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Attenzione a etichettare tutti come no vax: la stampa ha il dovere di raccontare anche le voci di dissenso

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Sono convinti che sia una discussione su vaccini e pandemia e invece stanno parlando di loro. Le beghe tra giornalisti che in questi giorni stanno riempiendo le pagine di giornali rendono perfettamente l’idea di un mondo autoreferenziale che spesso insiste nel parlare di se stesso proiettando sull’esterno nevrosi personali. Questa volta tocca ai vaccini. 

Da una parte c’è Enrico Mentana, direttore del tg di La7 che dice un’ovvietà spiegando che mai metterebbe a confronto uno sciamano con un medico (e ci mancherebbe, quello non sarebbe un dibattito ma un’esposizione di tesi inconciliabili tra loro con il solo scopo di provocare rumore) seguito a ruota dalla nuova direttrice del Tg1 Monica Maggioni. Poi però il direttore Mentana allarga il campo e come al solito si incorre nello stesso errore: se tutti quelli che non sono d’accordo con la narrazione imperante vengono messi nel cassetto dei “complottisti” il risultato naturale è quello di piallare qualsiasi dubbio, qualsiasi considerazione e qualsiasi critica e questo, no, questo è altro rispetto al giornalismo. Come dice Reporters sans Frontières la lotta alla disinformazione è sicuramente un valore ma la censura no.

Sarebbe fin troppo facile e fin troppo stupido credere che un terrapiattista vada messo nello stesso cassetto di chi ad esempio contesta la legittimità del Super green pass dal punto di vista legislativo e costituzionale. Questo è il punto vero: anche qui sulle pagine di TPI abbiamo più volte raccontato come le decisioni del governo spesso non siano state accompagnate da tutti i passaggi previsti dalla legge e dalla Costituzione, fin dall’inizio della pandemia ci siamo permessi di criticare un certa sicumera di alcuni virologi che ci hanno detto tutto e il suo contrario nel giro di pochi mesi, una narrazione che con troppa superficialità aveva indicato nel vaccino (ed eravamo alle soglie della prima dose) la soluzione di tutti i mali contribuendo anche a una certa avventatezza nei comportamenti dei cittadini.

Continuo a credere, ad esempio, che applicare misure d’emergenza (che sono necessarie per affrontare la pandemia) senza chiarire quali siano le soglie e i risultati che si vogliono raggiungere (percentuale di vaccinati o limiti temporali) sia piuttosto delicato.

Tra i cosiddetti “no vax” non si possono mettere Cacciari e Agamben insieme a quelli che credono che il virus non esista o che ci sia in atto un progetto globale di sterminio della popolazione. È un’offesa all’intelligenza e soprattutto è una pericolosa interpretazione del giornalismo.

Per questo Bianca Berlinguer non può avere tutti i torti quando dice che sia «giusto dare spazio alle minoranze». E un volta per tutte smettiamola anche di appiattirci sulla predica di “fiducia e gentilezza”. Come scriveva bene la filosofa Donatella Di Cesare ieri su La Stampa “i conflitti sono conflitti. La democrazia non potrebbe esistere senza l’esercizio del sospetto. E la filosofia insegna il dubbio e la domanda”. È vero, lo scrive sempre di Cesare, che “lo scetticismo di principio è un atteggiamento analogo alla credulità sempliciona” ma le tesi di Cacciari e Agambe, per quanto possano apparire sconcertanti, vanno contestate e respinte nel merito.

Il resto invece, come il dentista con il braccio finto che viene ospitato da Giletti ed esposto come se fosse un animale da circo, è qualcosa che non ha niente a che vedere con i vaccini ma è un problema antico di un certo modo di fare giornalismo. Lì il tema è una visione spettacolare del giornalismo che non ha niente a che vedere con il giornalismo. Tra i problemi, tra l’altro, c’è anche il fatto che il cretinismo di Giletti con l’uomo dal braccio in gomma piuma ha ottenuto un enorme risultato di ascolti. E anche questa è una china rovinosa che non ha niente a che vedere con la pandemia.

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