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Home » Politica

Scarpinato a TPI: “Con questa destra anche la giustizia è classista”

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AGF

“Ma quale garantismo? C’è una parte dell’establishment che punta solo all’impunità e a mettere i magistrati sotto il controllo della politica. E intanto criminalizza i giovani che vanno ai rave”. Parla il senatore del M5S

Dopo 44 anni da magistrato in Sicilia, dove ha seguito fra gli altri i processi per gli omicidi di Salvo Lima, Piersanti Mattarella, Alberto Dalla Chiesa e quello per associazione ti tipo mafioso nei confronti di Giulio Andreotti, da due mesi e mezzo Roberto Scarpinato è senatore del Movimento 5 Stelle. 

S&D

Senatore, mentre da noi si discute di una riforma della giustizia in senso garantista, nel Parlamento europeo i magistrati hanno preso letteralmente i politici con le mani nel sacco…
«Innanzitutto mi faccia dire che la parola “garantismo” andrebbe tolta dal vocabolario. Ne è stato stravolto il significato, c’è stata un vera e propria appropriazione indebita di questo nobile concetto».

Da parte di chi?
«Da parte del mondo del potere, che l’ha utilizzato come una maschera per far passare politiche di impunità nei confronti dei “colletti bianchi”». 

Ad esempio?
«Proprio ieri (lunedì 12 dicembre, ndr) in Senato è stato utilizzato l’argomento del garantismo per approvare l’esclusione dal regime ostativo dei più gravi reati contro la Pubblica Amministrazione, come il peculato, la concussione, la corruzione in atti giudiziari». 

Si riferisce a un emendamento al decreto anti-rave che ha eliminato la parificazione fra i reati contro la Pubblica Amministrazione e quelli di mafia ai fini del diritto ai benefici penitenziari: ora un politico condannato per corruzione potrà usufruire automaticamente degli sconti di pena…
«La giustificazione è stata che si tratta di reati monosoggettivi, mentre il regime ostativo va riservato ai reati associativi. Ma ci sono evidenti contraddizioni: primo perché hanno mantenuto il regime ostativo per diversi reati monosoggettivi e secondo perché l’hanno eliminato anche per un reato associativo come l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di quegli stessi reati contro la Pubblica Amministrazione». 

Quindi?
«Il garantismo qui non c’entra proprio niente. Semmai hanno scoperto che nascondendosi dietro questa maschera possono far passare politiche classiste».

Classiste?
«Ma certo! Da una parte, per salvare i “colletti bianchi” escludono dal regime ostativo i reati contro la Pubblica Amministrazione e vogliono riformare l’abuso d’ufficio, dall’altra introducono un reato che criminalizza i giovani che organizzano raduni musicali non autorizzati, punendoli con pene spropositate che impongono l’arresto in flagranza, la custodia cautelare e le intercettazioni. È quella stessa politica classista che vediamo nella Legge di Bilancio, dove si toglie ai poveri per dare ai ricchi».

Tornando agli eurodeputati con le valigie piene di soldi…
«Ecco, a proposito: anche il reato di corruzione internazionale è fra quelli esclusi dal regime ostativo… Quello che sta avvenendo a Bruxelles dimostra come la corruzione sia un fenomeno internazionale in grado di incidere sulle politiche anche a livello comunitario. Ma dimostra pure l’importanza di ciò che in Italia siamo riusciti a ottenere, nella fase storica in cui al governo c’era il M5S, con la legge cosiddetta “Spazzacorrotti”, che fra l’altro ci era stata richiesta proprio dall’Europa: quella legge ci ha consentito in questi ultimi anni di dare una risposta adeguata ai fenomeni corruttivi». 

Meloni si professa garantista durante il processo e giustizialista al momento dell’esecuzione della pena. E lei come definisce il suo rapporto con l’applicazione della giustizia?
«Mi definisco un magistrato costituzionale, nel senso che interpreto il ruolo per come la Costituzione lo intende». 

Cioè?
«Io ho scelto di entrare in magistratura perché in Italia abbiamo questa Costituzione. Non avrei mai fatto il pubblico ministero in ordinamenti dove il pm dipende dal potere esecutivo, perché ciò compromette la sua indipendenza e lo schiaccia sulle forze di polizia, che dipendono dal governo». 

Eccoci al tema della separazione delle carriere. Le sembra corretto che chi decide l’esito di un processo sia un collega di chi rappresenta la pubblica accusa?
«Guardi, se sono orgoglioso di essere stato un pm italiano è proprio perché nel nostro Paese noi non siamo l’avvocato dall’accusa, ma ricercatori di verità: al pm è imposto di cercare le prove non solo della colpevolezza ma anche dell’innocenza dell’indagato». 

Davvero i pm cercano anche prove che dimostrino l’innocenza dell’indagato?
«Ma certo! Il pm italiano ha prima di tutto la cultura del giudice: deve accertare la verità. Questa è una garanzia preziosa per il cittadino. Al contrario il pm che dipende dall’esecutivo, e che è dunque un avvocato della polizia, ha un orientamento esclusivamente accusatorio».

Il ministro Nordio, però, ha assicurato che con la separazione delle carriere non intende intaccare l’indipendenza della magistratura…
«Ma il suo è un discorso funzionale a intaccarla. La separazione delle carriere comporta i-ne-vi-ta-bil-men-te l’attrazione del pm nell’orbita del ministero. In tutti i Paesi europei dove le carriere sono separate, tranne che in Portogallo, il pm è subordinato al potere esecutivo». 

Vero: è così in Germania, Spagna, Regno Unito, e anche negli Usa. Sta dicendo che sono Paesi meno democratici del nostro?
«No, ma sono Paesi in cui la corruzione e la mafia non vengono combattute come in Italia. Questi sono fatti. Le mafie hanno scelto per i loro investimenti altri Paesi, come la Germania o la Spagna, perché in Italia li individuiamo, li arrestiamo e confischiamo i loro patrimoni, mentre all’estero spesso non hanno la necessaria attrezzatura giuridica né una magistratura in grado di fare quelle indagini». 

Ritiene quindi che la magistratura italiana sia la migliore del mondo?
«Siamo il Paese delle mafie e della corruzione, ma anche della magistratura che le combatte a un livello tale da essere diventata un punto di riferimento per tutte le magistrature internazionali. Quando mi è capitato di girare il mondo per lavoro, sono rimasto colpito da come francesi, spagnoli, tedeschi, brasiliani, considerano la magistratura italiana un modello al quale dovrebbe ispirarsi qualsiasi magistratura».

Nel nostro ordinamento i diritti di indagati, imputati e condannati sono sufficientemente garantiti?
«Per quanto riguarda indagati e imputati il nostro è uno degli ordinamenti più avanzati. Non è così invece per il carcere. Io ho sempre detto che se vogliamo arrivare ad avere delle carceri degne di un Paese civile dobbiamo mandarci i “colletti bianchi”».

Perché?
«Perché fin quando a essere detenuti saranno soltanto gli ultimi figli del popolo, le carceri resteranno quello che sono».

Nordio vuole abolire l’azione penale obbligatoria. Dice che «il pm può trovare spunti per indagare nei confronti di tutti senza rispondere a nessuno».
«Se aboliamo l’obbligatorietà dell’azione penale in favore della discrezionalità, chi decide quali procedimenti fare e quali non fare? È inevitabile che a quel punto sia il potere politico a decidere».

Però è vero che l’azione penale obbligatoria ingolfa il lavoro di procure e tribunali, con tutto ciò che ne consegue in termini di durata dei processi. O no?
«Partiamo da una premessa: l’azione penale è prevista dalla nostra Costituzione come strumento per garantire l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Ma bisogna mettere i magistrati nelle condizioni di poter dar seguito a questo principio».

In che modo?
«Occorre che la politica garantisca una proporzione adeguata fra il numero dei procedimenti che ogni anno vengono gestiti da una procura e il numero di magistrati che li devono trattare. E invece il Parlamento che fa? Lascia la magistratura con più di 1.600 posti vacanti in organico. Ma lei lo sa che al tribunale di Roma sono costretti a rinviare i processi anche al 2026?».

Oltre a potenziare gli organici del settore giustizia, cosa dovrebbe fare la politica per rendere più snella la macchina?
«Ad esempio depenalizzare certi reati minori. Invece ne crea di nuovi praticamente a getto continuo, come nell’ultimo caso della norma anti-rave».

A proposito di depenalizzazioni, Nordio vuole mettere mano anche al reato di abuso d’ufficio.
«Sinceramente non capisco davvero quale sia il problema».

In questi anni abbiamo assistito a molti i casi di sindaci perseguiti per questo reato e poi prosciolti…
«Con l’ultima riforma, fatta l’anno scorso, sono escluse tutte le attività discrezionali dei pubblici amministratori: il reato oggi si consuma soltanto quando c’è una norma imperativa che stabilisce un comportamento obbligato e il pubblico amministratore non segue quel comportamento. Quindi, di che stiamo parlando? Con tutte le riforme che sono state fatte in questi anni, già oggi perseguire l’abuso d’ufficio è di fatto impossibile. La verità semmai è un’altra».

Quale?
«L’abuso d’ufficio, insieme ad altri reati, ad esempio il traffico di influenze, sono la “cassetta degli attrezzi” della corruzione. La punibilità di questi comportamenti dovrebbe servire ad anticipare la risposta penale in modo da evitare che la corruzione possa essere consumata. Il fatto è che la revisione dell’abuso d’ufficio fa parte di un disegno più ampio: si punta a realizzare il sogno di una classe dirigente che da tempo vuole portare indietro l’orologio della storia».

E a cosa punta questa classe dirigente?
«Vuole l’impunità per sé. E sottoporre la magistratura al potere politico. Ecco perché di volta in volta si attaccano l’abuso d’ufficio, l’azione penale obbligatoria, le intercettazioni… Il filo conduttore è sempre lo stesso».

«In Italia – ha detto Nordio – il numero di intercettazioni è di gran lunga superiore alla media europea e ancor più a quella dei Paesi anglosassoni». Perché da noi si intercetta di più?
«Perché noi abbiamo la mafia! La maggior parte delle intercettazioni viene chiesta dalle procure di Palermo, Napoli, Reggio Calabria: non è un caso. I mafiosi cambiano continuamente cellulare, possono contare su prestanome: per intercettarne uno bisogna intercettare anche venti o trenta obiettivi… Le faccio un esempio banale».

Prego.
«Le estorsioni. Non le denuncia quasi nessuno: lei pensi che nell’ultimo mese più di trenta commercianti e imprenditori sono stati rinviati a giudizio per favoreggiamento nei confronti dei mafiosi perché, grazie alle intercettazioni, è stato accertato che erano stati vittima di estorsione ma non avevano denunciato. Capisce? Neppure le estorsioni si riuscirebbero ad accertare senza le intercettazioni! E parliamo di un reato banale, si figuri la collusione fra i mafiosi e i “colletti bianchi”». 

Sempre questi “coletti bianchi”…
«Guardi, l’accanimento di una parte dell’establishment nei confronti delle intercettazioni dipende dal fatto che esse sono diventate il momento di disvelamento degli arcana imperi e del reale funzionamento della macchina del potere».

Talvolta però capita che le intercettazioni finiscono sui giornali quando le indagini sono ancora in corso. Non c’è una culpa in vigilando?
«Prima delle ultime riforme, per motivi procedurali e operativi le intercettazioni finivano in più mani: in quelle delle ditte incaricate di effettuarle, in quelle della polizia incaricata delle indagini, in quelle degli avvocati degli imputati, in quelle degli imputati stessi. C’era un numero elevato di persone che poteva avere interesse a renderle pubbliche: addebitare ai magistrati la responsabilità di quelle fughe di notizie mi sembra davvero ingeneroso. Ma questo problema è stato ormai superato».

Come?
«La legge Orlando ha stabilito che tutte le intercettazioni debbano essere custodite in archivi digitali sotto la responsabilità diretta del rispettivo procuratore della Repubblica. Pensi che il procuratore nazionale antimafia ha detto che i colleghi sono così severi che non le consegnano neanche a lui!».

Parliamo della manovra finanziaria. Fra contanti e Pos, il Governo strizza l’occhio agli evasori?
«È di una evidenza palmare! Non si capisce altrimenti perché non si debba garantire la tracciabilità informatica della movimentazione di denaro e si garantisca invece la movimentazione che sfugge a qualsiasi controllo».

Secondo un sondaggio Ipsos solo un italiano su tre ha fiducia nella magistratura. Perché?
«La politica ha cavalcato vicende come il caso Palamara per delegittimare la magistratura agli occhi dell’opinione pubblica facendo di tutta l’erba un fascio. Si è fatto credere ai cittadini che i magistrati siano tutti politicizzati. Che è un discorso completamente diverso dal fatto che certi magistrati, per ammissione personale, si siano raccomandati ad altri magistrati per avere degli incarichi direttivi». 

Le correnti nella magistratura hanno assunto un peso eccessivo?
«Le correnti negli anni Settanta e Ottanta hanno svolto un importante ruolo di diffusione dei valori della Costituzione all’interno di una magistratura che ancora non li aveva ben interiorizzati. Poi lentamente hanno subìto un depauperamento ideale. Il punto di svolta è stata la riforma Castelli-Mastella».

Perché?
«Quella riforma (anno 2007, ndr) ha previsto la temporaneità degli incarichi direttivi e inoculato il virus dell’individualismo competitivo all’interno della magistratura. Tutti, a quel punto, hanno iniziato ad aspirare a incarichi direttivi e il Consiglio Superiore della Magistratura si è trasformato in un concorsificio». 

E l’antidoto qual è?
«Oggi il problema sono le procure della Repubblica: l’antidoto è evitare che tutti i poteri si concentrino nelle mani del vertice. Le procure devono tornare a essere organi collegiali».

LEGGI ANCHE: Noi europei non sappiamo più chi siamo e per questo ci vendiamo al miglior offerente (di G. Gambino)

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