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Gabrielli? Il nuovo capo dei Servizi è un regalo di Renzi: così è nata la loro alleanza “incostituzionale”

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Franco Gabrielli e Matteo Renzi. Credit: ANSA

Dalla Dc a quella mossa che salvò il Pd renziano da Mafia Capitale, fino alla norma sul controllo dell'Autorità giudiziaria bocciata dalla Consulta. Ecco come è nato l'asse Gabrielli-Renzi

Matteo Renzi e Franco Gabrielli sono entrati in sintonia quando il primo ha rivitalizzato i residui della corrente morotea per rottamare il Pd e nominare Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, storico appartenente alla cosiddetta sinistra Dc sotto l’egida di Ciriaco De Mita: la stessa di cui fu militante negli anni ’80 il neo-nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi segreti.

S&D

Prima di entrare in Polizia, infatti, Gabrielli era il segretario giovanile della Dc di Massa, lanciato come promettente segretario politico, in qualità di capo staff del gruppo di Renzo Lusetti (non a caso traghettatore della Margherita nel Pd), di cui facevano parte anche Dario Franceschini e Angelino Alfano (poi entrambi ministri del Governo Renzi).

In quel periodo Gabrielli si legò a doppio filo, in particolare, a Simone Guerrini, che sostituì Lusetti alla guida dei giovani della Dc. Lusetti – una carriera in Finmeccanica – è attuale ascoltatissimo consigliere presso il Quirinale, direttore dell’Ufficio di Segreteria del Presidente della Repubblica ed è considerato il vero e proprio braccio destro di Sergio Mattarella.

La comunione di intenti (entrambi ferventi cattolici) si rafforza quando nel 2015 il premier Renzi, su proposta di Alfano, nomina Prefetto di Roma Gabrielli, il quale si rende protagonista di tre circostanze che, nel 2016, ne determinano la nomina a Capo della Polizia (direttore generale della Pubblica sicurezza).

Da Prefetto della Capitale, innanzitutto Gabrielli esautora di fatto il sindaco Marino (“ci sentiamo tra un’immersione e l’altra”, ironizzò sulle vacanze fuori Roma del primo cittadino), troppo ostile ai piani di Renzi e del suo fedele Matteo Orfini, presidente di quel Pd che rischiava di essere travolto politicamente dallo scandalo “Mondo di mezzo” (alias “Mafia Capitale”). Quello stesso Pd che il sindaco Marino – fervente, anche se un po’ maldestro, oppositore del “Mondo di mezzo” – voleva rifondare, ma ai danni del gruppo del premier.

Gabrielli in quei mesi è anche autore della famosa relazione in cui propone ad Alfano e Renzi (compiacenti) di non commissariare la Capitale, come indicato dalla commissione prefettizia, bensì solo il X Municipio di Ostia, così anche salvando l’establishment del Pd caro a Renzi.

Ma il Prefetto è anche l’unica Autorità di pubblica sicurezza presente in sede quando si tiene lo scandaloso funerale show del boss Casamonica che tiene in ostaggio Roma, con ulteriore grave danno per la credibilità istituzionale.

Nel frattempo Renzi fa varare dal governo, nel Dlgs 177/2016 contenente “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato”, una norma tanto nascosta nelle pieghe del decreto quanto “sovversiva” dell’ordinamento costituzionale, con particolare riferimento al principi di divisione dei poteri e di salvaguardia del segreto investigativo.

L’articolo 18 comma 5 del suddetto decreto, insidiosamente fuori contesto rispetto alla delega del Parlamento, sancisce infatti che “il Capo della Polizia e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del Codice di procedura penale”.

Una norma che Gabrielli si affretta ad attuare, immediatamente vergando e firmando di proprio pugno due circolari monstre per complessive 10 pagine fitte-fitte di ciò che appare da subito come uno strafalcione giuridico-costituzionale a carattere “sovversivo” (nel significato estensivo del termine, come ciò che tende a rivoluzionare e a sconvolgere uno stato di cose esistente). Tanto da determinare l’insorgere di procuratori capo della Repubblica di punta e del Csm, che nella circostanza viene pure così apostrofato dal Capo della Polizia: “Io servo lo Stato, non il Governo. Sul segreto delle indagini il Csm mi ha offeso”.

Parole gravi, indice di scarso equilibrio o peggio di “bipolarismo istituzionale”, soprattutto perché espresse in modo violento nel momento in cui è pure esploso il caso Consip in cui sono coinvolti anche sodali e familiari di Renzi, nonché il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette, poi condannato in primo grado a 10 mesi per rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento per aver informato il presidente della Consip sulle indagini in corso.

Tutto ciò ha delle conseguenze ancor più gravi: a seguito del caso dei fratelli Occhionero – arrestati per aver messo a rischio la riservatezza/sicurezza di alte cariche dello Stato (compreso Renzi) all’insaputa di Gabrielli, il Capo della Polizia per ritorsione rimuove “tout court” e sanziona il responsabile dell’indagine, sino al giorno prima considerato un “superpoliziotto”, nonché direttore del Servizio di Polizia Postale e delle comunicazioni e del Cnaipic (Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche).

L’alto dirigente, però, fa ricorso al Tar del Lazio, che annulla il decreto firmato da Gabrielli. Ma il Capo della Polizia non ottempera alla sentenza: i giudici gli ordinano quindi di eseguirla, cancellando la sanzione inflitta all’alto dirigente per non aver informato dell’indagine in corso il Capo della Polizia, e condannando pure alle spese Gabrielli per complessivi 2.500 euro più oneri accessori, anche per aver violato il giudicato.

Non contento, Gabrielli impugna le pronunce del Tar al Consiglio di Stato, ove tutto si blocca: nel frattempo, infatti, la Corte Costituzionale con sentenza n.229/2018 ha dichiarato illegittima la norma fortemente voluta da Renzi e violentemente attuata da Gabrielli.

Proprio leggendo le motivazioni della Suprema Corte si percepisce la gravità del contesto sinora descritto: “Un vero e proprio conflitto tra poteri dello Stato” tale da “pregiudicare immediatamente le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria requirente (…) prevedendo in capo agli appartenenti alla Polizia giudiziaria, e a beneficio dei superiori gerarchici di quest’ultimi, obblighi informativi sulle notizie di reato, ponendo quindi le relative informazioni nella disponibilità di una ‘scala gerarchica’ che conduce potenzialmente fino ai vertici del potere esecutivo”.

Mentre dalle conclusioni della Corte si acclara il carattere “sovversivo” del comportamento assunto dal duo Renzi-Gabrielli: “Il coordinamento informativo e quello organizzativo non coincidono con quello investigativo. Si tratta di funzioni diverse, che la legislazione ordinaria non può confondere o sovrapporre, a prezzo di violare il sistema costituzionale”.

Leggi anche: 1. Gabrielli-Giannini e il bipolarismo istituzionale. Flop, depistaggi: tutte le loro ombre / 2. Ombre sul Viminale: quei dirigenti pluri-condannati ma intoccabili che hanno fatto carriera con Lamorgese e Gabrielli

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