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Idee per fermare gli stage-truffa: la tavola rotonda di TPI

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I tirocini dovrebbero servire alla formazione. E invece troppo spesso diventano forme di sfruttamento. Al Parlamento europeo si discute una proposta di direttiva che fissa dei paletti per evitare gli abusi. TPI ne ha parlato in una tavola rotonda con gli eurodeputati Zingaretti (Pd), Tridico (M5S) e Torselli (FdI)

Sul sito online del Ministero del Lavoro il «tirocinio» è definito come un «periodo di orientamento e di formazione, svolto in un contesto lavorativo e volto all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro». Orientamento e formazione, dunque. Lo stage, quindi, rimarca il Ministero a scanso di equivoci, «non si configura come rapporto di lavoro». 

La teoria, però, è una cosa e la pratica è cosa ben diversa. Chiunque abbia un minimo di contezza delle dinamiche che governano la giungla del precariato sa bene infatti che da almeno una quindicina d’anni il tirocinio – introdotto in Italia nel 1997 con il Pacchetto Treu (Governo Prodi I) –  è amaramente diventato una delle più frequenti forme di sfruttamento del lavoro. 

I numeri del Ministero dicono che tra il 2012 e il 2022 le attivazioni di stage extracurriculari sono aumentate dell’86%: dalle 186mila del 2012 alle 314mila del 2022. 

Quando non vengono relegati a portare caffè o fare fotocopie, gli stagisti sono spesso iper utilizzati nelle aziende per sgravare i dipendenti dalle mansioni più lunghe e gravose. Il tutto in cambio di miseri rimborsi spese. Orientamento e formazione, così, restano parole scritte solo sulla carta.

Qualcosa, tuttavia, si sta muovendo per contrastare questi abusi. Al Parlamento europeo – anche a dimostrazione del fatto che il problema evidentemente non è solo italiano – è in discussione infatti una proposta di direttiva che mira proprio a «contrastare i rapporti di lavoro regolari camuffati da tirocini» fissando una serie di paletti comuni per tutti gli Stati membri dell’Ue.

Se n’è parlato lo scorso 23 maggio allo spazio “Esperienza Europa – David Sassoli” in piazza Venezia a Roma, in una tavola rotonda organizzata dal Parlamento europeo in collaborazione con TPI, dal titolo “Un nuovo modello di lavoro: la direttiva Ue per stage di qualità”.

All’incontro – moderato dal direttore del nostro giornale, Giulio Gambino, e dalla giornalista cilena Mariana Diaz Vasquez – sono intervenuti gli eurodeputati Nicola Zingaretti, capodelegazione del Pd a Bruxelles e relatore della proposta, Francesco Torselli di Fratelli d’Italia e Pasquale Tridico del Movimento 5 Stelle.

Standard comuni
La proposta di direttiva europea definisce tirocinio «un periodo di pratica lavorativa di durata limitata, con una componente di apprendimento e formazione significativa, il cui obiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale finalizzata a migliorare l’occupabilità e facilitare la transizione verso un rapporto di lavoro regolare o l’accesso a una professione».

I principali standard che vengono stabiliti sono: lo stage deve essere sempre retribuito; deve avere una durata limitata; il contenuto formativo deve essere reso pubblico in modo chiaro, completo e facilmente accessibile. 

«Gli Stati membri – si legge nel documento – provvedono affinché, in relazione alle condizioni di lavoro, compresa la retribuzione, i tirocinanti non siano trattati in modo meno favorevole rispetto ai dipendenti regolari comparabili appartenenti allo stesso stabilimento, a meno che non sussistano ragioni oggettive tali da giustificare un trattamento diverso, quali mansioni diverse, un livello inferiore di responsabilità o di intensità del lavoro o il peso della componente di apprendimento e formazione».

Il dibattito
«Gli stage sono la forma più oscena di sfruttamento sul lavoro», osserva Zingaretti intervenendo alla tavola rotonda di TPI. Secondo l’ex segretario del Pd ed ex governatore della Regione Lazio – che, come detto, è relatore della proposta di direttiva in discussione a Bruxelles –  il limite massimo alla durata dei tirocini dovrebbe essere di sei mesi: «In una prima fase – riconosce – mi aspetto che l’imposizione di questa soglia provocherà un crollo del ricorso ai tirocini, ma intervenire è necessario, se vogliamo evitare che gli stage si trasformino in lavoro mascherato».

«All’inizio del percorso di tirocinio – prosegue Zingaretti – deve essere obbligatorio stabilire un patto formativo tra le istituzioni accademiche, il mondo del lavoro e il tirocinante, con un tutor terzo che verifichi il percorso». «Poi bisogna prevedere un’indennità economica, altrimenti il rischio è che possano accedere agli stage solo coloro che vivono nelle grandi città».

Per l’eurodeputato dem, la direttiva allo studio, «oltre a contrastare le forme di lavoro mascherato», deve puntare a «valorizzare le persone». «Ci riusciremo?», si chiede Zingaretti: «Ascoltando il dibattito di questi mesi ultimi non ne sono sicuro, perché le resistenze sono fortissime, ma possiamo farcela».

A far ben sperare il relatore può esserci l’appoggio alla proposta che arriva anche da Fratelli d’Italia. Ospite della tavola rotonda di TPI, l’eurodeputato meloniano Torselli si dice «assolutamente d’accordo con la ratio che anima questa direttiva»: «Il tirocinio – sottolinea – deve essere un’alternativa al tempo determinato, deve avere un durata limitata e deve prevedere una compensazione economica per il tirocinante».

Tuttavia, secondo l’esponente di FdI, la proposta di direttiva Ue «ha una criticità: cercare di equiparare i diritti di uno stagista a quelli di un lavoratore a termine rischia di far sì che queste due figure siano percepite come la stessa cosa, ottenendo quindi l’effetto opposto». In questo modo, riflette Torselli, «il pericolo è che che, volendo garantire, come è giusto che sia, i diritti del tirocinante, finiamo per equipararlo a un lavoratore dipendente, cosa che non è. Così – continua l’eurodeputato – chi cerca lavoro come dipendente rischierebbe di essere scavalcato da uno stagista». 

«Dobbiamo garantire i diritti di tutti ma anche tutelare le aziende, precisando che il tirocinante non è un lavoratore dipendente», conclude Torselli. In altri termini, «la direttiva è animata da una ratio giusta, ma dobbiamo trovare il modo di applicarla».

Tridico, dai seggi del M5S, rimarca invece un altro aspetto: «Gli stage devono essere una forma residuale, non dobbiamo incentivarli, anzi». «In Italia – ricorda l’ex presidente dell’Inps alla tavola rotonda di TPI – abbiamo già una forma di inserimento nel mondo del lavoro: l’apprendistato, una forma “più nobile” rispetto ai tirocini perché consente ai giovani di formarsi versando al contempo i contributi a fini pensionistici (con contributi pagati dallo Stato, che riducono il costo del lavoro). Dobbiamo quindi spingere su questa forma contrattuale: solo quando non è possibile ricorrere all’apprendistato per motivi di età o per la caratteristica del lavoro, si dovrebbe optare per il tirocinio».

L’eurodeputato M5S suggerisce due modifiche alla direttiva europea. «Primo: coinvolgere i sindacati, gli unici in grado di verificare la presenza di rapporti di lavoro camuffati da tirocini. Secondo: prevedere un limite nel rapporto tra numero di dipendenti e numero di stagisti attivi presso un’azienda».

Ma per Tridico qualsiasi intervento normativo rischia di rivelarsi vano, senza adeguati controlli: «Se vogliamo investire sulla regolarità del lavoro dobbiamo investire anche sui controlli», avverte. A tal proposito, la direttiva sui tirocini impone agli Stati membri di «mettere in atto disposizioni che prevedano controlli e ispezioni efficaci da parte delle autorità competenti». Basterà? 

Intanto, entro la fine dell’estate dovremmo scoprire se la direttiva vedrà la luce: lo scorso 8 aprile la proposta è stata approvata dalla Commissione Cultura del Parlamento europeo. Nel mese di giugno sarà votata dalla Commissione Occupazione e Affari sociali. Se anche qui arriverà il via libera, a luglio il testo dovrebbe arrivare in aula. 

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