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Home » Politica

Perché questa fase di impasse rischia di logorare più Salvini e Meloni che la maggioranza giallorossa

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Meloni, Conte e Salvini

Meloni, Salvini, e i nodi del centrodestra

Così vicini così diversi. Dietro le quinte di una straordinaria unità di intenti nell’opposizione al governo, Giorgia Meloni e Matteo Salvini si ritrovano a giocare una partita che va ben oltre la semplice battaglia di consenso. Tra la leader di Fratelli d’Italia, in costante ascesa nei sondaggi, e il segretario della Lega, forse ancora logorato dalla mosse azzardate al Papeete, è iniziata una sfida a scacchi che dalle candidature sul territorio arriva alle priorità da indicare in un eventuale programma comune e al peso dei partiti nella coalizione che dovrebbe in futuro, ma chissà quando, competere con il largo schieramento che oggi sostiene Conte.

S&D

Se Atene (il governo alle prese con il rilancio dell’economia post emergenza Coronavirus) piange, Sparta (il centrodestra) non ride, perché le incoraggianti percentuali dei sondaggi sembrano più alimentare tensioni e lotte intestine che placarle. Ad essere preoccupato per i numeri è ovviamente Matteo Salvini, che alle Europee di 13 mesi fa era riuscito a portare a casa oltre il 34 per cento delle preferenze e che nelle ultime rilevazioni su scala nazionale viene accreditato di un quarto dei consensi, quasi 10 punti in meno. I voti sono in gran parte finiti a Fdi, che dal 6 per cento di maggio 2019 ora si è avvicinata al 15, in alcuni casi riuscendo anche a superare il Movimento 5 Stelle. Una crescita, quella della Meloni, che prosegue ininterrottamente fin dalla fondazione del partito: fu 2 per cento alle Politiche 2013, 3,7 alle Europee 2014, 4,3 alle Politiche 2018, poi l’affermazione di un anno fa e l’ultimo boom rilevato dai sondaggisti.

Cosa cambia con questo successo? In politica, si sa, più che contarli i voti bisogna pesarli. E nella Lega, saldamente primo partito, si teme che la narrazione salviniana debba in qualche modo essere rivista nonostante i rapporti di forza siano favorevoli. Probabilmente non è un caso se Meloni ha iniziato ad alzare la voce anche sui temi che il Carroccio considera imprescindibili. Quando in vista delle Regionali il governatore Luca Zaia ha proposto un impegno scritto degli alleati sull’autonomia, la presidente di Fdi non ha esitato a manifestare apertamente le sue perplessità. “Non capisco il comportamento della Lega dopo la grande prova di unità che avevamo dato con l’indicazione unitaria dei candidati presidenti”, ha dichiarato. “Noi abbiamo già firmato nel 2018 un programma che prevedeva sostegno all’autonomia regionale come ancora prima la destra aveva fatto sostenendo le proposte di devolution”.

La novità delle ultime settimane è che la Meloni prova a dare la sua impronta più marcatamente identitaria. Se Zaia non vuole al fianco persone “che abbiano anche solo il minimo dubbio” sull’autonomia, lei replica affermando che “la nostra unica e permanente preoccupazione sul tema è che sia garantita l’unità nazionale”. “Per questo – dice – abbiamo chiesto in cambio alla Lega di impegnarsi formalmente su un convinto sostegno al presidenzialismo”.

Autonomia versus presidenzialismo, insomma, negli stessi giorni in cui la Lega ha dovuto ingoiare bocconi amari proprio sulle candidature. Fratelli d’Italia ha ottenuto l’accordo su Raffaele Fitto in Puglia e Francesco Acquaroli nelle Marche, Forza Italia ha confermato Stefano Caldoro in Campania, che Salvini proprio non gradiva (l’ex vicepremier ha iniziato a parlare di veti sulle candidature di lista). In Liguria è stato confermato l’ex Fi e ora autonomo Giovanni Toti. Oltre a Zaia in Veneto, in quota la Lega solo correrà un altro aspirante governatore, Susanna Ceccardi, ma nell’impegnativa ‘rossa’ Toscana.

Il tempo sarà galantuomo e sanerà le ferite? Non è scontato, se si considera che Meloni e Salvini hanno anche visioni diverse sulle possibili alleanze di governo. La Lega storicamente rifiuta accordi di larghe intese con il Pd ma da tempo non esclude l’ipotesi di sostenere un governissimo guidato da Mario Draghi. Si è perfino parlato di manovre che potrebbero coinvolgere Matteo Renzi (soluzione prontamente bocciata da Fdi). “Noi abbiamo sempre rispettato alleanze e programmi, come tutti sanno”, ha ribadito la leader di Fratelli d’Italia in questi giorni. “Un impegno a non fare patti con partiti diversi da quelli con i quali ci si candida è una garanzia per tutti, e per chi ci vota per vedere realizzato il nostro programma”.

Ci sarà molto tempo per discuterne, visto che il governo punta a vivere (sopravvivere) almeno fino all’elezione del presidente della Repubblica, nel 2022. Ribaltoni permettendo.

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