De Stefano, il quale mi disse più volte: “Nino, guarda, tutte le armi nostre le devi custodire con particolare cura, ma stai attento ai due fucili mitragliatori tipo Skorpion perché sono simili a quelli usate per l’omicidio Moro”. Lo invito ovviamente ad aggiungere dei particolari, ma non ha particolari specifici sulle armi. Dice però che erano delle armi su cui c’era un’attenzione molto alta, che erano nascoste in una particolare situazione e condizione, con misure particolarmente elevate di protezione».

I fili dell’eversione

Queste sono le parole che il sostituto procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, titolare del processo ’Ndrangheta stragista, il cui appello si sta tuttora svolgendo, riferisce il 28 settembre del 2017 all’allora Presidente della Commissione Moro Giuseppe Fioroni, facendo riferimento a un verbale successivo alla prima fase di collaborazione di Antonio Fiume. E da queste parole del collaboratore il magistrato ricostruisce il livello della componente o struttura riservata, via via individuata nel corso dei vari processi che si sono svolti a Reggio Calabria. Indagini che la procura del capoluogo calabrese porta avanti da più anni, mettendo insieme i fili dell’eversione e dell’alta criminalità tesi insieme nel nome della destabilizzazione. «Una componente più elevata, segreta, all’interno del sistema criminale calabrese che in origine si chiama “Santa”, voluta proprio da questi storici capi (…)» e che «all’epoca (sequestro e omicidio Moro, nda) esisteva, aveva la stessa funzione, è la componente che può aver gestito la presenza di Antonio Nirta». Lombardo prosegue: «Fiume conosce l’estrema vicinanza dei De Stefano a determinati ambienti non solo politici, continua a riferire che nelle confidenze familiari si faceva costante riferimento al fatto che i De Stefano godevano di protezioni superiori. Queste protezioni superiori erano garantite dai loro legami con appartenenti a servizi di sicurezza che aprivano determinate porte, e riferisce che tutto questo mondo ruotava, nella famiglia De Stefano, attorno alla figura dell’avvocato Giorgio De Stefano, uno dei protagonisti principali della ricostruzione “Mammasantissima”. Dice anche tutta una serie di cose (…) e spiega che la famiglia De Stefano, legatissima ai Piromalli, aveva un rapporto privilegiato anche con i Nirta “La Maggiore” (…) “La Maggiore” si chiama così perché è un’aggregazione di grandi famiglie, che in gergo ’ndranghetistico sono definite “la mamma”». Ed è proprio La Maggiore ad avere avuto i suoi addentellati già negli anni 70 nella Capitale. Secondo Lombardo, Fiume non avrebbe mai messo a rischio la sua credibilità.

Mammasantissima

«Per capire i veri rapporti di forza e chi comanda davvero, dovete tornare al progetto, iniziato a seguito del summit di Montalto dell’ottobre 1969 (…) Quando muore Giorgio De Stefano, che dopo il cambiamento doveva diventare il capo dei capi ed era il capo dei capi? Nel novembre 1977. Siamo quindi in una fase in cui la ’ndrangheta si trasforma profondamente, ancor più di quanto avesse iniziato a fare nell’ottobre del 1969».

Quando Fioroni chiede al magistrato se in questi casi la ’ndrangheta fa una scelta politica nel determinare il suo appoggio a organizzazioni eversive, Lombardo risponde: «È chiaro che, se nel luglio del 1970 (…) capisci che cavalcare i moti di Reggio, che nascono per un motivo ben chiaro, è qualcosa di destra, in quel momento cavalchi quello che vuole la destra e crei una serie di rapporti che poi, ovviamente, ti trascini». Ma: «L’alta ’ndrangheta non ha colore politico come vediamo nel caso di Paolo Romeo che nasce soggetto di destra estrema e con un certo ruolo già ai tempi dei moti di Reggio e nella fase immediatamente successiva, ma poi diventa parlamentare Psd, mantenendo esattamente lo stesso tipo di rapporti e di funzione».
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