Famiglia nel bosco, lo psicoterapeuta Pellai: “L’amore tossico esiste solo tra partner?”
"Un genitore può amare in modo pericoloso?": le riflessioni dell'esperto sulla vicenda dei tre bimbi allontanati dai genitori
Sull’intricata vicenda della famiglia nel bosco, l’opinione pubblica si è letteralmente spaccata in due. Tra coloro che hanno commentato la questione, c’è anche Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano. In un post pubblicato sul suo profilo Facebook, l’esperto, pur non esprimendosi sul caso in sé, ha posto una serie di riflessioni sulla genitorialità e non solo. “Ho decine di messaggi che mi chiedono di esprimere un giudizio sul caso ‘famiglia nel bosco’. Settimana scorsa ha rifiutato numerose interviste di media nazionali su questo caso. Non mi sono espresso perché non ‘so esattamente’ i contorni di questa specifica vicenda. Non so su quali evidenze la ‘tutela minori’ abbia preso la decisione che ha preso” scrive Pellai.
“Se devo esprimere un parare di massima, indipendentemente dal caso specifico, credo che la cosa che più va garantita ad un minore è la continuità degli affetti. Ma la continuità degli affetti non può prescindere dalla tutela del bene maggiore del minore che si basa anche sulla valutazione di condizioni oggettive. Mi spiego meglio: due genitori potrebbero rifiutarsi di sottoporre il proprio bambino a cure mediche più che necessarie per la sua sopravvivenza. Può lo stato interferire, in questo caso, con la decisione genitoriale? Un genitore potrebbe decidere che il suo bambino deve alimentarsi in modo non funzionale alla sua sopravvivenza per credenze personali che sono però incompatibili con la tutela della salute del bambino (è già capitato). Può lo stato intervenire in tale caso? Si tratta di condizioni in cui un genitore può essere molto competente sul piano affettivo ed essere riconosciuto come ‘base sicura’ dal proprio bambino, che nei suoi confronti perciò sviluppa un attaccamento sano” scrive l’esperto.
E ancora: “Al tempo stesso, però, quel genitore affettivamente competente, potrebbe mettere a repentaglio la salute e il benessere del corpo del bambino oppure togliere al bambino dei diritti che gli appartengono (il diritto all’istruzione, il diritto alla socialità, il diritto alla salute). Quando sei bambino puoi sentirti amato e amare un genitore che non tutela tutti i tuoi diritti, ma che ti vuole bene a modo suo, seguendo la sua cultura e i suoi principi che non necessariamente possono essere tutelanti il bene maggiore del bambino. Credo che in questi casi, chi tutela la salute dei bambini deve – nella continuità affettiva – garantire al bambino il ripristino delle condizioni oggettive che ne tutelano i diritti senza eventualmente interrompere la continuità affettiva”.
La riflessione di Alberto Pellai continua: “Nel caso specifico della ‘famiglia nel bosco’, forse l’opinione pubblica sarebbe stata meno ‘divisa’ se questa famiglia fosse stata tenuta unita e spostata in un luogo in grado di proteggere e garantire le condizioni di vita ottimali dei bambini. Dare una casa a questa famiglia, riscaldata e pulita, senza separarla, probabilmente non avrebbe generato il clamore che oggi accompagna la narrazione pubblica intorno a questo caso. in questo momento la famiglia non vive nel bosco, ma in un luogo protetto. Viene osservata da personale con competenze psicoeducative. I bambini nel frattempo convivono con la madre e non con il padre. il fatto che il padre sia ‘altrove’ e non con i suoi figli è la cosa che ci turba. Perché è accaduto? Non lo sappiamo”.
“Può un genitore che ama molto, amare in modo pericoloso, tanto da rendere il suo amore un rischio oggettivo per il benessere del minore? La questione che ci turba è tutta qui. Abbiamo imparato nell’amore tra adulti, a parlare di ‘amore tossico’ ed oggi ne comprendiamo il senso. Possiamo applicare lo stesso termine anche nella relazione tra un genitore e un figlio? Quali sono le condizioni che rendono possibile il ricorso a questa definizione nel caso in cui sia coinvolta la relazione genitore-figlio e non la relazione amorosa tra due adulti? E’ molto difficile definirle. Perché un genitore su un figlio ha la piena e autonoma responsabilità della crescita”.
Pellai, quindi, sottolinea: “Un ceffone tra partner amorosi oggi può essere denunciato alla giustizia. Ma quasi nessuno denuncia un ceffone dato ad un figlio, perché un figlio lo ‘incorpora’ nella regola che quel ceffone appartiene di diritto alla scelta educativa del genitore che ti cresce. E quindi non denuncerà mail la violenza che subisce per autodeterminazione educativa del genitore che lo cresce. Di fronte a bambini picchiati a scopo correttivo, lo stato può intervenire e proteggere, allontanando il minore dall’adulto maltrattante. Lo fa anche quando l’adulto è trascurante. Noi psicoterapeuti a volte lavoriamo con adulti che sono stati cresciuti, quando erano figli in modo davvero violento e disfunzionale, oppure trascurati sul piano fisico o emotivo. Da bambini, quei figli non si sono accorti del ‘mal-amore’ di cui erano oggetto. Da grandi hanno compreso che qualcuno avrebbe dovuto metterli in salvo, ma non è accaduto. Perciò, si trovano a dover curare ferite e cicatrici di cui nessuno si è preso cura. Da fuori spesso sembravano figli di famiglie perfette. Dentro, quelle famiglie erano invece altamente imperfette. Il dibattito pubblico oggi è proprio legato a queste domande: quella famiglia vista da fuori per molti è meravigliosa, per altri trascurante. Quella famiglia vista da fuori per molti è competente, per altri gravemente trascurante. Dove sta la verità? Chi siamo noi per poterlo decidere leggendo la notizia su un giornale? Io non ne sono in grado. Ma forse ho compreso perché questo caso ci sta turbando così tanto”.