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C’è un nesso sempre più stretto tra politica estera e gestione dell’immigrazione irregolare. Ma dobbiamo imparare dai nostri errori

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Si è tenuto al Collegio Carlo Alberto di Torino un convegno sulla politica estera italiana nella gestione delle migrazioni irregolari, co-organizzato da Istituto FIERI e Istituto Affari Internazionali (IAI). Tema estremamente complesso e approcciato da molti punti di vista differenti, quello dei migranti che tentano di raggiungere l’Italia e il resto d’Europa via mare rimane tuttavia poco studiato nei suoi importanti risvolti di politica estera.

S&D

Il convegno, che ha visto tra i suoi ospiti diversi professionisti del settore, si è incentrato sulla relazione di Gabriele Abbondanza – esperto di relazioni internazionali con Università di Madrid, Università di Sydney, e IAI, attualmente ricercatore in visita presso FIERI – e sugli interventi di Ferruccio Pastore (Direttore di FIERI), Asli Okyay (IAI), Rosita Di Peri (Università di Torino), e Luca Barana (IAI).

L’incontro – registrato per chi non ha potuto partecipare – ha evidenziato alcuni tratti fondamentali della politica estera migratoria italiana. Questi sono le politiche migratorie sempre più restrittive nei confronti dei richiedenti asilo via mare, il crescente uso di strumenti di politica estera (esternalizzazione, offshore processing, missioni militari in Paesi di transito, operazioni europee, dispiegamento di unità della marina militare, fornitura di motovedette alle guardie costiere dei Paesi di transito, ed altri), lo scarto tra gli obiettivi delle politiche nazionali (ridurre al minimo gli arrivi via mare e aumentare di molto i rimpatri) e la realtà quotidiana, il sempre maggiore pericolo per i migranti stessi, e la sempre più evidente convergenza tra le politiche estere dell’Unione europea e quelle di Stati membri come l’Italia (e molti altri) in questo ambito.

Inoltre, le politiche estere migratorie sempre più restrittive colpiscono in maniera indiscriminata tutti i migranti senza visto, compresi coloro che avrebbero diritto ad accedere a qualche forma di protezione in base alle leggi internazionali e nazionali.

Il convegno ha poi messo in luce come diversi aspetti delle politiche estere italiane nella gestione dei flussi irregolari siano simili alle politiche attuate da molti anni in Australia. Non è dunque un caso che i politici italiani – soprattutto della Lega –  abbiano spesso fatto riferimento al cosiddetto “modello australiano”, mentre in Australia il partito dei Greens (i verdi) abbia in passato preso spunto dalle politiche italiane decisamente meno restrittive dei governi Letta e Renzi.

Al termine dei lavori, dopo un lungo scambio di domande e risposte con i professionisti presenti a Torino o connessi da remoto, il convegno si è concluso ribadendo come un fenomeno ormai strutturale del 21° secolo debba essere affrontato non solo dagli esperti di migrazioni come fondamentale punto di partenza, ma necessariamente anche dagli esperti di relazioni internazionali, dato che le due dimensioni – migrazioni e politica estera – non possono più essere tenute separate nel contesto attuale e, ancora meno, in quello futuro.

Per una serie di coincidenze, i lavori si sono tenuti in un giorno importante sia per la politica estera che per la politica migratoria italiana: il 29 gennaio Roma ha infatti inaugurato la prima Conferenza Italia-Africa, con oltre 70 ospiti di altissimo profilo provenienti da Africa, Europa, e Nord America per lanciare il Piano Mattei dell’Italia che ha, tra le sue priorità, anche una gestione più forte e condivisa dei flussi migratori. Il 29 gennaio è stata anche la giornata in cui la Corte costituzionale albanese ha dato il via libera alla nuova politica italiana di esternalizzazione migratoria, ovvero quel piano che prevede il trasporto italiano di richiedenti asilo in Albania – dove vagliare le loro richieste di asilo – approvato in Italia ma fino a ieri sospeso dalla Corte albanese.

Un nesso sempre più stretto, insomma, quello tra gestione dell’immigrazione irregolare e politica estera, un nesso che va analizzato con attenzione al fine migliorare gli aspetti che funzionano e, al contempo, imparare dagli errori commessi, in primis le continue e sistematiche violazioni dei diritti umani nei cosiddetti “campi profughi”. Eventi come quello del 29 gennaio a Torino, e i dialoghi degli esperti con istituzioni e rappresentanti delle varie forze politiche, cercano di andare proprio in questa direzione.

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