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Home » Politica

Dal caso Malagò alla riforma Sestante: lo Sport italiano è in subbuglio

Immagine di copertina
Il ministro dello Sport Andrea Abodi e il presidente del Coni Giovanni Malagò. Credit: AGF

La guerra dei ministri Giorgetti e Abodi contro Malagò. La corsa alla guida del Coni a un anno dalle Olimpiadi di Milano-Cortina. Federazioni che si rifiutano di pagare le bollette. Lo Sport italiano è in subbuglio. Ecco perché

Lo sport italiano è in subbuglio. Non tanto per le prossime Olimpiadi invernali di Milano-Cortina (al via il 6 febbraio 2026), i cui lavori proseguono nella speranza di farsi trovare pronti, ma per un progetto di Sport e Salute, la società pubblica – fondata dal Ministero dell’Economia nel 2002 – a cui Giancarlo Giorgetti ha affidato la cassaforte dello sport Made in Italy e per il “caso Malagò”. 

I presidenti delle varie federazioni sportive nelle scorse settimane hanno infatti deciso di fare muro contro il progetto “Sestante” chiedendo aiuto al presidente del Coni che, nel frattempo, ancora non ha avuto notizie dal Governo in merito alla possibilità di candidarsi per un quarto mandato o almeno prorogare la scadenza a dopo le Olimpiadi invernali. Ma andiamo per gradi.

Spending review
Sport e Salute, la partecipata guidata dal presidente Marco Mezzaroma e dall’amministratore delegato Diego Nepi, nelle scorse settimane ha annunciato il cosiddetto progetto “Sestante”: basta spazi gratis, chi li vuole dovrà contribuire. Un progetto di efficientamento e ottimizzazione degli immobili nella disponibilità della società in house del Governo che attualmente ospitano gli organismi sportivi. 

Si tratta di un enorme patrimonio: 131 immobili in 105 città, di cui il 55% occupati dalle organizzazioni sportive (nel restante 45% ci sono gli uffici di Sport e Salute, o del Coni che già paga). Ad oggi le federazioni non pagano affitti e bollette. Hanno un contratto di comodato d’uso, che però non ha favorito la valorizzazione di questi spazi, che in alcuni casi sono davvero vetusti o superflui. 

Sport e Salute ha quindi chiesto alle federazioni un censimento in modo da individuare quali sono le sedi di cui c’è bisogno realmente. Alcune infatti, considerate inutili, potrebbero essere dismesse. In particolare se nemmeno sono di proprietà della partecipata. Per le altre che le federazioni vorranno mantenere, la società propone un contratto di servizio, comprensivo delle spese (bollette, pulizie, sicurezza) più un canone di locazione calmierato. Difficile parlare di cifre anche se – secondo il Fatto Quotidiano – la riforma, per le federazioni più importanti, potrebbe comportare un impegno a bilancio nell’ordine di massimo qualche centinaio di migliaia di euro l’anno. 

Le risorse razionalizzate da Sport e Salute (che, a regime “Sestante”, potrebbero valere complessivamente circa 15 milioni di euro l’anno, secondo le prime stime) saranno poi restituite alle federazioni stesse. Non come contributi a pioggia che i presidenti potrebbero gestire a piacimento, ma tramite bandi e progetti destinati a società e associazioni, comunque al movimento.

Questa riforma, come detto, non va giù ai presidenti federali, che hanno organizzato una riunione al Coni per chiedere l’intervento del presidente Giovanni Malagò. Diverse le obiezioni: in primis le scadenze troppo strette per indicare il fabbisogno degli spazi e il bilancio preventivo già approvato. 

Difficilmente la riforma voluta da Sport e Salute verrà fermata. L’obiettivo però è quello di provare almeno a rimandarla quanto più possibile. 

L’incontro
Tutto fermo? Niente affatto. Nei giorni scorsi il presidente del Coni Malagò e i vertici di Sport e Salute Mezzaroma e Nepi si sono incontrati per parlare di “Sestante”. Un incontro che entrambe le parti hanno definito «cordiale e proficuo» e che ha portato ad un piccolo cambiamento. 

Il progetto prosegue per la sua strada, anche se è stato portato al 31 gennaio 2025 (inizialmente la scadenza era a metà gennaio) il termine entro il quale gli organismi sportivi dovranno necessariamente comunicare le loro esigenze in termini di servizi e di spazi, per consentire a Sport e Salute di completare il percorso di ottimizzazione e sviluppo intrapreso. Il 28 febbraio, invece, di comune accordo con il Coni, diventa il termine ultimo per la conclusione degli accordi volti a regolare l’utilizzo degli spazi e dei servizi. 

Giovanni IV? No
A tenere in agitazione il mondo dello sport italiano è poi il “caso Malagò”. Il presidente del Coni è alla fine del suo terzo mandato. L’ultimo. A meno che il Governo non gli permetta di candidarsi per il quarto. 

Attualmente l’ipotesi di un Malagò quater è sempre più lontana, tanto che sono state pure fissate le nuove elezioni per la presidenza il 26 giugno prossimo. 

«Quello che dovevo dire sul tema l’ho già detto a cavallo delle Olimpiadi, non tocco più l’argomento, non dico più nulla, ognuno poi è in grado di valutare e tirare le considerazioni finali», ha spiegato Malagò, che non si è sbilanciato nemmeno con chi gli chiedeva un commento sull’ipotesi della proroga di un anno per arrivare a chiudere l’esperienza nel maggio 2026 e quindi dopo i Giochi olimpici invernali di Milano-Cortina (in questo caso Giunta e Consiglio nazionale sarebbero prorogati). Nel caso servirebbe comunque una legge ad hoc. 

«Io starò qui fino all’ultimo giorno con il massimo impegno, non chiedo più niente a nessuno. Se qualcuno si appassiona alla mia vicenda bene, altrimenti attendo serenamente gli sviluppi», ha raccontato il numero uno del Conti in un’intervista a La Stampa. «Non mi aspetto nulla, sono totalmente fatalista». 

Alla domanda se dopo di lui il rischio sia quello di un diluvio, Malagò ha risposto: «Non sono così presuntuoso da pensarlo. Faccio solo notare il fatto più unico che raro di un presidente di un Comitato olimpico nazionale sostituito a meno di un anno da un’edizione dei Giochi ospitati nel Paese di appartenenza. E ottenuti sotto la stessa presidenza». 

Di certo questi sono i giorni in cui dovrà capire se Malagò potrà o meno ripresentarsi. Lo scorso settembre infatti il presidente ha indicato «la fine del mese di gennaio» come «una data ragionevole» per farsi un’idea. 

Comunque, anche se il suo percorso al Coni dovesse finire il prossimo anno, Malagò resterebbe presidente della Fondazione olimpica e membro Cio sin dopo i Giochi di Los Angeles 2028.

Intanto, nell’attesa di capire cosa succederà, impazza il toto-nomi per la sua successione. Si è parlato di figure come Luca Zaia, presidente uscente della Regione Veneto che di fatto non ha escluso l’idea, e Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico dal 2005. Ma anche di una presidente donna. Ipotesi che Malagò non esclude affatto: «Credo proprio di sì. Se l’ho già individuata? No, ma una cosa è sicura. Non appoggerò nessuno che non venga dal mondo dello sport. Fare il contrario significherebbe rinnegare le battaglie sull’autonomia». 

E il nome che da tempo circola è quello di Silvia Salis, attuale vicepresidente esecutivo del Coni. Staremo a vedere. 

E Abodi?
Al momento il ministro dello Sport Andrea Abodi non ha aperto alcuna porta a Malagò, con cui i rapporti non sembrano idilliaci. Neanche uno spiraglio. 

In merito ai mandati dei presidenti federali e alla posizione del numero uno del Coni, il ministro ha detto: «Sto intervenendo su tutto quello che ritengo migliorabile. Il mio correttivo sull’elezione dei presidenti federali forse non ha prodotto l’effetto nel quale confidavo (sono stati rieletti tutti, ndr), ma non è stato supportato adeguatamente dai regolamenti elettorali, come avevo auspicato formalmente il 4 dicembre 2023 al Coni, con il superamento del distorsivo sistema delle deleghe, provando a favorire anche l’attribuzione di ruoli e deleghe nei consigli federali nel rispetto della parità di genere e del ricambio generazionale. Era compito proprio del Coni, ne riparlerò con il prossimo presidente, chiunque sarà», le sue parole alla Gazzetta dello Sport

Poi un bilancio. Il 2024, ha osservato Abodi, «è stato un anno impegnativo e gratificante, con tantissime emozioni da parte degli atleti e soddisfazioni anche nelle mie funzioni di ministro, grazie al supporto prezioso del presidente Meloni, a una positiva collaborazione con tutti i colleghi di Governo, con il Parlamento, le Regioni e gli enti locali, oltre agli organismi sportivi. Medaglie, onore e merito sul campo e buoni risultati sul fronte della politica per lo sport, che fanno ben sperare per il prossimo anno. Guardiamo avanti». 

Anche perché il 2025 si preannuncia di grande cambiamento per lo sport italiano: «Iniziano a delinearsi i profili di un nuovo modello sportivo italiano. Abbiamo qualificato l’anno che si sta chiudendo con tanti provvedimenti legislativi, una articolata e diffusa serie di attività con la nostra società Sport e Salute e l’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale, definendo un diverso rapporto, più equilibrato, tra risultati di vertice e grandi avvenimenti, e sport sociale e infrastrutture diffuse. Il 2025 sarà fondamentale per l’affermazione di questo modello, anche grazie alle riforme di sistema che sono in cantiere, con un’attenzione particolare per gli organi di controllo, giustizia e garanzia».

Un tema dolente per lo sport italiano sono le infrastrutture, specialmente gli stadi: «In una riunione al Mef, con il collega Giorgetti, abbiamo fatto un ulteriore e decisivo passo avanti per la nascita di un fondo equity che investirà nei progetti-stadio, sulla base di criteri che stiamo elaborando, completando la configurazione di un portafoglio di opportunità, per contribuire a far fare finalmente un salto di qualità agli stadi della Serie A e delle altre leghe. Patrimonio quasi totalmente pubblico, gestito dai privati, al quale riconosceremo lo status di infrastrutture strategiche nazionali», ha spiegato il ministro. «Stiamo anche definendo le funzioni e le prerogative di una struttura commissariale che semplifichi e renda omogeneo l’iter dei progetti, in sintonia con amministrazioni comunali e club. I tempi? Tra fine gennaio e inizio febbraio». 

«Parliamo con tutti», ha puntualizzato Abodi: «Alcuni sono più avanti, come a Firenze, Cagliari, Bologna, Parma ed Empoli. Ma c’è anche Milano, che si sta avviando verso una buona soluzione; Roma sta procedendo, il progetto dei giallorossi va avanti, la Lazio ha appena presentato un’idea progettuale sul Flaminio e sono previsti interventi sullo stadio Olimpico, di proprietà di Sport e Salute; mi auguro arrivi Napoli, con il club che punta sul nuovo stadio e il Comune che vorrebbe rinnovare il Maradona. E poi, Palermo, Genova, Bari e Verona. Dobbiamo passare, adesso, dal refrain ormai noioso del “si può fare” a un più gratificante e concreto “stiamo facendo”». 

Intanto, tra proteste, incontri, speranze di ricandidature, nuove elezioni e promesse politiche, lo sport italiano va avanti giorno dopo giorno portando a casa risultati – in alcuni casi clamorosamente positivi – ed emozionando milioni di appassionati. Il tutto generando cultura sportiva, salute psico-fisica e anche – perché no – ricavi. Di certo però fare un po’ di chiarezza a tutti i livelli non sarebbe una cosa sbagliata. Ne va del futuro dello sport italiano.

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