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[Retroscena] Renzi vuole fare un governo con Salvini e Berlusconi, ma Meloni mette il veto

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[Retroscena] Renzi vuole fare un governo con Salvini e Berlusconi, ma Meloni mette il veto

Riflettete per un attimo su cosa sta accadendo davvero nel governo: c’è una tregua apparente, un invito al gran ballo delle nomine, ma i rapporti umani si sono ormai logorati e infranti in modo irreversibile. Il primo punto di non ritorno è proprio quello che è stato appena superato dopo la minaccia – da parte di Italia Viva – di una mozione di sfiducia ad un ministro del proprio governo. L’annuncio forse era solo uno dei tanti bluff (al punto che ad oggi non se ne sa più nulla) ma l’acrimonia messa in campo da tutti è rimasta sospesa nell’aria, come un veleno in forma gassosa.

S&D

Secondo tema: alla boutade di Matteo Renzi che propone un nuovo esecutivo “guidato da Roberto Gualtieri, o da Mario Draghi”, ovviamente, non ha creduto nessuno, nemmeno la devota Maria Elena Boschi. Lo strappo sulla prescrizione è andato apparentemente in sonno – sul piano legislativo per ora è tutto sospeso – ma la battaglia che si è combattuta dentro la maggioranza giallorossa è rimasta, come una ferita non cicatrizzata. Dettaglio non da poco: nella sua guerra contro le modifiche che il governo voleva inserire nel Milleprororoghe Renzi non ha ottenuto di “migliorare” il testo, come una buona “opposizione riformista” si preoccupa di fare, ma l’esatto contrario: far saltare le nuove regole che erano già state concordate nella maggioranza (che limitavano, secondo una determinata casistica, l’abolizione integrale). È forse la prova più evidente che del merito della questione a Renzi importi poco o nulla.

Non è un mistero: l’ex premier vorrebbe decapitare Giuseppe Conte, e Conte ormai stapperebbe volentieri lo champagne se potesse sostituire Italia Viva con i voti di altri parlamentari. Il che vuol dire che se il premier avrà la certezza di un gruppo di responsabili sufficienti a rimpiazzare i “fucsia” al Senato decapiterà Iv senza troppi complimenti. Mentre Renzi per riuscire nel suo ultimo azzardo (i precedenti non lo aiutano, dal referendum in poi li ha falliti tutti) ha bisogno di una garanzia: quella di riuscire a far cadere il governo. Ma subito dopo deve avere anche due certezze: quella che non si andrà in nessun caso a votare, e quella che altri non prendano il suo posto. Perché se l’ex sindaco di Firenze si ritrovasse all’opposizione con Matteo Salvini, e poi fosse costretto ad affrontare le elezioni con lo scenario che si prepara dopo l’estate (legge elettorale con sbarramento al 5 per cento, parlamentari dimezzati) vedrebbe sterminato il suo gruppo, e forse faticherebbe anche ad essere rieletto lui stesso.

Intanto i sondaggi languono, e dicono tutti la stessa cosa: i ripetuti braccio di ferro inscenati in questi mesi da Italia Viva hanno prodotto tantissima visibilità mediatica ma nessun consenso. Chi vota centrosinistra ascolta Renzi, anche con attenzione, ma – lo dicono tutti gli istituti – date le sue posizioni attuali non si convince a votare il suo partito: qualcuno lo stima al 3 per cento (Ixé) qualcuno ancora al 4 per cento (Masia) ma il dato più preoccupante per i leopoldini è che hanno logorato il rapporto con la loro maggioranza, senza crescere mai rispetto alla base che veniva accreditata loro in partenza.

Il punto – dicono i sondaggisti – è questo: a sinistra l’uomo di Rignano non guadagna voti. Aggiunge Roberto Weber di Ixé: “Il problema non è che Renzi non riesce a trasmettere il suo messaggio. È che questo messaggio non gli porta un solo consenso in più tra gli elettori della sua coalizione”. Ripercorrere autenticamente il tragitto politico compiuto da agosto ad oggi è impressionante: non c’è una solo tema in cui Italia Viva non sia stata in dissenso con la maggioranza di cui teoricamente fa parte: critica sulla manovra, contraria su quota cento, ovviamente critica sul reddito di cittadinanza, poi contro la Sugar Tax, contraria alla Plastic Tax e financo contraria alla rimodulazione differenziata dell’IVA. Poi l’ex sindaco si è smarcato persino sulla legge elettorale, e come sappiamo – da ultimo – è all’opposizione sulla giustizia. I suoi ministri due giorni fa non hanno partecipato al Consiglio dei ministri e in passato spesso ci sono stati, ma a litigare (memorabile il racconto del Corriere della sera sulla Bellanova che si consulta via telefonino con Renzi).

Ovviamente tutti questi strappi sono un diritto, ma la domanda sorge spontanea: cosa si fa in una maggioranza in cui non si è stati mai d’accordo su nulla? Certo, non va dimenticato che la scissione di Renzi avvenne subito dopo la conquista delle poltrone di governo: la sera i ministri e sottosegretari che avevano ottenuto l’incarico che erano ancora nel Pd, (e quindi ovviamente in quota Pd) la mattina dopo indossavano già la maglia del loro nuovo partito (portandosi dietro la poltrona). Un record.

I senatori che l’uomo di Rignano alla vigilia della scissione annunciava di aver convinto erano addirittura “quaranta” alla fine – come è noto – ne ha messi insieme solo diciotto (e tre di loro vengono addirittura da destra!). Subito dopo aver smesso di litigare sulla manovra, e poco prima di averlo iniziato a fare sulla giustizia, il leader dei fucsia è riuscito persino ad ottenere la nomina di Ernesto Ruffini (peraltro persona degnissima) che era già il suo uomo, proprio all’Agenzia delle entrate.

Ed ecco allora in che scenario ha preso corpo la vera mossa che l’ex premier medita, rivelata indirettamente da Giorgia Meloni: uccidere il governo giallorosso, e determinare una nuova maggioranza dove si potrebbe trovare più a suo agio. Mandare via Conte, che considera un usurpatore.

Ovviamente tutto questo, per lui, può accadere solo se andrà a destra, (o con la destra), che poi è la stessa cosa. C’è lo spazio per una simile operazione? Renzi è convinto di una cosa: solo lui può attrarre gli elettori di Forza Italia che i delfini del Cavaliere, per un motivo o per un altro, non riescono più a convincere. E quindi è certo che solo in quello spazio ci sia la prospettiva di crescita che adesso non riesce a trovare.

Luca Telese intervista Giorgia Meloni

Se il governo Conte cade, poi, per il complesso ingorgo istituzionale che si sta producendo (referendum sui parlamentari, legge elettorale e collegi da ridisegnare) non si potrà andare al voto almeno fino alla primavera del prossimo anno: ecco quindi che un governo istituzionale sarebbe di fatto un governo costituito da chi nella destra fosse disponibile, più Italia Viva e le care vecchie frattaglie del Gruppo misto.

Ma torniamo alla Meloni. Quando parlo di questo scenario con la leader di Fratelli d’Italia rimango stupito per la nettezza della sua presa di posizione: “Io posso essere sicura di una cosa. Non andremo mai con Renzi, con lui non voglio prenderci nemmeno un caffè”. Pausa: “Crediamo che dar vita in Parlamento a qualsiasi maggioranza diversa da quella con cui ci siano presentati alle elezioni politiche sarebbe un errore. Siamo certi che dopo la caduta di questo governo non andare a votare sarebbe un altro errore. Se cade questo governo c’è solo il voto. Questa è la nostra linea. Figurarsi – aggiunge la Meloni – se possiamo immaginare una convergenza in Parlamento, o una nuova maggioranza con Italia viva”. Chiedo alla leader della destra italiana perché sia così netta. Lei mi risponde: “Noi siamo quelli della chiarezza, dei patti rispettati del voto dato per decidere: stiamo già vincendo come coalizione, sui territori. qualsiasi accordo con Renzi sarebbe un inspiegabile suicidio politico”.

Nel silenzio degli altri, la presa di posizione della leader di Fratelli d’Italia è come la punta di un iceberg che affiora sul pelo dell’acqua: rivela il lavoro che è stato fatto sottotraccia in questo ultimo mese. È noto che Silvio Berlusconi dal giorno delle elezioni del 2018 è convinto che si possa fare un governo del centrodestra. Adesso, dopo la scissione di Renzi, crede che sia maturata una condizione aggiuntiva.

Al Senato se l’ex premier muovesse la sua pattuglia ci sarebbe già una maggioranza solida. Alla Camera si dovrebbe ballare, ma il Cavaliere ha sempre detto: “I responsabili li trovo io” (non bisogna mai sottovalutarlo). Forza Italia ha una rappresentanza parlamentare enorme rispetto alla sua consistenza elettorale attuale. Mentre l’uomo perfetto per costruire questo complesso sudoku esiste, e si chiama Denis Verdini: parla con Berlusconi, è stato un prezioso alleato di Renzi (con i suoi voti gli ha consentito di restare premier dopo la fine del primo Nazareno), è il padre della fidanzata di Salvini, una delle voci che il leader della Lega ascolta. Ma se queste sono le forze in campo, allora perché tutto questo non è già accaduto? Il punto è che senza la Meloni, i numeri e le condizioni politiche per una operazione di ribaltone non ci sono. Non si tratta solo del suo 4 per cento (i voti che aveva nel 2018). Se Fratelli d’Italia restasse fuori svuoterebbe la Lega, diventando un voto alternativo ancora più appetibile. Sempre Weber spiega: “Una percentuale enorme di elettori leghisti dichiara che il suo secondo voto sarebbe Fratelli d’Italia”.

Mentre il secondo problema è che la caccia ai responsabili inaugurata da Palazzo Chigi è partita in grande stile, proprio in queste ore, e cerca senatori in tre aree: tra coloro che sono in Italia Viva (ma per motivi diversi sono insoddisfatti), tra chi è a disagio in Forza Italia per l’alleanza con Salvini (una lunga lista) e anche tra i tanti ex centristi eletti nelle formazioni più diverse. Squillano – per esempio – i telefonini di Paola Binetti (ex udicina, ma anche ex fondatrice del primo Pd) e quelli di Massimo Mallegni (liberale azzurro, oggi fuori linea). Insomma: lo scenario è “mors tua vita mea”. Renzi si era illuso che dando battaglia sulla prescrizione avrebbe potuto staccare il Pd dai Cinque stelle. Ma il risultato che ha ottenuto ad oggi è l’esatto opposto: proprio in odio a Renzi si è stretto molto di più il legame tra Pd e Conte. Un altro calcolo sbagliato.

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