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Generazione vetrina

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Quella dei bambocci, quella del lavoro gratis, quella che cambierà il mondo

Ho letto un articolo. L’ho letto perché titolava così: La generazione “lavoro gratis per avere una vetrina”. Per una volta un articolo sembrava approfondire le difficoltà della generazione della quale faccio parte, la generazione lavoro gratis per avere una vetrina ovvero l’abitudine di dover scendere a compromessi con chi, in buona fede o in maniera calcolata, offre un posto a tempo determinato ripagandoti con la sola esperienza.

Agli occhi di chi intraprende le primissime esperienze lavorative, l’impegno che si presta, oltre a non essere retribuito, appare anche transitorio ed effimero. Infatti solo in rari casi a stage o tirocinio segue la possibilità di assunzione. Poco male, se si deve ancora finire l’università. Dunque, il gran dilemma: nel frattempo, che fare? Dire no impuntando i piedi, o mettere in cassaforte un po’ di quell’esperienza che possiamo maturare lavorando gratuitamente?

Il laureando o il neolaureato di oggi è indotto e predisposto a vedere nero, troppo nero. La generazione della vetrina, a tratti, non acciuffa neppure in lontananza la leggerezza di una meta sicura: sembra che la vita lavorativa sia tutta percorso. Una via tortuosa lastricata di sacrifici e pacche sulle spalle.

A parità di condizioni è evidente che il segmento tradizionale università-praticantato-assunzione è stato duplicato nella sua lunghezza e nella sua difficoltà. Non è sufficiente. Allora la risposta dev’essere: Io mi sto dando da fare. E so che devo fare “pure” meglio degli altri e meglio di prima, devo diventare indispensabile. Non solo al mio possibile datore di lavoro, ma alla società, tutta. Tutti siamo insostituibili, soprattutto se capaci e volenterosi. Addirittura siamo in grado di diventare necessari se determinati a sacrificarci per costruire una società migliore di quella di adesso.

È arrivato il momento di smettere di prendere in considerazione che nessuno potrà mai interessarsi alle nostre idee e al nostro modo di lavorare. Ma dobbiamo impegnarci nel costruire; nel mettere in piedi la nostra figura professionale con sicurezza e con una buona malta: passione, sacrificio, professionalità ed esperienza. Insomma, mettere in chiaro che i ragazzi non sono il rimpiazzo di chi va in pensione.

Così emerge quanto non è stato preso in considerazione nel bell’articolo che ho letto. Per quanto sia giusto sottolineare la necessità di opporsi ad un sistema scorretto, in un momento come questo è anche importante accompagnare la negazione a un’affermazione propositiva. La mia generazione non è solo la generazione della vetrina, poiché ha onori e oneri ben maggiori: è la generazione che coraggiosamente, e con più fatica delle altre, tassativamente non può permettersi di limitarsi a boicottare.

Il mondo è quello che è (e sembrerebbe davvero un bosco di rovi al primo sguardo). Ma le risorse ci sono, e sono prodotte dalle nuove leve del lavoro. Possiamo essere liberi da quei quattro vetri. Maturi e consapevoli di quanto sarà difficile risalire la corrente. Però dobbiamo impegnarci a creare.

A rivoluzionare e a rendere migliori le condizioni di quello che sarà il nostro lavoro, possiamo farlo solo noi. E il vero cambiamento – mi solleva profondamente dirlo – non è boicottare il vecchio sistema, ma riuscire a crearne uno nuovo, parallelo e vincente: molto più solido e creativo di quello attuale.

Dovremmo riuscire noi, da soli, a creare ricchezza. E posto che la creiamo quotidianamente, chi ancora sui libri e chi nel suo piccolo tra esperienze di tirocinio e di start up, dobbiamo impegnarci a mettere da parte un po’ di quell’energia che nel periodo d’esordio ci chiedono gratuitamente, per riporla in un grande cesto. Lasciare che i nostri sforzi si uniscano a quelli dei nostri colleghi di percorso. È per questo che, molte cose per i miei coetanei, le faccio in maniera appassionata, senza pretendere un ritorno economico. Perché so per esperienza che reperire dei fondi per mandare avanti qualcosa di veramente innovativo al momento non è semplice, in alcuni casi impensabile. Non è facile soprattutto se ci si aspetta aiuto dallo Stato (lo stesso soggetto che taglia i fondi alla cultura) o da qualche generoso, e adulto, privato.

In “pochi” anni di crisi, nei quali ci siamo ritrovati casualmente, abbiamo già imparato che i miracoli non esistono. Per questo stiamo ripartendo. Più che generazione vetrina siamo la generazione dello sforzo e della risalita. La generazione del nuovo Rinascimento. La speranza di un Paese, e di un mondo, che affogano. Siamo più di una vetrina, siamo la giovane impresa che lavora dietro e che, seppure nel breve periodo possa essere ferma a zero o addirittura in rosso, se continua a lavorare bene ed eticamente, verrà sicuramente premiata.

A sbagliare è chi dice no rimanendo con i piedi poggiati sul tavolino del salotto: è giusto impegnare la propria energia nella ricerca di un lavoro retribuito e, allo stesso tempo, sarebbe bello “boicottare” il datore non pagante ma soprattutto il responsabile di impiego-travestito-da-stage. Ma sono solo queste le categorie che – alla lunga – si meritano un sonoro no grazie, provo altrove.

Dire tout court che lavorare per passione è sbagliato, è sbagliatissimo. Soprattutto in un momento come questo che, come unico valore duraturo, offre la possibilità di fare esperienza per creare qualcosa di nuovo: alternative e stampelle ai sistemi di chi ci ha consegnato tutto questo e ci propina sempre lo stesso piatto del giorno.

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