“Gli smartphone sono come il tabacco: ecco perché vanno vietati sotto i 14 anni”: intervista allo psicoterapeuta Pellai

"Per anni abbiamo sottovalutato i rischi che comporta l’uso dei cellulari. Nei ragazzi abbiamo un aumento di ansia, depressione, deprivazione del sonno, ritiro sociale. E miopia. È un tema di sanità pubblica. Dobbiamo prenderne consapevolezza. Come fu per i danni del fumo. Gli adulti diano l’esempio”
Ogni tecnologia ha il suo giusto tempo: ecco perché nel settembre 2024 è stata lanciata sulla piattaforma Change.org una petizione che chiede al Governo italiano di impegnarsi a far sì che vi sia una regolamentazione che vieti il possesso di uno smartphone personale prima dei 14 anni e la creazione di un profilo social media prima dei 16 anni. Tra i promotori c’è Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano, nonché autore del libro Allenare alla vita, edito da Mondadori, che in questa intervista a TPI spiega quali sono i pericoli derivanti dall’utilizzo degli smartphone e dai social media soprattutto per i ragazzi in età preadolescenziale.
Dottor Pellai, perché, a suo avviso, è necessario regolamentare l’accesso di bambini e ragazzi a smartphone e social media?
«In questo momento il tema non è semplicemente un tema educativo di cui si deve occupare un genitore, cosa molto importante, ma è anche un tema collettivo. Siamo in una situazione in cui ci siamo resi conto, verificando cosa è accaduto alla cosiddetta Generazione Z, cioè i ragazzi e ragazze nati dal 2000 in avanti, che i social e gli smartphone ad uso personale sono in realtà anche un tema di sanità pubblica. L’impatto che hanno avuto sulla salute e sul benessere in età evolutiva rappresenta un fattore di rischio conclamato per tutta una serie di problematiche. Abbiamo l’adolescenza con il peggior indicatore di salute mentale degli ultimi decenni e questo aspetto ha impattato in modo molto significativo sulla crescita. Di fronte ad aspetti di questo tipo, il tema non è più semplicemente educativo ma è anche un imperativo che ci costringe a domandarci se non sia necessaria una regolamentazione a livello macro-sociale. Questo genere di cambiamenti all’interno della comunità nell’area della promozione della salute è, ad esempio, quello che ha accompagnato la presa di consapevolezza che il tabacco era un fattore di rischio conclamato per la salute e quindi, di conseguenza in questo caso ci si è mossi in una direzione educativa, attraverso la prevenzione, e ambientale, vietando il fumo nei luoghi pubblici».
Quali sono i principali fattori di rischio?
«Vi sono tutta una serie di problemi. Uno che non viene messo in dubbio da nessuno è la miopia: in questo momento abbiamo tra il 30 e il 35% di bambini in età scolare miopi, ovvero che non vedono da lontano. Questa è anche una metafora del fatto che questi mezzi impediscono in età evolutiva di tenere alto lo sguardo sulla vita e sul mondo che invece è un motore principale della crescita che non può essere annullato o danneggiato da niente. Poi abbiamo un tema legato all’ansia, alla depressione, al ritiro sociale correlato all’induzione progressiva di comportamenti che prevedono l’uscita fuori dal mondo. I dati inequivocabili che le ricerche ci manifestano sono: deprivazione di sonno, deprivazione sociale, depotenziamento dei funzionamenti cognitivi e “addiction”, ovvero il fatto che i ragazzi si trovino fortemente ingaggiati a fare cose dentro l’online. Questo ha una duplice ricaduta: la prima è che i ragazzi più fanno cose che generano “addiction” e più continueranno a farle. L’altro tema enorme è tutto quello che non viene fatto: mentre si è connessi con lo schermo per ore, si perde tutto un allenamento alla vita reale che ha sempre rappresentato una modalità con cui si acquisiscono competenze emotive, cognitive e socio- relazionali».
Come dovrebbero comportarsi i genitori rispetto all’utilizzo dei social media da parte dei propri figli?
«Prima di tutto dovrebbero essere un buon esempio. In questo momento tutto il mondo ha perso il controllo della propria vita dentro al mondo digitale. Questa, però, non deve diventare una scusante per dire siccome gli adulti non riescono allora anche gli adolescenti hanno il diritto di stare nello stesso mondo in cui vi sono gli adulti. L’adulto stesso deve fare un lavoro di revisione del suo modo di stare dentro al mondo digitale. Avere regole chiare in famiglia di cosa vuol dire avere una consapevolezza e una competenza rispetto alla gestione degli strumenti. Darsi con chiarezza i momenti in cui gli strumenti elettronici non interferiscano con la vita familiare come il momento dei pasti, del risveglio o il momento in cui un genitore ha bisogno di intraprendere un dialogo su temi importanti con il proprio figlio. E soprattutto avere consapevolezza di quelle che sono le età adeguate da parte dei ragazzi all’approccio agli smartphone e ai social. Le età che abbiamo scelto per la nostra petizione non sono scelte a caso. Oltre a essere quelle indicate anche da Jonathan Haidt nel libro “La generazione ansiosa” (vedi servizio a pagina 16, ndr), noi sappiamo con certezza quali sono le tappe di sviluppo del funzionamento mentale e in assoluto l’età più fragile è proprio quella delle pre-adolescenza, quella tra i 10 e i 14 anni. Il cervello di un pre-adolescente è incredibilmente potente in termini di funzionamenti emotivi e ragazzi e ragazze si trovano quasi totalmente in balia di tali coinvolgimenti con una ridotta capacità di integrarli cognitivamente grazie ai funzionamenti del cervello cognitivo che invece è ancora molto immaturo».
Sempre più spesso, però, accade di vedere genitori comuni, per non parlare di personaggi noti che spesso vengono presi a modello, spettacolarizzare i propri figli sui social media.
«Serve un’educazione per tutti. Quello che in concreto è accaduto è che questa “corazzata Potëmkin” ci è entrata nelle vite, senza un manuale di istruzioni. Presi dall’entusiasmo e dai tanti vantaggi che il sistema ha portato, abbiamo molto agito pensando poco. Dopo 15 anni che abbiamo in mano non più un cellulare ma uno smartphone molte cose le conosciamo e ora stiamo facendo dei correttivi perché ci siamo resi conto che molto di quello che veniva fatto – non sapendo bene che sarebbe stato – è andato in direzione opposta rispetto alle intenzioni. Adesso sarebbe importante che tutta la comunità scientifica vada in un’unica direzione».
Nei tanti casi di cronaca che coinvolgono i giovani, e in particolare modo nei femminicidi, emerge sempre più una cultura del possesso e una immaturità affettiva. Quanto influiscono i social?
«Negli ultimi quindici anni i nostri figli si sono spostati da un’immersione al 100% nel reale al trascorrere dalle 3 alle 6 ore al giorno in una vita virtuale dove sono iperstimolati e ipereccitati trovandosi in un territorio che oggettivamente è poco nutriente in termini di valori etici, di pensiero complesso e di tutte quelle cose che noi chiamiamo educazione e formazione. Il fatto che nel 2023 per ogni dollaro speso nel mondo in carta stampata ne sono stati spesi più di 3 in videogiochi e pornografia è indicativo di ciò che è accaduto e sta accadendo. Vi sono tutta una serie di aspetti che devono essere curati in età evolutiva e che, se non li curi, ti nutrono con tutto il resto».
In queste settimane si parla molto della serie “Adolescence”, che, tra le altre cose, mette in luce quanto l’utilizzo sregolato dei social network possa diventare rischioso per i ragazzi. Quest’opera può avere anche una funzione educativa?
«Certamente è una serie che va vista dai genitori, perché oggettivamente raccolta una verità reale. Nella serie non vengono mostrati genitori fragili, poco empatici, non amorevoli o non attenti ai bisogni emotivi del proprio figlio. Vediamo genitori attenti e competenti ma totalmente marginalizzati poi nei loro obiettivi educativi. È sicuramente una serie che a noi genitori deve fare molto pensare perché fotografa qualcosa, seppur estremizzandolo, che di reale è accaduto nel mondo negli ultimi quindici anni. Per chi fa il mio mestiere capita molte volte che un genitori arrivi molto angosciato perché ha guardato dentro alla vita online del figlio e lo ha scoperto infinitamente diverso dal figlio che sta crescendo dentro la vita reale».