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Divieto d’ingresso, ordini di espulsione comuni e Cpr fuori dall’Ue: ecco cosa prevede il nuovo regolamento europeo sui rimpatri

Immagine di copertina
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Credit: ZUMAPRESS.com / AGF

La Commissione europea presenterà oggi il suo nuovo piano che apre la strada anche ai centri istituiti dall'Italia in Albania. Ma la proposta deve ora passare al vaglio del Consiglio e del Parlamento Ue

Una nuova codifica del divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione, un “ordine di rimpatrio europeo” e la possibilità di istituire “hub” per l’espulsione di migranti irregolari anche in Paesi al di fuori dell’Ue. Le principali novità del nuovo regolamento proposto dalla Commissione europea sui rimpatri mirano a venire (di nuovo) incontro alle necessità degli Stati membri di primo approdo come l’Italia, i più interessati dal fenomeno migratorio.

L’obiettivo primario del piano che sarà presentato oggi dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è fornire un quadro omogeneo ai singoli Paesi e “aumentare l’efficacia” dei rimpatri dei migranti irregolari a livello comunitario. “L’attuale mosaico di 27 diversi sistemi nazionali di rimpatrio, ciascuno con il proprio approccio e le proprie procedure, compromette l’efficacia dei rimpatri a livello europeo”, si legge nell’introduzione della bozza del nuovo regolamento.

La prima mossa riguarda la nuova codifica del divieto d’ingresso nell’Unione, che può arrivare fino a un massimo di dieci anni, rivolto a tutti i migranti che non hanno collaborato durante le procedure di rimpatrio; non hanno lasciato il territorio di uno Stato membro entro la data indicata dalla relativa ordinanza; che si sono trasferiti in un altro Paese dell’Ue senza autorizzazione; o che rappresentano un rischio per la sicurezza.

Non solo: la proposta della Commissione Ue prevede l’introduzione di un inedito “ordine di rimpatrio europeo” che permetterebbe agli Stati membri di deportare, anche senza il suo consenso, chi ha ricevuto un decreto di espulsione (esclusi i minori non accompagnati e le famiglie con minori) in un Paese con cui è stato raggiunto un accordo in materia di contrasto all’immigrazione illegale. Una mossa che aprirebbe la strada all’istituzione in Stati al di fuori dell’Unione di “hub” comuni di rimpatrio per i richiedenti asilo le cui domande vengono respinte, sul modello di quelli costruiti dall’Italia in Albania e attualmente rimasti vuoti perché in contrasto proprio con le attuali norme europee.

Gli Stati membri dell’Unione europea, secondo gli ultimi dati disponibili di Eurostat risalenti al 2022, riescono a rimpatriare “meno di un quarto” dei cittadini extra-Ue a cui è stato intimato di lasciare il territorio dell’Unione e solo perché quasi la metà di queste persone decide di tornare “volontariamente” nel proprio Paese d’origine.

Nel 2022, secondo Eurostat, l’ingresso nell’Ue è stato rifiutato ad almeno 141.060 persone, principalmente perché non in possesso di un visto né di un permesso di soggiorno valido (23 per cento) o perché non in grado di giustificare lo scopo e le condizioni della loro permanenza nell’Unione (23 per cento). Nello stesso anno i Paesi dell’Ue hanno emesso 422.400 ordini di rimpatrio a livello nazionale ma meno di un quarto delle persone oggetto di questi procedimenti è stato rimpatriato in uno Stato extra europeo, un dato che sarebbe ancora più negativo se non fosse per i migranti stessi. Dei 96.795 rimpatri eseguiti dagli Stati membri nel 2022, il 47 per cento infatti è avvenuto su base volontaria.

La proposta presentata oggi dalla Commissione, direttamente e obbligatoriamente applicabile dai singoli Stati, dovrà però passare al vaglio dei negoziati (che si prevedono piuttosto lunghi) tra il Consiglio Ue e il Parlamento europeo nel quadro della revisione delle norme comunitarie in materia di asilo e immigrazione, su cui i movimenti di estrema destra sempre più popolari nei singoli Paesi membri fondano gran parte dei propri consensi. Non è la prima volta però che la Commissione prova a inasprire le regole per il contrasto all’immigrazione illegale, con risultati modesti. Già nel 2018 infatti la presidenza di Jean Claude Juncker tentò la strada dei rimpatri comuni per gli immigrati irregolari, scontrandosi con la realtà delle divergenze interne ai singoli governi.

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