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Murray eroe britannico o scozzese?

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Lo storico Richard Holt riflette sulla figura del campione di Wimbledon in una Gran Bretagna dalle identità sempre più complesse

La Gran Bretagna, Londra e i prati di Wimbledon sono la storia e il cuore del tennis moderno. Il torneo all’All England Lawn Tennis and Croquet Club è il più prestigioso al mondo e per gli inglesi, forse anche perché coincide con l’arrivo dell’estate e delle vacanze, è un evento atteso con gioia. Da ben 77 anni, con una certa ansia, era attesa anche la vittoria di un tennista di casa. L’ultimo a trionfare sull’erba del Centre Court, del resto, era stato Fred Perry nel 1936. Grazie al netto successo di Andy Murray su Novak Đoković il sortilegio è stato spezzato anche se il campione di Dunblane è ben lontano dal rappresentare l’immagine del gentleman-amateur idealizzata da Fred Perry, non solo perché oggi il tennis si è completamente professionalizzato, ma anche per le sue origini scozzesi.

Come ci ricorda in un colloquio esclusivo per “A tutto campo” lo storico dello sport Richard Holt, autore di Sport and the British (1989), autentico testo fondativo della storia dello sport britannica:

“Qualche anno fa Andy Murray fece scalpore affermando che non avrebbe tifato per la nazionale inglese di calcio, perché scozzese. Si trattava di una risposta onesta, che qualsiasi altro ragazzo scozzese avrebbe dato. Tuttavia, già allora, Murray era un potenziale eroe britannico – e per estensione inglese – e così dovette attraversare un lungo purgatorio in cui i media lo accusarono di essere un ingrato e di avere un brutto carattere. Non va poi dimenticato che il tennis è lo sport della classe media e Wimbledon è un tempio delle élites inglesi per le quali l’idealtipo del tennista perfetto era rappresentato da Tim Henman. Henman proveniva dalla medio-alta borghesia e da una ‘posh tennis family’… ma non riusciva a vincere (raggiunse quattro volte le semifinali). Di conseguenza la responsabilità di salvare il tennis inglese finì sempre più sulle spalle del ‘rude scozzese’. Nel frattempo lo stesso Murray acquisì una maggior esperienza nel relazionarsi con i media, diventando più cauto ed educato nei commenti. Inoltre le sue lacrime dopo la finale persa lo scorso anno riscattarono completamente la sua immagina con il pubblico di Wimbledon”.

“Comunque – continua lo storico britannico – il prossimo  anno si terrà il referendum per l’indipendenza scozzese. Il leader dello Scottish National Party, Salmond, era seduto alla finale a fianco a David Cameron! Sarà veramente interessante vedere se Andy Murray sarà o meno risucchiato nella controversia relativa all’indipendenza scozzese!”.

In un certo senso Andy Murray, suo malgrado, in questo dibattito c’è già dentro fino al collo. La bandiera scozzese sventolata da Salmond dietro a Cameron nel corso della finale ha prodotto fiumi di commenti, editoriali e persino di satira. (Leggi tra gli altri qui, qui, qui e qui).

Inoltre già lo scorso 31 marzo dovette rispondere alla domanda su chi avrebbe votato al referendum. La risposta fu estremamente diplomatica: “Bisogna capire cos’è meglio per il Paese e solo dopo farsi un’opinione. Voglio leggere di più su questo argomento. Non bisogna giudicare le cose in base alle emozioni, ma in base a ciò che conviene economicamente alla Scozia”. Murray tuttavia si è lasciato sfuggire anche una frase molto semplice che descrive meglio di tante analisi politologiche la complessità delle identità multiple nelle isole britanniche: “I am proud to be Scottish but I am also proud to be British. I don’t think there is any contradiction in that”.

In Andy Murray quindi l’identità scozzese e quella britannica convivono senza entrare in conflitto; ciononostante nell’anno che porterà al referendum, specialmente se continuerà a vincere, il tennista verrà sempre più spesso chiamato in causa per tirare l’acqua al mulino di una delle due parti in causa.

Leggi anche: Andy Murray: do sport and politics mix?

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