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Home » Politica

Urbinati a TPI: “Draghi punta al Colle per coprire i suoi bluff, ma così la Costituzione è a rischio”

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"Se il premier va al Quirinale ci sarà una virata presidenzialista verso un tecno-populismo". Intervista alla politologa Nadia Urbinati

Professoressa Urbinati, il 2021 è stato l’anno di Draghi.
«Non c’è alcun dubbio».

S&D

E lei che bilancio ne fa?
(Sospiro) «Domanda molto complessa».

Abbiamo spazio e tempo.
«Allora provo a partire da qui. Da quando Draghi è diventato presidente del Consiglio, apologeti e detrattori si sono esercitati in giudizi apodittici, basati quasi esclusivamente sulla persona».

Era inevitabile.
«Sì, ma sbagliato, sia nel caso dei suoi supporter che in quello dei suoi nemici».

Spieghiamo perché.
«Sulle qualità della persona Draghi non si discute, ma non è questo il tema che mi interessa: concentrare il giudizio sull’uomo, in negativo o in positivo, svia il dibattito sulle conseguenze politiche della sua nomina. Io mi occupo proprio di questo: sistemi politici e problemi istituzionali».

Cosa è questo governo tecnico dal punto di vista politico-istituzionale?
«Non ci sono paragoni possibili».

Il governo Ciampi non è paragonabile?
«No. Era un governo politico di centrosinistra con un premier tecnico e alcuni ministri non politici ma di area. Aveva una opposizione forte in Parlamento».

E non è certo questo il caso di oggi. E il governo Monti?
«Monti ha rappresentato una mutazione genetica. Un governo nato come esecutivo istituzionale, ma che strada facendo è stato compromesso dalla discesa in politica del suo artefice».

Un percorso senza senso.
«Per un tecnico è un paradosso. E infatti Monti l’ha pagata cara».

Cos’è questo governo di nuovo?
«Ci troviamo senza dubbio di fronte a una nuova e – potremmo dire – matura forma di tecnocrazia che ha ibridato la politica».

Dice questo perché dentro l’esecutivo ci sono sia tecnici che politici.
«Vero ma non sufficiente. La mutazione epistocratica della democrazia ha mostrato se stessa nei mesi della pandemia. In Italia, basta riandare agli ultimi atti di governo per vedere quanto subordinata al mito tecnico sia la posizione dei politici. L’opposto di quanto pensava Luigi Einaudi, che nel 1955 disegnò la gerarchia nei governi democratici situando i tecnici al servizio dei politici eletti».

E poi?
«Poi c’è il primo vero problema prodotto da questa situazione: questo governo di unità di scopo ha semi-esautorato il Parlamento (anzi, i partiti hanno consentito questo esautoramento)».

Non era la stessa cosa con Monti?
«In parte. Mai l’opposizione parlamentare è stata così ristretta».

Contro Draghi oggi ci sono solo un leader di sinistra, Nicola Fratoianni, e una di destra, Giorgia Meloni.
«Fratoianni ha votato la sfiducia da solo, non seguito dagli eletti del suo partito. E Meloni, che pure oggi gode di consenso vasto nei sondaggi, quando fu votato questo Parlamento era al 4,3%, e nelle Camere ha una rappresentanza ancora più bassa per effetto del maggioritario».

Capisco dove vuole arrivare.
«Questo governo nasce sull’idea della cancellazione di ogni normale relazione dialettica tra maggioranza e opposizione. E ha già ottenuto questo risultato».

Non è mai accaduto prima?
«Mai, nella storia repubblicana. Di fatto Draghi può governare con un potenziale consenso plebiscitario delle Camere».

Eppure ci sono diversi conflitti nella maggioranza.
«Vero. Ma si consumano tra i leader politici più per ragioni di spettacolo che reali. Il Parlamento rinuncia alla sua funzione dialettica e diventa luogo di ratifica di equilibri contrattati altrove. Un altro tema che mi preoccupa».

Questa intervista con Nadia Urbinati inizia prima del famoso discorso di fine anno di Draghi, passato agli atti come quello della «autocandidatura». Tuttavia, rileggendola oggi, sembra che Urbinati ne prevedesse gli esiti. La professoressa di politologia della Columbia University di New York intuisce che la coesistenza tra tecnocrazia e politica va in cortocircuito sul tema del  Quirinale. Come in un esercizio di stile (anche dopo le polemiche sulle parole di Draghi), non abbiamo dovuto correggere una sola parola.

Professoressa, questo non è il primo governo di emergenza. Accadde già con la Solidarietà nazionale Dc-Pci, nel 1978.
«Ma era stato rapito Aldo Moro! Si sparava per le strade. Non è possibile il paragone fra la difesa della democrazia e la pandemia».

Perché?
«I partiti nel 1978 sceglievano   “volontariamente” di unirsi per fronteggiare un nemico comune: il terrorismo. E il premier, Giulio Andreotti, era era il più politico dei politici».

Mentre oggi?
«Il Conte Bis è stato destituito da una manovra di Renzi. E oggi, dopo quella crisi, la tecnocrazia ha preso il controllo della politica per commissariarla»…
Continua a leggere l’articolo sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui

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