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Beppe Sala a TPI: “Se tornassi indietro, parlerei di meno. Non so se mi ricandido a sindaco di Milano”

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

"È la prima volta in vita mia in cui dormo male e soffro": intervistato da TPI il sindaco di Milano Beppe Sala ripercorre i difficilissimi mesi alla guida della città nel periodo più critico della sua storia. Ammette gli errori, soprattutto di comunicazione, e pungola il governo: "Non ha una linea chiara"

“Quando 5 anni fa dovevo decidermi se candidarmi ho fatto il Cammino di Santiago. Ora non riesco. Allora mi sono comperato una bici da corsa e rifletterò in sella durante le mie vacanze liguri”. Beppe Sala non risponde alla domanda sulla sua possibile ricandidatura, ma è già anomalo che sia in forse, e quel “forse” è l’eredità di qualche sbaglio nel periodo più difficile per Milano e per il Paese. Quella Milano che era la prima della classe e ora si trova zoppicante e affaticata, senza sapere cosa accadrà nei prossimi mesi.

Come sta Milano?
La vera questione non è come sta, ma “è davvero finita?”. La scienza non ci aiuta, anche gli scienziati non sanno molto e il problema è che parlano tanto, in un momento in cui bisogna parlare poco. Se potessi tornare indietro non parlerei un sacco di volte anche io.
Se dovesse azzardare una previsione?
Io penso che avremo 1 o 2 anni di grandi sofferenze.

Il governo sta facendo abbastanza?
Noi combattiamo, ma è difficile essere ottimisti. Questo governo, che sarebbe pure dalla mia parte, non ha una linea chiara. Nella crisi precedente del 2008/2009 l’Europa è intervenuta direttamente sulle aziende da salvare. In questa c’è l’intermediazione del governo, per cui c’è una situazione paradossale: la politica si trova a dover svolgere un ruolo ancora più rilevante perché avrà una montagna di soldi da investire e dovrà decidere come. Ad oggi abbiamo visto una piccola parte di quello che andava fatto, ovvero quella assistenziale: la cassa integrazione e il resto. Quello che ancora non si vede è il piano a lungo termine. Su cosa si lavorerà? Sulle infrastrutture? Sull’ambiente? Sul digitale? E come? Se vai dagli Stati Generali hai due possibilità: o hai il tuo piano e lo spieghi, oppure il secondo, cioè quello di Conte che è: parliamo del futuro del Paese. Solo che è difficile che tu venga a capo di qualcosa, perché gli industriali fanno la loro parte, i sindacati la loro… ognuno tira da una parte.

Beppe Sala da dove partirebbe?
Ambiente, infrastrutture e digitalizzazione. A livello di infrastrutture guardiamo cosa sta succedendo sulle autostrade. Costruzioni degli anni ’60/’70, tirate su con quel cemento armato che dura 60 anni. Poi c’è l’ambiente. Non si può ignorare questo tema, stanno andando tutti in quella direzione. Ho avuto qui i vertici di Bmw poco fa e mi chiedevano se Milano rispetto alle auto ha una posizione ideologica. Ho spiegato che sto facendo quello che fanno le grandi città del mondo. Nessuna guerra, ma ci sono troppe automobili, non si può immaginare Milano tra 10 anni con le macchine ovunque.

Parliamo di smart working o preferisce non tornare sul luogo del delitto?
Mi sono espresso male, ho sbagliato nel dire “torniamo a lavorare” come se da casa non si lavorasse. Avrei dovuto dire “Torniamo in ufficio altrimenti facciamo morire una parte della città”. È un messaggio che ho fatto di corsa.
Uno dei famosi “Buongiorno Milano” sui social…
Sì, forse quella forma di comunicazione ha avuto un senso in una fase in cui tutti erano a casa e aspettavano che li informassi. Poi l’ho tirata per le lunghe e forse non ce ne era più bisogno. 

Il 14 settembre inizia la scuola, cosa succederà? Le idee sembrano confuse anche a Milano.
Il tema è delicatissimo. Il problema va diviso in due blocchi: quello da 0 a 6 anni e l’altro. Il problema più grave è quello 0/6, perché come fai a imporre le mascherine o il distanziamento sociale a quell’età? In più non ci sono classi ma spazi comuni. Le direttive del governo e della regione sono molto generali. Io oggi non riesco a rispondere a 12mila famiglie in lista di attesa perché non so quanti posti ho con i limiti e le distanze. È terribile e le famiglie si arrabbieranno, ma io non posso moltiplicare lo spazio. Poi ci sono i sindacati che mi dicono: se i bambini non hanno la mascherina al personale allora fai il test. Come, quando, ogni quanto? A meno che non si decida che i bambini da 0 a 6 anni non sono infettivi come dicono in Germania, vedo tutto molto complesso. E per risolverlo bisogna avere ministeri solidi.

Questo passaggio dal guidare una città lanciatissima a una città zoppa, com’è, da sindaco?
Da una parte c’è la questione emotiva, e posso dire che io stavo chiudendo un mandato che non dico fosse stato trionfale, ma oggettivamente era andato molto bene, e mi sono ritrovato con giudizi ripensati in funzione di quella che è stata la situazione del Covid. Sono mesi di sofferenza enorme, sono uno con un grande equilibrio psicologico perché ne ho passate tante nella vita ma è la prima volta in cui dormo male e soffro.
I sindaci che non dormono durante e dopo l’emergenza, tema ricorrente.
Ero arrivato a 62 anni senza il problema dell’insonnia, ora mi alzo, ho pensieri, non riesco a liberarmene. Poi certo, sono qui col mio dilemma: io non voglio tagliare alcun servizio perché non posso accrescere le difficoltà di chi già è in difficoltà. E poi c’è una questione di riconoscenza. Milano è diventata grande perché io ho fatto la mia parte e i milanesi hanno fatto la loro.

Quindi?
Quindi la discussione col governo è: io non vi chiedo soldi, vi chiedo di permettermi di indebitarmi essendo questa una scelta totalmente sostenibile. Milano ha una situazione patrimoniale e finanziaria eccellente, prima del Covid avevo ridotto il debito del 10%. Se per sostenere questo periodo avessi bisogno di indebitarmi di 1 miliardo, Milano potrebbe farlo. Io non sono preoccupato per il breve, ma per il lungo termine.
Il breve però potrebbe non essere così breve.
Sì, sono d’accordo, fino al 2021 non penso possa esserci un grande miglioramento.

Il problema è chi sopravviverà, nel frattempo. Ieri sono stata in Corso Buenos Aires ed era un cimitero di negozi e attività chiuse.
Ci siamo anche un po’ richiusi su noi stessi, c’è forse un trauma da elaborare, però voglio dire una cosa: da un lato si sono visti grandi momenti di solidarietà, ha funzionato il volontariato, tanti ragazzi si sono dati da fare. Dall’altro lato sono venuti fuori degli egoismi: io la mascherina non la metto, io sono a casa, ho il mio lavoro, ho lo smart working… va bene così.
Ricominciare ad uscire di più sarebbe un atto di generosità?
Secondo me sì. Le città devono cambiare, certo, forse erano troppo convulse, troppo trafficate, ma oggi la città deve rinascere. Sa qual è la via più brutta a Milano secondo me?

Non so, Viale Padova?
No, via Mazzini, quella che dal Duomo va verso Piazza Missori perché da anni lì c’è la metà dei negozi con le vetrine sbarrate, tutto chiuso. Immaginiamo Milano così,  con il cartone sulle vetrine, è qualcosa di tremendo. È nel nostro interesse aiutarla a rinascere. Poi per carità, il modello di prima aveva dei limiti e possiamo discuterne, ma la sopravvivenza di chi ha un’attività commerciale è al limite, in questo momento.
Chi non lo aveva mai fatto ha iniziato a comprare online, c’è anche questo.
Stare a casa ha abituato tantissimi a farlo, questo ha accelerato ulteriormente la corsa verso l’e-commerce. Non andiamo più in negozio come prima a compare un pullover e se aggiungiamo che mancano le occasioni per sfoggiare quello che ti compri…

Qualcosa di positivo lo avremo imparato.
Certo. Se penso a quante volte sono andato a Roma per una riunione e non era necessario, l’avrei potuta fare da qui, collegato.
Milano non si ferma.. e invece cosa si è fermato a Milano?
Si è fermato poco l’investimento immobiliare, mi spaventa tanto il congelamento del mondo della cultura, perché quella non è solo “attori”, ma è tante maestranze, con lavori già incerti in partenza.

Quante richieste di aiuto riceve ogni giorno?
Tantissime, anche proprio sui miei canali diretti, e per quanto stiamo mettendo dei soldi per tamponare, vedo che la preoccupazione soprattutto per settembre-ottobre è molta.
I milanesi sono più arrabbiati o più disperati?
Disperati, ma nello stile milanese, uno stile educato, anche se poi i social li conosciamo… non c’è sempre stile ed educazione lì.

Però ne ha fatto uno strumento di comunicazione fondamentale.
Quando penso ai miei social penso alla mia storia con Instagram. L’ho inaugurato con Expo. In quel periodo facevo comunicazione con un mezzo antico e uno moderno: la radio tutti i giorni e poi usavo Instagram, perché mi piace fotografare. Ho avuto un lungo periodo in cui usarlo mi piaceva e forse mi ha attirato anche delle simpatie perché sono genuino, mi metto a nudo. Poi con il lockdown l’ho usato per fini politici e ora sono in una grande difficoltà.

Perché?
Perché appena faccio qualcosa, mentre prima era accolta con ironia, adesso c’è molta ostilità generale.
Troppa autoreferenzialità forse? La foto sul Duomo con le frecce tricolore, se l’avesse fatta Salvini chissà quante gliene avremmo dette.
È vero. Avrei detto anche io che era troppo autoreferenziale. Se tornassi indietro non la posterei mai. Non trovo la misura forse, non è più tempo di cazzeggio, perché se Instagram lo usi per cazzeggiare, la riposta è: con tutti i problemi, tu pensi ad andare in bicicletta?

Qualcuno allarga la questione e dice che la sua è l’autoreferenzialità della sinistra.
No, anche perché io sono di sinistra, ma sono soprattutto un prodotto contemporaneo, senza retaggi.
La sinistra le va stretta?
Deve trovare la sua via. Se la sinistra si presenta come “diligente amministratore” non attrae.

Qual è la “tua” via?
Io capisco che tanti mi vedono come quello che faceva il manager, che è ricco, però non conta nulla, quello che conta è ciò che si sente, e una vita come la mia si fa perché ci si crede, per dare una mano a chi sta indietro. Riflettiamo sulla relazione tra economia, politica e società. La società rischia di essere il vaso di coccio tra due vasi di ferro.
Però non mi ha detto qual è la via.
La sinistra può ritrovare una sua via mettendo insieme pensiero socialista e cattolico? Secondo me sì. Abbiamo cancellato la parola socialismo nel 1993, ma solo noi in Italia. Non nel mondo. Non in Europa. I leader di sinistra in Europa ci sono e sono tanti.

Su questa storia del nuovo socialismo l’hanno massacrata.
Perché c’è ancora un tabù intorno al socialismo. Non riusciamo a scindere Craxi dal socialismo. E non va bene. L’idea socialista nel mondo è quanto mai viva.
Potrebbe dargli un nome nuovo.
Ci sto pensando. Io sono permeato dal pensiero cattolico, quindi sono orientato verso questa via, con a cuore un terzo tema che per me ora è fondamentale ed è quello ambientale.

La ciclabile a Buenos Aires non è stata un successo.
Perché serve tempo. È chiaro che oggi c’è il limite di avere ancora le macchine parcheggiate per strada, si è fatta di fretta, nelle grandi città europee, nei grandi viali commerciali le macchine parcheggiate non ci sono. Gli automobilisti si lamentano? Sì, ma l’aria è quello che è, non possiamo più fingere che non sia un tema.
Qualcuno ha associato la diffusione del Covid al tasso di inquinamento di alcune città molto colpite come Milano.
Vero o non vero, io sono a capo della task force C40 dei sindaci delle città più importanti del mondo. Sappiamo che non c’è una certezza scientifica su questo, ma certo i polmoni di chi vive in città inquinate sono quello che sono e bisogna lavorare perché la qualità della vita in tema ambientale migliori.

I milanesi l’hanno delusa? Ogni tanto c’è stata un po’ di disobbedienza e lei si è messo a fare lo sceriffo, senza sembrare troppo nel ruolo.
Sono andato sopra le righe volutamente perché vedevo un pericolo di allentamento, ho fatto un po’ tacco e punta, diciamo così.
Di Milano si dice sia una città in cui si vive bene se si hanno i soldi, malissimo se non si hanno. Figuriamoci ora… tante periferie sono rimaste problematiche, penso a Corvetto.
Lo so, a Corvetto non c’è stato alcun cambiamento dal punto di vista urbanistico, c’è un mix sociale esplosivo e la metropolitana che non arriva in alcune periferie rende più complessi i trasporti. È vero, ci sono quartieri in cui è successo poco, altri di successo anche perché anche furbescamente cominci a chiamare “Nolo” il nord di Loreto… il successo di un quartiere non è solo urbanistica ma anche immagine e narrazione. Penso a Isola, penso a Sarpi: quale milanese tempo fa avrebbe voluto andare a vivere in Sarpi? Ora ci andrebbero tutti.

Dove andrà in vacanza?
In Liguria.
Ma come, e la Sardegna? Non avete inventato il turismo da quelle parti, voi milanesi?
Anche lì, mi esprimo male qualche volta, è vero, però avevo ragione: dove sono finiti tutti questi certificati?

D’accordo, ma era una frase da milanese imbruttito.
È vero, lo ammetto.
La prossima foto su Instagram?
Non lo so, ormai devo stare attento.

Allora facciamo: l’ultima che ha scartato?
Un mio amico mi ha fatto una foto in controluce in cui ero molto scuro, con un microfono. Sembravo Frank Sinatra, troppo pretenzioso, ho detto: lasciamo stare.
A proposito di troppo pretenzioso e autoreferenziale: continua a stare sul divano intento a leggere il suo libro?
Lasciamo stare, anche lì mi hanno fatto un c….

Leggi anche: 1. Sapelli a TPI: “Sul Mes l’Europa mente, è una torta che non va mangiata. L’Italia rischia di diventare un bersaglio” / 2. Cuperlo a TPI: “Gori è più a destra di Confindustria, il Pd è ancora un partito di correnti” / 3. Calenda a TPI: “Gli Stati Generali sono inutili. Il piano Colao era buono, il governo l’ha svalutato senza motivo”

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