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Retroscena TPI – Conte e Di Maio negano, ma ieri hanno litigato sulla giustizia: “Dove vuoi arrivare Giuseppe?”

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Durante la giornata di ieri lo psicodramma si è sviluppato in due atti, fortemente correlati tra loro. Il principale indubbiamente riguarda il “bluff” dell’ex presidente del Consiglio. Giuseppe Conte sapeva dall’inizio, o almeno dal suo ultimo incontro diretto con il premier Mario Draghi – d’altra parte lo avevamo scritto più volte su TPI – che a casa avrebbe portato ben poco concretamente, ma con il passare delle ore si è reso conto che avrebbe dovuto fare almeno fino all’ultimo la faccia dura.

S&D

Così è nato il coup de théâtre dell’astensione, minacciato ed esibito durante l’incontro con la delegazione Cinque Stelle a Consiglio dei ministri in corso. A Palazzo Chigi ancora stanno “tremando” dalla paura (si fa per dire, ovviamente). È qui che è venuto fuori il solito diverbio tra Conte e Di Maio, naturalmente smentito il giorno dopo (una smentita non si nega a nessuno, soprattutto se ti ritrovi tutta la stampa che dà il merito dell’intesa al ministro degli Esteri).

Il titolare della Farnesina ieri si era messo in testa di smascherare il leader in pectore-tentenna del M5S. “Dove vuoi arrivare Giuseppe? Lo sai che in questo modo spacchi irrimediabilmente il gruppo alla Camera, che segue me?”, gli ha detto Di Maio, a quanto è in grado di rivelare TPI, nel corso della tesissima (eufemismo) riunione dei pentastallati.

È finita poi come doveva finire: Conte si è accontentato del “regalino” della proroga di 3 anni per i reati di mafia e ora dovrà fare i conti con gli irriducibili che lo aspettano al varco. Trovato l’accordo, le campane a morto per i contiani le suona l’avversario di sempre, Matteo Renzi, che annuncia “urbi et orbi” il decesso della Bonafede.

Il film minore si sviluppa nel Pd: il solito psicodramma, però con una novità. Questa volta i ministri dem si sono spaventati e il messaggio che hanno fatto recapitare a Conte (via Franceschini) è suonato inequivocabile: “Stavolta non vi seguiamo”. Che tradotto significa: o dite sì a Draghi o salta l’alleanza. E addio sogni di gloria per l’ex premier, che in cuor suo ancora spera di essere il federatore del nuovo centrosinistra e in questo modo ricandidarsi per la presidenza del Consiglio (pesano le molte promesse fatte in passato dai vertici Pd).

Capito ora perché Draghi ha messo la Rai in mano ai dem? Per far “ragionare” i Cinque Stelle (anche questo lo avevamo scritto).

E Letta? Non pervenuto. Il leader del Partito democratico prima si era intestato la mediazione, poi, quando Draghi gliel’ha sottratta, è scomparso. “Questo segretario è proprio un disastro”, sussurra un deputato dem che prima però implora l’anonimato. E, come in tutte le vere guerre, il bastione del comando lo ha preso Franceschini. L’unica vera autorità riconosciuta (dagli amici e soprattutto dai nemici) in casa Pd. Orlando? Scomparso anche lui, insieme a Enrico Letta.

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