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Centomila pietre bianche

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Il racconto di una donna tibetana contro il mito di Shangri-la

Vivendo a stretto contatto con la comunitá di tibetani rifugiati a McLeod Ganj, mi sono trovato più di una volta davanti a situazioni che non potrebbero essere più lontane dalla nostra versione romanticizzata della societá tibetana.

C’è la reincarnazione di un alto Lama tossicodipendente che non ne vuole sapere di smettere di sniffare colla. Uomini che affogano i propri dolori dentro alle bottiglie di whiskey, prontamente usate come armi nelle risse da bar che scoppiano dopo le undici di sera. Ma anche giovani monaci colpevoli soltanto di aver giocato a cricket che vengono frustati a sangue nel tentativo di insegnare loro il Dharma. E infine, numerosi casi di abusi sessuali, che colpiscono in particolare gli studenti orfani.

Nei discorsi che riguardano gli affari tibetani queste tematiche vengono raramente affrontate. In parte questa distorsione della realtà è assecondata da una scelta politica cosciente effettuata dalle classi ultra conservatrici e religiose tibetane. Secondo queste fazioni, infatti, discutere apertamente di certi problemi porterebbe l’Occidente a ridurre il proprio supporto alla causa tibetana.

Una donna ha scelto di sfidare apertamente questo status-quo, pubblicando la sua esperienza, senza risparmiare alcun dettaglio al lettore. Kunsang Dolma, classe 1980, racconta la sua personalissima vicenda, quella di una ragazza cresciuta in Tibet con un padre alcolizzato e violento.

La sua vita cambiò completamente dopo esser stata stuprata da un ragazzo del suo stesso villaggio all’età di quindici anni. Alcuni mesi in seguito alla violenza subita, Dolma si accorse di essere rimasta incinta. Avendo macchiato l’onore della propria famiglia, venne allontanata da casa. Non prima però d’essere stata picchiata in maniera selvaggia da suo padre e da uno dei suoi fratelli. Ma Dolma non si arrese. Riuscì ad abortire e in seguito diventò monaca, per poi fuggire in India attraverso l’Himalaya in maniera da coronare il sogno di incontrare il Dalai Lama.

Oggi Dolma ha smesso gli abiti monacali, è felicemente sposata con un americano e insieme hanno avuto due bambini. Ma non ha mai dimenticato gli abusi subiti in Tibet e in India. Pubblicando il suo libro “A Hundred Thousand White Stones” (disponibile al momento soltanto in lingua inglese), spera di poter aiutare le donne tibetane ad ottenere maggiore autostima e confidenza nel parlare delle violenze che subiscono fin troppo spesso.

Alcuni tibetani si sono schierati a suo favore. Altri, invece, sono rimasti increduli davanti alla volontà di Dolma di denudarsi davanti al mondo intero. Non sono in pochi a pensare che pubblicando il suo libro Dolma stia gettando un’ombra sul Tibet intero. Secondo questi ultimi, Kunsang Dolma dovrebbe vergognarsi delle sue azioni.

Quel che è certo è che “A Hundred Thousand White Stones” rappresenta una nuova tipologia di letteratura tibetana, che ha ben poco a che vedere con le centinaia di opere finora pubblicate riguardo agli insegnamenti del Dalai Lama, alle pratiche di meditazione Buddhista o alle vicende politiche del Tibet. Dolma ha pubblicato un’analisi genuina della sua società, e come spesso accade alle persone nella sua stessa posizione, ora è vittima delle critiche da parte della sua stessa gente.

L’onestà è una virtù scomoda, il coraggio di questa donna è davanti agli occhi di tutti.

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