Gabriele Mainetti: “Il cinema italiano deve avere il coraggio di osare”
Ospite al Matera Film Festival, il regista di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, “Freaks Out” e “La Città proibita” invita i giovani a sperimentare: “Il pubblico italiano è pronto a lasciarsi sorprendere. Abbiamo bisogno di storie e di nuove voci”
«È fantastico essere a Matera, in questo luogo mi piacerebbe girare un film thriller ambientato negli anni Quaranta. È una città strepitosa, meravigliosa, che purtroppo non avevo mai visitato. L’avevo vista solo in foto, ma è ancora più bella di quanto immaginassi. È una fonte continua di ispirazione. La sua è una storia incredibile, segnata da sofferenza e dolore, ma la città si è saputa valorizzare in modo straordinario, anche grazie al cinema».
Così Gabriele Mainetti, regista, produttore, sceneggiatore, vincitore di tre David di Donatello e altrettanti Nastri d’Argento, ospite della sesta edizione del Matera Film Festival, in programma fino al 16 novembre nella città dei Sassi, ha esordito salutando i tanti giovani che sono accorsi a seguire la sua masterclass e che hanno affollato anche la retrospettiva a lui dedicata (“Lo chiamavano Jeeg Robot”, “Freaks Out” e “La Città proibita”) dove sono stati proiettati anche i cortometraggi che hanno segnato l’inizio della carriera di Mainetti come l’esilarante “Basette”, dedicato al cartone “Lupin”, in cui recitano gli amici di sempre: Valerio Mastandrea e Marco Giallini. In sala c’erano giovani studenti di cinema e appassionati da tutta la Basilicata. «Mainetti è una delle voci più originali del nostro cinema», ha detto il direttore artistico del festival, Raffaele Di Gennaro.
In effetti Gabriele Mainetti è uno dei pochi registi italiani che è andato oltre la commedia, il racconto personale, portando nel suo cinema un miscuglio di generi tra il fantasy e il mistery, fino allo splatter. «Mi piace mischiare generi diversi. Lo faccio senza pensarci troppo», ha raccontato, ricordando che già alle elementari la sua maestra lo rimproverava per la fantasia troppo sfrenata. «Amo il cinema di genere e sperimentare è una sfida continua: trovare un equilibrio tra mondi opposti e farli funzionare insieme. Per me è una sfida: trovare un’armonia tra realtà così antitetiche, così lontane tra loro, e farle convivere bene insieme». Tante le domande del pubblico a cui Mainetti ha risposto con generosità soffermandosi sul rapporto tra cinema italiano e generi popolari: «Bisogna avere il coraggio di osare», ha detto rivolto ai giovani registi. «Il pubblico italiano è pronto a lasciarsi sorprendere. È importante raccontare storie, è importante mettere in piedi storie, che sia nel cinema, o in televisione o attraverso il fumetto, è importante esprimersi. Abbiamo bisogno di storie e di nuove voci».
«Ho finito di scrivere il mio prossimo film – ha concluso il regista romano – sto cercando di mettere in piedi la fase produttiva, che per i miei film non è mai cosa semplice. Quando si racconta una storia fra il fantasy, il distopico, con il live action, etc. la fase produttiva è sempre complicata. Ma voglio già guardare avanti, Matera mi ha dato molto su cui riflettere». Parlando del suo ultimo film, “La città proibita”, il regista racconta che le difficoltà non sono mancate: «Fare un cinema come il mio – spiega – significa mettere in moto una macchina molto grande. Però, avendo già fatto questa esperienza con “Freaks out”, siamo riusciti a rispettare i tempi, grazie all’intenso lavoro fatto in fase di preparazione».