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Le guerre mediatiche del mondo arabo

L’avanzata dell’ISIS ha sconvolto, tra le altre cose, anche i palinsesti televisivi: è divenuto un fenomeno mediatico nel quale Stati Uniti e mondo arabo riflettono le rispettive immagini – più o meno stereotipate.

“L’America vi chiama”, esorta lo Zio Sam, con il suo cappello stelle e strisce, invitando un gruppo di arabi a unirsi alla coalizione anti-ISIS. “Siamo al tuo servizio”, è la risposta entusiasta. Ma quando a chiamare è l’intifada palestinese, lo stesso gruppo di arabi, tappandosi le orecchie, finge di non sentire. La vignetta, recentemente comparsa sul sito arabo del canale Al-Jazeera, la dice lunga su un atteggiamento ampiamente diffuso fra le opinioni pubbliche arabe: un risentimento generale verso il pragmatismo di Washington che in Medio Oriente si metterebbe in moto soltanto quando vengono toccati gli interessi statunitensi. In questo caso il motore sarebbe la minaccia di ISIS mentre, in presenza dei bombardamenti israeliani su Gaza, o delle ritorsioni armate della presidenza di Bashar al-Assad contro il suo stesso popolo, gli Stati Uniti chiuderebbero gli occhi.

Al-Jazeera conserva la sua identità di media “militante” in chiave pro-palestinese e apertamente critica delle mosse dell’amministrazione americana, pur con la strana contraddizione per cui il Qatar, dove è basata l’emittente, ospita una significativa presenza militare USA. Al-Jazeera è il capofila del risentimento generale all’atteggiamento di Washington in Medio Oriente. Ma anche altre voci “più moderate”, come quella di Abdulrahman al-Rashed, Direttore Generale di Al-Arabiya ed editorialista per il giornale saudita di stanza a Londra Asharq Alwsat, esprimono pareri non troppo distanti. Per questo quotidiano, vicino alle posizioni della casa reale saudita, il problema non è pero ignorare la questione palestinese per concentrarsi sulla lotta contro l’estremismo islamico; piuttosto, è l’accanirsi contro il terrorismo di matrice sunnita cercando invece una silenziosa alleanza con l’Iran. Sulla stessa linea commentava provocatoriamente qualche settimana fa Faisal al-Qassem, conduttore del talk show di punta di Al-Jazeera: “Forse che il terrorismo sunnita è haram, illecito, mentre quello sciita è halal, permesso?”

Il silenzioso avvicinamento della Casa Bianca all’asse Iran-Siria (cioè Al-Assad) in nome della lotta al terrorismo di matrice islamica viene indirettamente confermato dai media governativi siriani, che fanno intendere di colloqui intercorsi fra l’amministrazione USA e la presidenza siriana. Nonostante le dichiarazioni ufficiali del Presidente Barack Obama sulla fine della legittimità internazionale di Bashar al-Assad, si perseguirebbe invece uno scopo comune: quello, appunto, di annientare ISIS. Sulle pagine Facebook degli attivisti siriani pro-rivoluzione la condanna della doppia faccia americana è unanime. Uno stato di disperazione e impotenza di molti rispetto al non-intervento internazionale contro il regime siriano (nonostante le severe posizioni espresse da Europa e Stati Uniti nei confronti di Al-Assad) che sta spingendo qualcuno ad unirsi alle fila della stessa ISIS o di organizzazioni come Jahbat al-Nusra, considerate attive nella resistenza anti-regime. È una tendenza che si sta manifestando nelle piazze siriane, e in quelle arabe più generalmente, che dovrebbe spingere a suonare il campanello d’allarme: è urgente cercare soluzioni più organiche e strategiche rispetto ad una crisi che ha ormai invaso l’intera regione e che rischia di trasformarsi, pericolosamente, in un conflitto di matrice politico-religiosa.

L’articolo, scritto con Donatella Della Ratta, termina su Aspeniaonline, dove è stato pubblicato.

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