Le trappole di Giorgia: ecco le principali insidie del 2025 per il Governo Meloni

Riforme, elezioni regionali, tensioni interne alla maggioranza, il caso Santanchè, il nodo dei centri in Albania. E l’impatto dei dazi dell’amico Trump. Ecco su cosa rischia di inciampare il Governo nei prossimi mesi
Un anno fa, di questi tempi, nemmeno Gennaro Sangiuliano sapeva chi fosse Maria Rosaria Boccia. L’allora ministro della Cultura mai avrebbe potuto immaginare che, di lì a qualche mese, si sarebbe dovuto dimettere dal suo incarico di governo proprio a causa del suo rapporto con quella donna.
Allo stesso modo, nel gennaio 2024 Giovanni Toti pensava di avere davanti a sé ancora almeno un anno e mezzo di mandato da presidente della Regione Liguria. Il governatore ignorava che un’inchiesta giudiziaria lo avrebbe presto travolto, portandolo prima agli arresti domiciliari e poi ad accettare un patteggiamento a due anni con la Procura di Genova.
Convocate in via anticipata le elezioni, la Regione oggi è governata da Marco Bucci, ormai “ex” sindaco della città della Lanterna, il quale a sua volta – a proposito di imprevisti – un anno fa era totalmente all’oscuro del tumore che poi, nel giugno scorso, lo ha costretto a operarsi d’urgenza.
Questo per ricordare come nella vita – ma il discorso vale in particolar modo sotto il cielo della politica – sia sempre azzardato lanciarsi in previsioni sul futuro.
Ci sono tuttavia alcuni passaggi che in questo 2025 il Governo Meloni dovrà affrontare di certo: voti parlamentari e popolari, pronunce della magistratura, questioni internazionali con cui l’esecutivo dovrà necessariamente misurarsi nell’anno che segnerà il giro di boa della legislatura.
Riforme
Lo scorso 20 gennaio il Governo ha tirato un profondo sospiro di sollievo quando la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo sull’Autonomia differenziata.
La consultazione popolare avrebbe rappresentato una pericolosa minaccia alla tenuta della maggioranza, peraltro già oggi attraversata da fibrillazioni proprio sul fronte dei rapporti con le Regioni. E invece no: la Legge Calderoli è salva. O quasi. Dopo la parziale bocciatura sancita lo scorso novembre dalla Consulta, il centrodestra intende intervenire con una legge ad hoc sui Lep (i Livelli Essenziali di Prestazione), ma per il resto ritiene auto-applicativa la sentenza dei giudici costituzionali.
Adesso tocca, quindi, alle altre due riforme cardine del programma di governo, quelle di carattere costituzionale: Premierato e Giustizia. Entrambe sono state approvate in prima lettura e nel corso dell’anno potrebbero arrivare all’approvazione definitiva (ci sono più probabilità per la Giustizia). Assai difficile, però, che si arrivi alla maggioranza dei due terzi richiesta dalla Carta. Ecco allora che Meloni sarebbe costretta alla prova di fuoco dei referendum costituzionali. Ma in tal caso si potrebbe addirittura scollinare alla prossima legislatura.
Rebus candidature
Il prossimo autunno si voterà per le regionali in Campania, Veneto, Puglia, Toscana, Marche e Valle d’Aosta. Ma l’argomento è di stretta attualità già in queste settimane per le tensioni che si registrano sul tema del divieto di terzo mandato. Se in Campania il braccio di ferro sulla candidabilità di Vincenzo De Luca è faccenda tutta interna al Partito Democratico, in Veneto il centrodestra rischia lacerazioni difficilmente ricomponibili.
Il governatore leghista Luca Zaia, in carica dal 2010 ed eletto l’ultima volta con il 77% dei voti, non intende passare il testimone. O, quantomeno, si dice indisponibile a passarlo a un candidato di Fratelli d’Italia. Il partito di Meloni – favorevole allo stop dopo due mandati – rivendica per sé il nome del prossimo candidato governatore, ma la Lega – radicata com’è in Veneto – fa muro.
La questione sta creando malumori anche all’interno del Carroccio, dove c’è chi contesta al leader Matteo Salvini di non spendersi abbastanza a Roma per difendere Zaia: il Congresso del partito in calendario a marzo si annuncia agitato.
Un punto lo metterà la Corte costituzionale, che in primavera si esprimerà sul ricorso del Governo contro la legge della Campania che dà il via libera alla candidabilità di De Luca.
Al di là delle turbolenze sul terzo mandato, comunque, le regionali saranno come sempre un termometro importante per verificare lo stato di salute dell’esecutivo nazionale. Nel 2024 il centrodestra si è aggiudicato quattro governatori su sette (ma ha perso Sardegna e Umbria). Quest’anno, delle sei Regioni che andranno al voto, ne amministra solo due.
La grana Visibilia
Nel momento in cui scriviamo Daniela Santanchè, rinviata a giudizio per falso in bilancio nell’ambito del caso Visibilia, non si è (ancora?) dimessa. Il destino della ministra del Turismo è nelle mani di Giorgia Meloni: «Resto finché ho la sua fiducia», ha detto Santanchè. E mentre l’opposizione insiste nel chiedere il passo indietro, all’orizzonte ci sono altre possibili grane giudiziarie per la ministra, che rischia un altro rinvio a giudizio per truffa all’Inps ed è ancora indagata per bancarotta fraudolenta.
Immigrazione
Nella conferenza stampa di inizio anno, la premier Meloni ha assicurato che i centri per i migranti in Albania sono «pronti per essere operativi». L’accordo con Tirana, per il momento, si è rivelato un costoso fiasco, reso di fatto inefficace dai giudici di casa nostra, che non concordano col Governo nel definire quali sono i «Paesi sicuri» per gli eventuali rimpatri. La disputa sarà risolta dalla della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel corso del 2025, forse già nell’udienza del 25 febbraio. Ai giudici Ue l’ardua sentenza: Meloni si gioca la faccia.
Politica estera
In attesa di verificare se il Governo si accorderà con Elon Musk per usufruire dei satelliti di Starlink, sarà interessante osservare come la premier Meloni reagirà ai dazi sui prodotti europei annunciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Pochi dubbi sulla solidità dell’alleanza tra Usa e Italia, tanto più ora che l’inquilino della Casa Bianca è politicamente affine ai sovranisti di casa nostra, ma è stata la stessa Meloni ad ammettere che le tariffe commerciali «sarebbero un problema».
In Europa la premier potrebbe presto contare su un alleato in più: il conservatore Friedrich Merz, in corsa come favorito alle imminenti elezioni politiche in Germania e apparentemente meno rigido – rispetto agli altri “falchi” tedeschi – in materia di vincoli alle politiche monetarie e fiscali. Ma restano due incognite: il peso che gli estremisti dell’Afd avranno nel nuovo Bundestag e la centralità che Berlino aspira a riconquistare nelle scelte dell’Unione europea.
Nei palazzi dell’Ue, intanto, l’Italia continuerà quest’anno a battersi per una revisione del regolamento che vieta la vendita di auto nuove a combustione a partire dal 2035.
Manifattura
Il tasso di occupazione in Italia viaggia ai massimi di sempre (62% nella fascia d’età 15-64 anni), ma il picco non si sta traducendo in un aumento del Prodotto interno lordo, ancora fermo a quota +0,5% nel 2024. A preoccupare è in particolare la situazione della manifattura, con la produzione industriale in calo ormai da 22 mesi consecutivi.
Sul tavolo del Governo spiccano su tutti due dossier: Stellantis e Acciaierie d’Italia. Per l’ex Fiat – che deve nominare un nuovo amministratore delegato dopo le dimissioni di Carlos Tavares – il ministro Urso è chiamato a vigilare sulla promessa di investimenti per 2 miliardi di euro nel 2025.
Quanto all’ex Ilva, l’anno appena iniziato vedrà insediarsi a Taranto una nuova proprietà, da individuarsi tra le dieci offerte arrivate ai commissari. Dopo tredici anni di sciagure, gli operai sperano in una svolta finalmente positiva.