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Se in Italia non si fanno più figli, il Paese è destinato al fallimento. Ecco perché

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Le conseguenze per l’Italia del declino demografico, determinate dal fatto che nel nostro Paese si fanno pochi figli, sono drammatiche. Per capire la portata di tali conseguenze bisogna sapere che in Italia, dati Istat al 1° gennaio 2021, si fanno di media 1,24 figli per ogni donna, ben al di sotto del dato di 2,1 figli per donna che è il tasso di sostituzione di una generazione ovvero il tasso che permette di mantenere costante la popolazione di un paese. Negli ultimi 7 anni l’Italia ha perso 1.088.000 residenti, numeri impressionanti se rapportati ad un paese di circa 60 milioni di abitanti. Infatti, rileva l’Istat, la popolazione residente in Italia al 1° gennaio 2021 ammonta a 59 milioni 258mila, erano 60 milioni 346mila al 1° gennaio 2014. E il nostro paese ha il minimo di nascite e massimo di decessi: 7 neonati e 13 decessi per mille abitanti.

S&D

Gli scienziati esperti di demografia hanno lanciato già da tempo l’allarme sul declino demografico italiano, mettendo in evidenza che se le cose restassero così come sono allo stato attuale, nel giro di 100 anni la popolazione italiana scenderebbe intorno ai 30 milioni di abitanti, rispetto ai 60 milioni attuali. Con questi numeri non ci sono manovre economiche che tengono: la riduzione della popolazione associata ad una sproporzione verso la fascia di età avanzata, determina riduzione dei consumi, riduzione del reddito prodotto, riduzione delle entrate fiscali, disoccupazione, ed uno squilibrio tale che i contributi versati dai pochi giovani lavoratori non saranno sufficienti a pagare le pensioni dei tanti cittadini usciti da un lungo ciclo lavorativo, nonostante la legge Fornero che proprio in questi giorni il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha dichiarato di voler ripristinare.

Questo trend di decrescita demografica genera già ora, inevitabilmente, delle ripercussioni negative su tutto il sistema economico, sanitario, sociale, scolastico, su quello del lavoro, ma anche sul sistema pensionistico. Il tessuto demografico è quello che tiene in piedi un Paese ed il suo sistema economico e sociale. Perciò un calo demografico di una tale portata può far saltare l’intero Sistema Paese che si tiene in piedi solo se c’è un adeguato ricambio generazionale ed una giusta proporzione tra le varie fasce d’età della popolazione. Un sistema paese non riesce a tenersi in piedi se c’è una preponderanza della fascia d’età avanzata, che per forza di cose non può avere la spinta propulsiva e produttiva delle fasce generazionali più giovani.

È questo il motivo per il quale la politica dovrebbe fare degli interventi mirati, ad ampio raggio e di lungo periodo per aiutare e premiare chi può fare figli, perché i bambini seppur frutto di una scelta individuale rappresentano tuttavia, in un’ottica di sistema, un “bene collettivo” utile per la crescita socioculturale ed economica di un Paese. Senza bambini, muore la popolazione, muore l’economia, muore la cultura e vengono meno le basi su cui poggiare il futuro di un intero paese.

L’Italia è tra i paesi che spendono di meno in Europa per la famiglia, circa l’1% del Pil. Nei Paesi scandinavi come Finlandia, Norvegia, Danimarca si supera il 3%. E, forse, non è un caso che questi siano quelli con tassi di fertilità tra i più alti nel Vecchio Continente. Nel nostro paese, poi, si destina una cifra ridicola per i servizi all’infanzia lo 0,66% del Pil, che è la metà della Svezia e un quarto dell’Ungheria. L’Italia ha poi la percentuale di giovani inattivi, ovvero che non studiano e non lavorano, più alta d’Europa ed è al penultimo posto in Europa per l’occupazione femminile. Inoltre, in Italia si rinvia sempre più avanti nell’età la nascita del primo figlio, che avviene in media all’età di 32 anni, ben 4 anni in media più tardi della Francia e dei Paesi Scandinavi. Questo rinvio della nascita del primo figlio per la maggioranza delle coppie diventa poi una rinuncia. Il risultato è che la Francia ha oltre 300.000 nati all’anno in più dell’Italia.

In tutto ciò, i vari Governi che si sono succeduti non hanno mai messo in piedi una strategia di lungo termine a sostegno delle famiglie e della natalità. Come scritto da Massimo Calvi su Avvenire:

«Se si osserva il contesto europeo dei sostegni, due cose emergono con evidenza: l’Italia è uno dei Paesi col tasso di fecondità più basso e al contempo è tra quelli che destinano meno risorse per ‘famiglia e figli’. A questa voce, secondo dati Eurostat, è andato il 3,2% della spesa pubblica italiana del 2017, contro il 3,6 della media Ue. La Germania ha speso il 3,7, la Francia il 4,2 la Svezia il 5, la Danimarca l’8,6.

Ma in che modo gli Stati impiegano le loro risorse a favore delle coppie con figli? Una politica per la famiglia si caratterizza in genere per tre tipi di sostegni: primo, le erogazioni monetarie, come i bonus o gli assegni familiari; secondo, le agevolazioni di carattere fiscale, ad esempio le detrazioni per i figli a carico; terzo, i servizi ai genitori o i benefit ‘in natura’, come gli asili nido e i congedi parentali. Nei Paesi del Nord Europa si tende a puntare soprattutto su erogazioni monetarie e servizi. In Svezia, ad esempio, oltre agli assegni familiari universali molti servizi per i bambini sono di fatto gratuiti, mensa scolastica compresa, e i genitori possono beneficiare di congedi pagati per ben 480 giorni. Nel resto del Continente, dalla Francia alla Germania alla Spagna, si tende ad avere un mix più equilibrato tra ‘cash’, sconti fiscali e servizi.

L’Italia – spiega ancora il giornalista – segue questo modello, distinguendosi tuttavia per un livello di spesa non elevato, pur se cresciuto negli ultimi anni. Come può migliorare il modello italiano di sostegni? Se l’idea è di mantenere una proporzione equilibrata tra assegni, fisco e servizi, il primo passo è sicuramente un aumento deciso delle risorse complessive. E la prima leva sulla quale si può intervenire è quella dei benefit monetari. Un’altra differenza marcata rispetto ai Paesi guida nelle politiche per i figli, infatti, riguarda il sistema degli Assegni per il nucleo familiare. Se nel resto delle voci la spesa italiana è semplicemente più bassa, sul fronte degli assegni la differenza è sostanziale.

Osservando poi gli assegni familiari negli altri Paesi si nota che l’assegno non è considerato una forma di contrasto alla povertà, verso la quale si interviene in altri modi, ma un intervento a beneficio dell’investimento sui figli, considerati un “Bene Pubblico”. In Francia spettano circa 130 euro al mese con il secondo figlio, in Gran Bretagna 160, Olanda 180, Svezia 215, in Germania 388 euro al mese. La caratteristica degli assegni italiani, invece, è che si parte da 137 euro per il primo figlio, un importo non basso nel confronto internazionale, ma dai 14.775 euro lordi di reddito familiare il benefit decresce rapidamente fino a diventare irrilevante presto: con 30mila euro di reddito familiare lordo, cioè due stipendi da circa 1.000 euro al mese, due figli si ‘meritano’ meno di 60 euro a testa al mese». [Fonte: Avvenire]

Tutto ciò tocca il ceto medio, vero motore dell’economia, guardando infatti ad una famiglia monoreddito con due figli – perciò 4 componenti – con un reddito complessivo lordo di euro 50.000 questa riceve un assegno familiare di appena 32 euro al mese per ogni figlio, una cifra del tutto insignificante.

«Le minori risorse che il nostro Paese destina ai figli producono alcune distorsioni: nelle famiglie con redditi bassi l’aumento del numero dei figli spinge le famiglie verso le soglie di povertà assoluta o relativa; nei nuclei con redditi più alti, invece, rispetto agli altri Paesi l’aumento del numero dei figli impatta in modo molto più netto sul reddito disponibile». [Fonte: Massimo Calvi – Avvenire]

Se a questo aggiungiamo la perdita di potere d’acquisto che i salari hanno dovuto subire negli ultimi 30 anni, a partire dalla cancellazione della “scala mobile”, arriviamo a capire il perché le giovani famiglie italiane hanno “paura” di fare figli.

È in conseguenza di tutto ciò che si può affermare che «l’Italia è un Paese che disincentiva la natalità» come sottolinea sempre Massimo Calvi di Avvenire. Per questo è venuto il momento di intervenire con una riforma radicale che incentivi le nuove nascite. È perciò necessario che la politica abbia un’idea precisa su cosa si può fare per le famiglie. I figli sono il “capitale umano” di un Paese e sono quelli che lavoreranno e pagheranno le pensioni negli anni futuri.

Quali sono le politiche che ad esempio ha messo in piedi la Francia per sostenere le nascite di nuovi bambini. Per comprenderlo bisogna iniziare da un diverso sistema di tassazione rispetto all’Italia: in Francia le tasse si pagano non sulla base del reddito individuale bensì in rapporto al quoziente familiare. In pratica la tassazione si ottiene considerando il reddito complessivo familiare rapportato al numero dei componenti della famiglia e c’è una forte riduzione delle imposte legate alla presenza dei bambini. Pertanto, il reddito su cui si calcolano le tasse diminuisce all’aumentare del numero dei componenti della famiglia, perciò più figli determinano una riduzione della tassazione che può addirittura arrivare ad annullarsi nel caso di famiglie con 3 e più figli.

calo demografico

Bisogna comprendere che la demografia non è un destino, ma è frutto delle scelte politiche dei Governi ed impatta sull’andamento del sistema economico e sociale nella sua interezza.

In Francia ci sono quasi 2 figli per donna, ma non ci si è arrivati per caso. Si è arrivati a ciò perché tutti i Governi che si sono susseguiti da De Gaule (politica francese degli ultimi 70 anni) in poi hanno sempre messo il sostegno alla famiglia come primo obiettivo. Qual è stato il colpo di genio finale della politica familiare francese? Quello che ha permesso alla Francia di diventare il paese con il tasso di fecondità più alto d’Europa, nonostante il crollo delle nascite che c’è stato pure li 50 anni fa. Sono state messe le donne nella condizione di fare figli e lavorare allo stesso tempo, ad esempio attraverso aiuti economici a pagare la baby-sitter alle mamme che lavorano. Per incoraggiare i francesi a fare figli hanno capito che bisognava puntare sull’aspirazione delle donne ad essere presenti nel mercato del lavoro. Così ci si è concentrati nel trovare soluzioni al problema della conciliazione tra professione e vita familiare ed iniziato ad investire soprattutto nei servizi per l’infanzia (asili, strutture, etc). La Francia in questo settore spende più del doppio di quanto spende l’Italia.  Aver messo la donna lavoratrice al centro delle politiche familiari ha voluto dire ripensare completamente l’organizzazione dei servizi dell’infanzia. Per esempio, i nidi sono aperti per 11 ore dalle 7,30 alle 18,30 e l’ingresso del bambino può avvenire a qualsiasi ora. L’orario del nido si adatta all’orario della famiglia, e non viceversa come avviene in Italia, perché ogni famiglia ha orari e ritmi di lavori diversi. Oltre i nidi ci sono anche le “assistante maternelle” ovvero le assistenti d’infanzia che tengono a casa propria un numero limitato di bambini. Così la Francia con quasi 2 figli per donna ha il tasso di occupazione femminile più alto dell’OCSE: al 67%, perciò del 20% più alto che in Italia. 

Dal primo luglio 2021, l’attuale Governo, su progetto dell’esecutivo precedente, ha dato vita all’assegno temporaneo, una prestazione transitoria, prevista fino al 31 dicembre 2021, destinata alle famiglie in possesso dei requisiti previsti dalla legge per ogni figlio minore di 18 anni, inclusi i figli minori adottati e in affido preadottivo. La misura, finalizzata a dare un sostegno immediato alla genitorialità e alla natalità, è stata adottata in attesa dell’attuazione dell’assegno unico e universale che dovrà riordinare, semplificare e – auspichiamo – potenziare le misure a sostegno dei figli, che stando alle dichiarazioni del Governo dovrebbe partire dal 1° gennaio 2022.

Ci auguriamo, rivolgendo un appello al Governo e alle Istituzioni, che l’assegno unico universale per i figli, allo studio nel decreto attuativo del Family Act, possa rappresentare un vero cambio di passo rispetto alle politiche deficitarie verso la famiglia e la natalità attuate in tutti questi anni. 

La realtà italiana è sotto gli occhi di tutti, ora tocca alla politica fare una scelta coraggiosa per prendere la decisione di investire risorse sulla famiglia e sui bambini considerandoli un bene pubblico, perché il futuro dell’Italia parte dai bambini!

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