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Guerra 2.0

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Al via anche le App che aiutano i sordi a sentire le sirene

I razzi lanciati dai palestinesi di Hamas (in controllo della Striscia di Gaza) colpiscono l’aeroporto e prendono di mira la città.

Camminando per le strade del centro di Tel Aviv si ha l’impressione che nulla di tutto ciò stia accadendo da giorni. Il clima di guerra ha spaventato la città israeliana, ma non l’ha fermata.

“Siamo abituati a convivere con queste giornate”, racconta un barista sul Rothschild Boulevard, il grande viale alberato dove la gente di Tel Aviv si prepara a Shabbat, il giorno sacro degli ebrei che inizia con il tramonto del venerdì.

In una strada defilata di questa città dal clima surreale si trova lo Shema Center, un istituto dove da giorni si riuniscono quanti cercano un escamotage per aiutare anche i sordi a mettersi al riparo dalla pioggia dei razzi di Hamas.

“La prima volta che è suonato l’allarme sono rimasto completamente solo nel mezzo della sala della conferenza che stavo seguendo”, racconta Rishon Letzion, un trentenne che non riesce a sentire le sirene che suggeriscono a tutti di mettersi al riparo nel rifugio più vicino.

In teoria, il ministero degli Affari Sociali ha distribuito dei piccoli strumenti in grado di trasformare l’allarme in vibrazioni. Quanti li hanno ricevuti dicono però che questi non funzionano.

È per questo che Shahar Dishbak, sordomuta residente a Tel Aviv, ha lanciato un appello sui social network, chiedendo a chi ha orecchie buone di farsi avanti. I volenterosi che hanno risposto all’appello sono ora a capo del gruppo di sordi della loro zona. Appena le sirene suonano mandano a tutti coloro che si sono iscritti alla loro lista un messaggio Whatsapp.

E mentre il governo israeliano cerca di perfezionare i macchinari difettosi da distribuire ai sordi, l’esercito si affida allo strumento degli sms per avvertire i residenti di Gaza che sta per bombardare le costruzioni limitrofe alle loro case.

“C’è scritto di allontanarsi dalle zone pericolose, ma questa è una terra minata”, racconta Miryam, una ragazza che risponde dal telefono di casa sua a Jabalya, nel nord della Striscia.

“In alcuni casi la polizia di Hamas ha suggerito di ignorare i messaggi, definiti strumenti di una guerra psicologica per minare la nostra resistenza”, aggiunge la giovane, incredula della crudeltà fratricida di un movimento che – qualora queste voci fossero vere – userebbe i civili come scudi umani.

In clima di guerra latente più o meno costante, non di rado la verità è la prima vittima.

Lo è ancora di più nell’era dei social network, dove le informazioni viaggiano così velocemente che in pochi perdono tempo per verificarle. In questi giorni, basta seguire su Twitter l’ashtag #Gazaunderattack (Gaza sotto attacco) per trovare una galleria di bufale.

La prima a denunciarne l’esistenza è stata la Bbc. L’emittente inglese – a sua volta incastrata per aver correlato i servizi di questi giorni con immagini di repertorio risalenti al 2012 – ha scoperto che molte delle foto finite in questo flusso di cinguettii non ha nulla a che fare con quanto sta accadendo nella Striscia in queste ore.

Nel collage di immagini inviato da @WasimAhmed89, un fan del Liverpool che cinguettando tra un goal della Germania e l’altro è stato ritwittato ottomila volte, compaiono foto scattate in Iraq.

Questo è un estratto dell’articolo scritto da Azzurra Meringolo e pubblicato su Il Messaggero l’11 luglio.

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