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Home » Politica

Referendum effetto ZTL, il No perde ovunque ma vince nei centri storici

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Scrutinatori iniziano lo spoglio delle schede per il voto referendario in un seggio di Roma 21 settembre 2020. ANSA/FABIO FRUSTACI

Il dato dei centri storici conferma che gli elettori del PD hanno in gran parte votato No e che si conferma il cosiddetto "effetto ZTL"

Dopo il Partito Democratico alle Politiche 2018 e alle Europee 2019 e il Sì al referendum costituzionale 2016, è il No a ricoprire il ruolo di “partito delle ZTL” al referendum sul taglio dei parlamentari. Nonostante una maggioranza bulgara di Sì che sfiora il 70 per cento su scala nazionale, i centri storici delle grandi città italiane vedono una prevalenza o un dato comunque sopra la media di voti contro il taglio.

In un voto a larga maggioranza che ha visto pochissimi degli oltre 7mila comuni italiani registrare la prevalenza del No sul Sì, nei centri storici di Roma, Milano e Torino – solo per citare tre delle quattro più grandi città italiane – si impone la contrarietà al taglio. Praticamente dei veri e propri fortini che resistono a un’onda anomala.

Questo caso, come abbiamo detto, non è nuovo. Nel 2018 il centrosinistra ottenne su scala nazionale uno dei peggiori risultati della sua storia, fermandosi intorno al 22 per cento, ma il loro fortino non furono come da tradizione le regioni rosse, ma i centri delle grandi città, che andavano a contrapporsi a un magrissimo consenso nelle periferie e nelle zone rurali. Nel centro di Roma, ad esempio, così come in quelli di Torino e Milano, il dato del centrosinistra superava il 40 per cento, andando a imporsi anche in quartieri che fino a pochi anni prima erano roccaforti del centrodestra. Si pensi, giusto per fare un esempio, che Milano centro era il collegio in cui, nel 1996 e nel 2001, venne eletto senza alcun problema Silvio Berlusconi.

Ma cosa ha portato a questo risultato? Sicuramente negli anni i partiti del centrosinistra, in Italia come nel resto del mondo, hanno cambiato le loro prospettive, abbandonando gradualmente le istanze tradizionali della classe operaia in favore di nuovi temi, più vicini alle classi sociali generalmente più abbienti. Questo nel tempo ha portato a una gentrificazione dell’elettorato, che si è allontanato dalle zone operaie tradizionalmente rosse, dove hanno preso piede il Movimento Cinque Stelle e la Lega, in favore di un aumento di consensi nei quartieri tradizionalmente più altolocati: fa scuola in questo senso il fatto che i Parioli, il quartiere abitato dalla Roma bene tradizionalmente di destra, sia diventato oggi una roccaforte del PD.

Possiamo vedere chiaramente a Roma come il I e il II Municipio, rispettivamente il Centro Storico e la zona di Roma Nord che dai Parioli va al Nomentano, il centrosinistra si imponga regolarmente da anni con larga maggioranza anche nelle elezioni più difficili. Nel 2016, ad esempio, il candidato sindaco di Roma del centrosinistra Roberto Giachetti arrivò a battere Virginia Raggi solo in questi due municipi, mentre a livello comunale prendeva una batosta di larga misura. Lo stesso anno, al referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi, questi due Municipi furono gli unici due in cui vinse il Sì. Ma possiamo continuare, e se come abbiamo già visto nel 2018 queste aree sono state quelle dove il centrosinistra è andato meglio, lo stesso possiamo dire per il risultato del PD nel 2019 sia stato il più alto.

Se andiamo a vedere quali sono i Municipi di Roma dove i cittadini hanno un reddito pro capite più alto, vediamo come siano proprio il I e il II Municipio i due che vedono un dato più alto, mentre il VI, quello all’estremo est del territorio comunale, è quello più basso. Un dato che dovrebbe far riflettere molto sul cambio di prospettiva del centrosinistra, che nei primi due ottiene da anni i suoi migliori risultati e nel VI, invece, ottiene il dato più basso della Capitale.

Ma arriviamo al referendum del 2020, in cui su Roma il Sì vince con circa il 60 per cento dei consensi: un dato netto, seppur inferiore di quasi dieci punti a quello nazionale. Se andiamo a vedere i dati municipio per municipio, vediamo come sia nel I che nel II a imporsi, quasi come in un fortino sotto assedio, sia stato proprio il No. Proprio nei due municipi roccaforte del PD.

Un dato, questo, che mostra in modo chiaro come il voto al referendum sia stato un voto sul quesito, in gran parte estraneo al voto dei partiti, perché matematica alla mano possiamo dire che proprio alla luce del dato dei centri storici delle grandi città italiane l’elettorato del PD abbia in gran parte preferito votare no. Dati confermati da un sondaggio Tecno uscito ieri, che mostra come il 55 per cento degli elettori del PD recatisi alle urne abbia votato No, dato che sale addirittura al 77 per cento per gli elettori di Italia Viva.

Dati che possono contare poco, visto che sul dato referendario gran parte dei dirigenti dei principali partiti hanno gridato alla vittoria, dopo aver sostenuto, magari solo all’ultimo passaggio parlamentare, il taglio dei parlamentari. Ma se quasi tutti i partiti hanno detto sì, tra quelli che hanno detto No c’è senza dubbio il Partito delle ZTL.

Leggi anche: 1. L’unico governo oggi possibile (di Giulio Gambino) / 2. Lo scacco matto di Zinga: dà il benservito ai nostalgici di Renzi e alla destra grillina (di Luca Telese) / 3. La rivincita di Emiliano: solo contro tutti, zittisce anche i nemici interni e salva il PD (e Conte)
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