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Cellula del Mariott condannata

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Ennesimo giro di vite sulla libertà di espressione

“Questo scioccante verdetto mostra che in Egitto il giornalismo è un crimine.” Il commento di Sherine Tadros, celebre volto femminili di Al-Jazeera, arriva dopo la sentenza di condanna a 7 anni di carcere dei membri della “Cellula del Mariott”, ovvero i suoi tre colleghi arrestati sei mesi fa nell’omonimo hotel cariota. L’accusa pendente sulla loro testa è quella di aver diffuso sull’emittente qatarense false notizie per sostenere la Fratellanza Musulmana, il movimento islamista tornato alla clandestinità dopo la deposizione per mano militare del presidente Mohammed Mursi.

Ne abbiamo parlato oggi con Gennaro Gervasio e Dario Fabbri su Radio 3 Mondo. Potete riascoltare qui la puntata.

Il giornalista australiano Peter Greste, l’egiziano-candese Mohammed Fahmy e il producer Baher Mohammed – al quale sono inflitti tre anni in più a causa dell’accusa di possesso di armi senza licenza- sono solo tre dei venti reporter, fotografi e cameraman condannati con l’accusa di aver cercato di includere nei loro reportage la voce di quegli islamisti etichettati come terroristi. “Greste non aveva interesse a sostenere la Fratellanza. Ha raccontato al suo pubblico la storia che vedeva. Questo è quello che i giornalisti australiani sono soliti fare” aveva detto alla vigilia del verdetto il primo ministro australiano Tony Abbott.“ Sono dei prigionieri di coscienza perché la loro cronaca non è in linea con la narrativa dominante” chiosa il direttore dell’unità africana di Amnesty International.

Per Fahmy, che grida dietro le sbarre che lo dividono dai giudici, “è solo una vendetta contro Al Jazeera” fabbricata su misura dalle autorità militari che appena arrivate al potere hanno chiuso gli uffici dell’emittente qatarense, conosciuta per essere il megafono degli islamisti.

Le prove sulle quali si fonda l’accusa sarebbero “filmati che parlano della salute degli animali e di canzoni australiane” scrive Sandmonkey,blogger che inserisce questo processo nella lista degli sketch circensi della giustizia egiziana. Basta leggere i nomi degli imputati di ieri per capire quale è il target della Magistratura. Nella lista compare Anas Mohammed Baltaghi, figlio di uno dei dirigenti della Fratellanza condannati a morte giovedì scorso, poche ore prima dell’ennesimo giro di vite sulla libertà di espressione. Dopo aver silenziato Bassem Youssef, il comico simbolo della rivoluzione del 2011 che ha salutato il piccolo schermo denunciando di subire pressioni sulla scaletta delle sue battute, il nuovo regime ha impedito il debutto di una musalsal – soap opera in voga nel periodo di Ramadan alle porte – su un giovane protagonista della rivoluzione del 25 gennaio. Dietro i testi bocciati dai revisori c’è la penna di Belal Fadl, uno dei pochi intellettuali critici dei militari già censurato per aver criticato il nuovo presidente –ex generale- Abdel Fattah Al-Sisi.

“Vediamo che cosa ti succede se apri la bocca” dice un poliziotto che finge di visitare un giovane in una vignetta che ben riassume il clima di intimidazione che attraversa le redazioni egiziane. Oltre alla censura, a tornare è anche l’autocesura. E’ per questo che per mostrare i rischi a cui si va incontro accettando sentenze come quella di ieri, il New York Times è andato in edicola lasciando in bianco l’ultima pagina. La Casa Bianca sembra però la prima a non essere preoccupata. Proprio domenica ha annunciato l’arrivo al Cairo dei tanto attesi Apache che si sommeranno ai 572 milioni di dollari versati nelle casse – vuote – del prezioso alleato egiziano.

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