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Rana Plaza. Un anno dopo.

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Un anno dopo il crollo della fabbrica tessile in Bangladesh, gli operai sopravvissuti vivono ancora traumi fisici e psicologici

Un anno dopo la tragedia del Rana Plaza, in Bangladesh, tre quarti dei sopravvissuti vive ancora sulla propria pelle il trauma fisico o psicologico dovuto al crollo della palazzina dove avevano sede diverse fabbriche tessili. E’questo il risultato di una ricerca sul campo condotta da ActionAid: oggi la maggior parte dei sopravvissuti non è in grado di poter tornare al lavoro.

S&D

Sajal Das (26 anni), è un sopravvissuto del crollo del Rana Plaza. Ha dovuto lasciare tre diversi posti di lavoro negli ultimi sei mesi: la sua resa lavorativa infatti non è più “soddisfacente”. Le ferite riportate nel crollo della fabbrica del Rana Plaza hanno cambiato il corso della sua vita. “Non posso lavorare per più di due ore consecutive – racconta Sajal – ho ottenuto un posto in una fabbrica del gruppo Al-Muslim due mesi fa, ma sono stato in grado di consegnare solo metà della produzione che mi era stata richiesta. I capi non erano soddisfatti, non mi è rimasto che lasciare il lavoro. Ho continui dolori alla schiena, all’inizio non erano così forti, ma adesso da quando ho ripreso a lavorare sono diventati insopportabili.”

Solo un anno fa Sajal lavorava nel laboratorio tessile di New Wave Style al sesto piano del Rana Plaza. Fu soccorso tra le macerie 5 ore dopo il crollo. “Ero ferito alla schiena e alla vita, ma pensavo non fosse nulla rispetto ad essere stato sepolto per 5 ore sotto le macerie. Vedevo corpi di persone schiacciate sotto il cemento armato. Ho visto il mio collega morto, in una pozza di sangue.” Ha affrontato cure mediche in un centro specialistico. “Sono stato a riposo per alcuni mesi e ho preso medicinali fino a quando le mie risorse economiche me l’hanno permesso. Ma come avrebbe potuto sopravvivere la mia famiglia senza alcuna entrata?”. Oggi vive con i suoi famigliari in una piccola abitazione di Savar, nel quartirere di Bank Colony; ha ricevuto gli ultimi due stipendi pari a 18000 taka bengalesi ( circa 167 euro) e una quota di 45000 taka (circa 419 euro) come sostegno finanziario da PRIMARK. Nell’ultimo mese con questi soldi ha potuto pagare alcune spese della famiglia, estinguendo anche dei prestiti che aveva preso prima e dopo il Rana Plaza. Ma ora quasi tutta la somma è stata spesa.

Riahna Khatum, 20 anni, lavorava invece come cucitrice al settimo piano. Le hanno dovuto amputare entrambe le gambe e adesso è quasi un anno che si trova presso il CRP (Centro per la Riabilitazione dei Paralizzati). Ogni giorno rimpiange di non essere morta nell’incidente. Non ha un marito, suo padre è morto e sua madre vive lontano da Dacca. “Chi si sposerebbe una donna senza le gambe?” ripete con estrema tristezza. Sta frequentando un programma di riabilitazione fisica. Ogni mattina le insegnano a coordinare i movimenti per camminare con i suoi arti artificiali. Il fisioterapista diceva che uno dei primi problemi che deve affrontare un tale paziente è imparare a bilanciarsi.

Il 24 aprile 2013, morirono circa 1140 lavoratori e furono oltre 2000 i feriti. ActionAid ha intervistato 1436 sopravvissuti e 768 familiari di coloro che persero la vita un anno fa, evidenziando come ad oggi la maggior parte di questi operai abbia difficoltà a pagare affitto, beni di prima necessità o addirittura un pasto decente. Molte famiglie, sono ancora in attesa di ricevere i dovuti risarcimenti e allo stesso tempo non sono in grado di ripagare i debiti.

Mentre molte aziende internazionali continuano a rifiutarsi di versare gli indennizzi dovuti, la ricerca ha evidenziato come alcuni operai intervistati abbiano ricevuto risarcimenti pari a circa 1086 dollari, ma tra loro ci sono alcuni che hanno ricevuto appena 20 dollari. Solo 15 milioni di dollari, sui 40 previsti, sono infatti stati versati nel Rana Plaza Donors Trust Fund, il fondo che servirà per risarcire tutte le vittime, come stabilito dal Rana Plaza Arrangement, supervisionato dall’International Labour Organization (ILO).

Le condizioni di Sajal sono comuni a centinaia di operai tessili che non hanno potuto riprendersi fisicamente e psicologicamente dal trauma subito. “Ancora adesso se penso alla tragedia del Rana Plaza, non riesco a dormire. Se sento rumori forti o urla, tremo di terrore. Non ho più capacità di concentrazione sul lavoro. La tragedia del Rana Plaza ha cambiato il corso della mia vita” dice Sajal.

“Versare moneta liquida nelle mani delle famiglie dei sopravvissuti non significa risarcire le persone del trauma e delle perdite subite – dichiara Farah Kabir, Direttrice di ActionAid Bangladesh – è offensivo che grandi multinazionali possano paragonare questi esigui risarcimenti ad una tragedia così grande come quella del crollo del Rana Plaza che ha cambiato per sempre la vita di questi operai. Quello di cui i sopravvissuti hanno bisogno è di un “giusto” risarcimento, quindi misure di lunga durata e un sostegno che consenta loro di vivere per i prossimi 10-15 anni, se non sono in grado di lavorare. Migliaia di lavoratori e lavoratrici non sono più in grado di lavorare, a causa dei traumi fisici e psicologici subiti, non riescono a dormire la notte, non riescono a condurre una vita normale, mentre alcuni marchi della moda fanno ancora orecchie da mercante sulla questione dei risarcimenti”.

Terrorizzato dal trauma subito e con seri problemi fisici, Sajal non è più in grado di lavorare nell’industria del tessile. Attualmente per superare lo shock, frequenta un gruppo di auto-aiuto a Savar, gestito da ActionAid col sostegno di ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro, iniziato a febbraio 2014.

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