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Quando possiamo definire terroristico un attacco

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Ciò che in generale identifica un attentato come terroristico sono i moventi ideologici, economici e politici e il fatto che l'obiettivo colpito ha rilevanza simbolica

Parigi, Orlando, Bruxelles, Nizza, Berlino, Monaco, Istanbul, Londra. Si tratta delle città che dal 2016 sono state colpite da attacchi terroristici. Diverse tattiche e dinamiche, autori e armi, luoghi e obiettivi. Ma un unico comune denominatore: il terrore. 

S&D

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Quello che in generale definisce un attentato terroristico sono i moventi ideologici, economici e politici e il fatto che l’obiettivo colpito ha rilevanza simbolica. 

L’attentato si può definire tale quando è compiuto in modo imprevedibile e in seguito è rivendicato dagli autori, per dare all’attacco la maggiore diffusione possibile e far sì che le finalità dell’azione siano conosciute.

Un attentato si distingue da altre forme di violenza – al di là delle singole differenze di modalità e matrici – perché trasmette un messaggio politico e intimidatorio. L’attentatore, con il suo gesto premeditato, è convinto di fare l’unica cosa giusta per perseguire una determinata strategia. 

Gli atti terroristici non hanno generalmente come obiettivo principale gli effetti diretti ai danni di persone o cose, ma quelli indirette, come la modifica di una linea politica e l’ottenimento dell’attenzione mediatica.

Nel diritto internazionale non esiste una definizione generale di terrorismo, come ci spiega Natalino Ronzitti, professore emerito di Diritto internazionale presso l’università Luiss di Roma e consigliere scientifico dello Iia. E inoltre il terrorismo non esiste, non è inserito nello statuto della Corte penale Internazionale.

“Un atto terroristico è un atto che consiste in omicidi, rapimenti, violenze e così via, volto a incutere timore alla popolazione civile o a imporre a uno stato un determinato comportamento o non comportamento”, spiega Ronzitti. 

Il terrorismo è un concetto complesso. Una sua analisi richiede diversi punti di vista.

Il punto di vista accademico 

Gli studiosi di terrorismo, gli analisti e gli accademici vedono il terrorismo come una tattica perseguita dalle organizzazioni terroristiche per realizzare determinati obiettivi. E questi obiettivi possono essere i più disparati: dalla creazione di un califfato, all’indipendenza politica di un gruppo di separatisti, o alle pressioni nei confronti del proprio paese per cambiare lo status quo. 

Questi gruppi utilizzano diverse tattiche, a seconda dei loro obiettivi e delle loro capacità. 

Per esempio il sedicente Stato Islamico, spesso definito “gruppo terroristico”, in Iraq e in Siria non agisce solo tramite attacchi ma usa anche altre strategie militari convenzionali, con operazioni complesse per conquistare un territorio e stabilirvi un proprio governo. 

Trattare l’Isis come una semplice organizzazione terrorista non aiuta a capirne il suo funzionamento, gli obiettivi e i finanziamenti, tutte cose fondamentali per comprendere come può essere sconfitto.

Per esempio molti accademici considerano attacchi terroristici solo quelli contro i civili, escludendo quelli contro obiettivi militari in zone di combattimento. 

Ma dov’è il confine tra terrorismo e atto di guerra? Per gruppi come al-Qaeda e Isis, il mondo intero può essere considerato una zona di combattimento. 

Altre definizioni accademiche di terrorismo identificano come atto terroristico quegli attacchi che hanno un esplicito movente politico. Per molti l’attacco alla discoteca gay di Orlando del giugno 2016, non può essere considerato terrorismo, dal momento che, nonostante l’attentatore avesse giurato fedeltà all’Isis, quell’attacco era espressione di una sua personale lotta contro l’omosessualità.

Il punto di vista legale

Secondo le forze dell’ordine un atto di terrorismo può essere classificato in base a degli specifici criteri di legge e non ha a che fare con le circostanze dell’attacco. Secondo la legge federale statunitense per “terrorismo internazionale” si intendono le attività criminali con le seguenti tre caratteristiche:

• Coinvolgimento in atti violenti o atti pericolosi per la vita umana che violano la legge federale o statale.

• Gli atti devono essere perpetrati per intimidire o costringere la popolazione civile a un determinato comportamento, per influenzare la politica con l’intimidazione o la coercizione o ancora per influenzare le azioni di un governo con attacchi di distruzione di massa, assassinii o rapimenti.

• Gli atti si devono verificare principalmente al di fuori della giurisdizione territoriale della Stati Uniti, trascendendo i confini nazionali. 

“Il terrorismo internazionale è un conflitto a bassa intensità che cerca di condizionare la politica interna ed estera degli stati, e di metterne in pericolo l’esistenza”, spiega Ronzitti. 

La Costituzione Italiana non dà una definizione di terrorismo, limitandosi a specificare nell’articolo 17, primo comma, che “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”. Il secondo comma dell’articolo 18 stabilisce che “sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”.

Secondo la Legge contro il terrorismo approvata in Gran Bretagna nel 2000, l’attentato terroristico è “un’azione o la minaccia di un’azione, che comprende gravi forme di violenza contro persone e beni, mette in pericolo la vita dell’individuo e rappresenta una grave minaccia per l’incolumità e la sicurezza della comunità o una parte di essa”.

Il punto di vista politico

I politici di qualunque schieramento tendono a connotare la parola terrorismo come qualcosa di intrinsecamente negativo, generalmente applicato a nemici e avversari. 

Secondo lo studioso Bruce Hoffman, la decisione di chiamare qualcuno o etichettare qualche organizzazione come terroristica diventa quasi inevitabilmente soggettivo, in base al fatto che si simpatizzi o ci si opponga al gruppo interessato. Se ci si identifica con la vittima della violenza, per esempio, allora l’atto è definito terrorismo e viceversa.

I politici usano la parola terrorismo per le azioni di gruppi che considerano avversari o nemici della propria visione del mondo, al fine di delegittimarli e demonizzarli, promuovendo una narrazione politica incentrata sul “noi-contro-loro”.

Il presidente Bush nel 2002 ha definito terroristi e “asse del male” paesi come Iraq, Iran e Corea del Nord, riferendosi a un ipotetico complotto di nazioni favorevoli al terrorismo internazionale e impegnate nello sviluppo di armi di distruzione di massa.

Allo stesso modo, il presidente siriano Assad e quello russo Putin, considerano terroristi i gruppi di ribelli contro cui combattono, per legittimare i propri attacchi. 

Spesso le liste delle organizzazioni terroristiche straniere del dipartimento di Stato degli Stati Uniti includono organizzazioni sulla base di una determinazione politica e di interesse nazionale più che analitica. Quando l’organizzazione terroristica è vicina agli interessi di una parte politica, viene a volte definita come “organizzazione di liberazione”. 

Non esistono quindi, neanche dal punto di vista politico, definizioni unanimi e coerenti di terrorismo e organizzazioni terroristiche. 

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