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Ricordando il professor Luciano Pellicani: i suoi insegnamenti oggi sono utili più che mai

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La crescita economica non può più fermarsi e l’onda della globalizzazione è ormai incalzante. La questione, in questi giorni e per quelli a venire, sarà come farla funzionare

Ricordando il professor Luciano Pellicani

“Noi non studiamo per puro divertimento – sebbene possa essere divertente – ma allo scopo di scoprire come siamo arrivati dove siamo ora”. Questa citazione di Hugh Trevor-Roper, apre uno dei più volumi più importanti della sociologia politica italiana, “La genesi del capitalismo e le origini della Modernità” di Luciano Pellicani.

 

 

Luciano Luigi Pellicani nasce il 10 aprile 1939. Cresce a Napoli e nel 1964 si laurea in Scienze Politiche con una tesi su Antonio Gramsci. Durante gli anni in cui lavora alla stesura della tesi, Pellicani, che proveniva da una famiglia comunista, si rese conto che “il comunismo non era una buona idea realizzata male. Era proprio un’idea sbagliata” e decise quindi di avvicinarsi ad istanze socialiste-riformiste. Nel 1976 Pellicani contattò il leader socialista Bettino Craxi dopo aver letto un articolo in cui veniva da lui citato,  sancendo di fatto, l’inizio di una collaborazione con il Partito Socialista Italiano. Dal 1985 fino al 2008 diresse il periodico socialista “MondOperaio”.

In tutti questi anni ha continuato a svolgere l’insegnamento presso la Libera Università degli Studi Sociali Guido Carli di Roma, dove è stato docente di sociologia generale e politica. Proprio in questa università ebbi, nel 2017, la fortuna e l’onore di conoscere il Professore. Dopo aver seguito il suo corso di Sociologia decisi, insieme a lui, di scrivere la mia tesi circa il rapporto tra Secolarizzazione e Capitalismo. Si instaurò fin da subito, un rapporto autentico e sincero basato sopratutto sull’ascolto reciproco. Per un anno frequentai il salone della casa del professore, immergendomi ogni volta nel fumo delle sue Marlboro rosse che sapevano di storie. Le stesse storie bizzarre e particolari che mi raccontava alla fine di ogni nostro incontro, e che, diceva sempre, mi sarebbero state utili non appena sarei giunta al grande incontro con la “Modernità”.

La Modernità, affermava Pellicani, è quella serie infinita di possibilità in cui finalmente si può scegliere chi essere e chi diventare, quel luogo in cui ci possiamo tutti sentire liberi di essere noi stessi e di coltivarci, anche e sopratutto, tramite il confronto con l’altro. La Modernità, ci dice il professore, è non avere paura di stare insieme.

Ma oggi, quanto è difficile ottenere e mantenere questa così detta “libertà dei moderni”? Molto, ci dice il nostro professore. Questa libertà necessita di Stati che credono in loro stessi, di Stati che si compongono di un insieme di istituzioni democratiche nate per garantire gli interessi di tutti i cittadini e che tutelano l’uguaglianza formale e sostanziale. Sono Stati in cui il dibattito uomo a uomo è critico, costruttivo, svincolato da paure.

La vera Modernità chiede a tutti gli Stati di dotarsi di uno strumento in particolare: la filosofia. Proprio come fece Atene nel V secolo, la filosofia risulta essere l’unico strumento capace di abbattere la paura dell’altro, dello straniero e del diverso. È senz’altro uno strumento fondamentale da inserire nella cassetta degli attrezzi del politico moderno. Risulta indispensabile, come afferma il professore, facilitare e promuovere lo sviluppo di un dibattito aperto e critico. È proprio questa apertura verso l’altro che costituisce il punto di forza di tutte quelle comunità che riescono a sopravvivere all’avvento della Modernità. Coloro che sanno accogliere, coloro che elaborano idee lontane e diverse, che riconoscono che per crescere e andare avanti c’è bisogno di tanto coraggio tanta unione ed umiltà sono pronte alla Modernità.

Mi sento in questo senso legittimata a richiamare la nostra situazione attuale di emergenza. Ormai da più di un mese, tutto il paese è in lockdown. La maggior parte dei settori dell’economia italiana è ferma, noi tutti chiusi nella nostre case, rimaniamo sospesi, in attesa, della fine di questo inferno. Ricordo bene però, l’ottimismo del Professore circa gli avanzamenti della tecnica e della scienza. In un suo famoso libro “Anatomia dell’Anticapitalismo” discute di quanti passi in avanti abbia fatto l’umanità nel fronteggiare le carestie e le epidemie. Pellicani ci invita a riflettere sul fatto che proprio grazie alla Rivoluzione Industriale sono stati mitigati due dei più micidiali flagelli che nel corso della storia hanno colpito il genere umano, tra di questi, figurano appunto, le epidemie e le carestie. Le carestie sono state debellate grazie alla prodigiosa crescita della produttività del lavoro resa possibile dalla convergenza sinergica di tre fattori: il mercato, la scienza e la tecnologia.

Le epidemie però, sono state create e portate all’uomo a seguito del progresso di: mercato, scienza a tecnologia. I risultati si vedono nella domesticazione degli animali che ha generato i peggiori killer nella storia di tutta l’umanità (vaiolo, influenza, tubercolosi, malaria, peste, morbillo e colera)[1]. Per millenni gli uomini hanno vissuto in condizioni igieniche spaventose e sono stati esposti in ambienti popolati da invisibili agenti portatori di morte. Secondo la tesi di Pellicani, sussiste un paradosso quando si analizzano il progresso e la Rivoluzione Industriale: il progresso disinquina inquinando, così come la Rivoluzione Industriale eliminando un inquinamento tradizionale ne ha creato uno nuovo.

Già in questo libro, scritto nel 2010, si nota come, con lungimiranza, il professore avesse colto a pieno la grande sfida che noi tutti oggi viviamo: come fare per mettere sotto controllo uno sviluppo demografico oltre che economico (si pensi alla Cina proprio nell’ambito della diffusione da COVID-19) che, se non regolato, rischia di portare l’intero sistema al collasso catastrofico. Si pensi all’Iran, che oggi si trova davanti alla stessa dialettica drammatica tra rilancio dell’economia e salvaguardia della salute dei lavoratori all’interno di un sistema sanitario inefficiente. Sulla base di questa dialettica, ritengo che il professor Pellicani, ci possa fornire una delle sue più importanti lezioni, utili nel fronteggiare questa pandemia.

Allontanandoci da retoriche ecologiste radicali o rivoluzionarie, solo attraverso il corretto connubio tra politica, scienza e tecnologia si può ristabilire un rapporto equilibrato fra l’uomo e la natura. Correggere la “rotta dell’astronave-terra”, oggi significa prendere coscienza che la crescita economica non può più fermarsi e che l’onda della globalizzazione è ormai incalzante. La questione, in questi giorni e per quelli a venire, sarà come farla funzionare. Le nostre consapevolezze fin qui acquisite e quelle che arriveranno in futuro ci faranno da guida per convincerci sempre di più della necessita di istituzioni pubbliche globali che stabiliscono regole e piani per fronteggiare crisi mondiali.

Tenere gli occhi aperti sul passato per comprendere il presente è una delle più importanti lezioni di vita che ci lascia il professor Pellicani. In lui scorgo una sete di conoscenza che compie a pieno il suo dovere, ovvero rendere l’uomo libero. Un sociologo, un professore, un mentore ed un maestro di vita che ha saputo trasformare lo studio e l’analisi sul capitalismo in un bellissimo viaggio personale verso la libertà ed il coraggio. Quel coraggio che dentro di lui trovò terreno fertile per svilupparsi ed espandersi. Le sue idee erano sempre libere, come lui, di cambiare ed essere riviste e rielaborate. Un animo che non temeva la forza dei cambiamenti e proprio per questo invitava tutti noi a fare lo stesso, per noi stessi, per gli altri e per i nostri figli. La ringrazio professore e mi auguro di scrivere ancora per molto, come lei più volte mi ha augurato.

[1] J. Diamond, Armi, acciaio e malattia, Einaudi, Torino 1998, p.150.

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