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Comunali, a Roma Meloni rischia tutto: la generazione Atreju vuole rottamare la dirigenza di FdI

Immagine di copertina
La presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. Credit: ANSA/ANGELO CARCONI

Nella capitale sembra avverarsi il titolo del Manifesto: “Sono Giorgia e non so chi candidare” ma in realtà Fratelli d’Italia vuole ristrutturare la propria immagine, puntando sulla generazione Atreju e rottamando la comunità militante che ha formato Meloni

A Roma, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni rischia di giocarsi tutto. Non solo perché la Capitale è sempre stata la “Betlemme della destra“, con le sue sezioni movimentiste entrate nell’immaginario collettivo, ma anche perché è qui che nasce la classe dirigente che oggi è in FdI dopo aver fatto gavetta con il Movimento Sociale Italiano (Msi) dentro il Fronte della Gioventù, per poi passare in Alleanza nazionale (An), confluire nel Popolo delle Libertà (Pdl) e infine fondare Fratelli d’Italia dopo il rifiuto di Berlusconi di fare le primarie.

S&D

Questa classe dirigente è sempre stata contraria ad appaltare ai candidati civici, opzione considerata come un fallimento della politica. La scelta di puntare sui “civici‘, quindi, ha inevitabilmente sollevato mugugni anche alla luce del competitor fortemente politico del Partito Democratico (Pd), l’ex ministro Roberto Gualtieri.

Il profilo del candidato del centrodestra infatti si è fatto attendere proprio per vedere chi candidavano dalle parti del Nazareno. A un esponente civico del Pd si sarebbe risposto con un civico, a un politico con un politico, questo è stato sempre il “mantra” in ambito centrodestra quando venivano interpellati sui motivi dei ritardi.

L’attesa dunque sembrava ragionevole. Per questo quando Enrico Letta ha dato il via libera all’ex ministro dell’Economia tutti si attendevano dal centrodestra una controfferta altamente politicizzata. Soprattutto da FdI che tra le sue fila può contare parlamentari romani di lungo corso ed esperienza.

Nascono nella Capitale personaggi come Marco Marsilio, che oggi guida la Regione Abruzzo ma cresciuto politicamente a Roma nella sezione di Colle Oppio, dopo essere stato consigliere comunale, senatore oltre che braccio destro di Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera.

Nasce a Roma, e in particolare nella provincia romana dove ha il suo elettorato, Francesco Lollobrigida, cognato di Giorgia Meloni e capogruppo alla Camera, con trascorsi alla Regione Lazio come assessore ai Trasporti della giunta guidata da Renata Polverini. Nasce a Roma Fabrizio Ghera, attuale capogruppo di FdI alla Regione Lazio, recordman di preferenze nel Comune di Roma e assessore ai Lavori Pubblici della giunta del sindaco Gianni Alemanno.

Insomma sono tutti politici con importanti pacchetti di voti a livello territoriale ed esperienze amministrative pregresse. Per non parlare poi del pedigree tutto romano di Giorgia Meloni, che nasce politicamente a Roma. La leader di FdI si formò e fu lanciata proprio da quel gruppo militante che a Colle Oppio aveva il laboratorio politico della nuova destra. Ma mentre per Giorgia Meloni l’orizzonte è ormai quello di Palazzo Chigi, la sua classe dirigente sembra più impegnata a baloccarsi passando da una candidatura all’altra senza avere ben chiaro il da farsi.

Cosa sta accadendo nella classe dirigente romana? Sta accadendo che Fratelli d’Italia vuole completamente ristrutturare la propria immagine, con un bonus del 110 per cento in salsa politica della generazione Atreju, quella dei trentenni e quarantenni legati alla parabola meloniana rafforzatasi all’ombra del ministero della Gioventù, e rottamare la comunità militante che l’ha formata e che aveva puntato tutto su di lei per 20 anni.

A Roma, Fratelli d’Italia rinuncia ai suoi candidati più competitivi, come Rampelli – che si è sempre chiamato fuori dalla gara, ma sul quale puntava addirittura un suo storico antagonista come Francesco Storace. Ma il punto di caduta di tutto questo qual è? Qual è la vera posta in gioco? Lasciare ad altri la Capitale per ipotecare la Regione Lazio dove Lollobrigida vorrebbe tornare, spiegano a mezza bocca i più maliziosi. Ma questa volta da presidente.

Insomma, più passano i giorni più sembra avverarsi il titolo del Manifesto: “Sono Giorgia e non so chi candidare”, nel quale si racconta il “paradosso di destre che volano nei sondaggi ma non riescono a trovare candidati adatti alla corsa nelle principali città della contesa amministrativa” a causa della mancanza di una classe dirigente degna di questo nome.

Ma la vera ragione è un’altra. E per la comunità che si forgiò tra gli anni ‘80 e ‘90 nel superamento del fascismo, sperimentando il movimentismo e l’associazionismo, facendo incursioni culturali molto più moderne e visionarie dell’attuale cantilena risorgimentale dei meloniani di stretta osservanza, la fregatura è arrivata.

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