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La genesi della polvere: un viaggio alle origini della cocaina colombiana

Immagine di copertina

Simone Alterisio e Matteo Prezioso hanno realizzato un reportage dalle piantagioni di coca della Colombia, dove produrre droga è il modo più facile per fare soldi

Tutto inizia con una pagina bianca. Un libro, un’idea, una vita, perfino un viaggio. 

S&D

La pagina bianca è quella che avete davanti agli occhi quando parliamo di Catatumbo. Parola su parola, riga dopo riga cercherò di riempirla, e voi, ipocriti lettori, accompagnateci in questo viaggio: tra la genesi della polvere e la miseria, natura e rivoluzione, in ogni caso un viaggio teso alla conoscenza, e con la supervisione di Atena.

La nostra idea è un fotoreportage del Catatumbo.

Dopo 14 ore di bus raggiungiamo Ocaña dove troviamo ad accoglierci Don Rito Alvarez, fondatore della ONG Fundación Oasis de Amor y Paz, il quale ci guiderà attraverso il territorio del Catatumbo, in questi giorni più che mai, soffocato da un conflitto mai sopito e stretto dalla morsa della guerriglia. 

Intanto il verde chiaro illumina le montagne e anche l’azzurro del cielo, indifferente, sembra cedergli il passo. La prima foglia verde chiaro è sotto i miei occhi, scintilla sotto i colpi di un sole che arde e che cuoce le pelli. Eccola la coca! Ieri notte invece, è stata una notte di lampi, imperiosi baluardi del Catatumbo, rimasti i soli ormai a protestare con violenza contro una terra che non riconoscono e che la notte nasconde vergognosa.

Immaginate un ragazzo. 

In piedi di fronte al mare, lui sogna di attraversarlo e magari sconfiggerlo a nuoto per arrivare all’isola che sogna. Vittorioso e felice, dove tutti vedevano follia, lui credeva nel sogno.

Immaginate un ragazzo di fronte ad una montagna. Piccolo, minuscolo, ai piedi di un mostro, apparentemente inscalabile, irraggiungibile miraggio. Ma lui sogna e nella sua testa si vede lassù, meraviglioso, issando la bandiera della sua propria impresa. Ora può dialogare con il cielo, e magari anche litigarci.

Immaginate un ragazzo, con suo padre allo stadio. Un gol!!! La folla urla e si agita in una febbrile eccitazione. Undici eroi, invincibili e bellissimi così vicini al mito. Il ragazzo sogna, è lui il centravanti che corre e segna, idolatrato dalla folla animale, che a un suo semplice cenno, potrebbe scatenare l’iradiddio!

Immaginate tutto questo, potrebbero essere i vostri sogni, quelli dei vostri figli o dei vostri nipoti. Sogni familiari e necessari, che danno sale alla vita e vi fanno svegliare un altro giorno e un altro ancora.

Immaginate tutto questo, e ora con un taglio netto di rasoio dimenticatelo!

Qui, in questa terra, non c’è posto per quel ragazzo, non è previsto.

C’è solo lo spazio per un raspachin, o al massimo per un guerrigliero, che dei sogni non sanno che farsene.

Percorrendo il territorio, ci imbattiamo in terreni coltivati quasi esclusivamente a coca, dove i giovani del posto lavorano come raspachines (raccoglitori di foglie di coca) per pochi pesos, che per la maggior parte vedranno il loro termine nei divertimenti e nell’alcool del fine settimana.

Le piantagioni sono totalmente controllate dai narcotrafficanti e/o dalla guerrilla (in questa zona sono presenti i tre principali gruppi guerriglieri colombiani: FARC – EP, ELN e EPL). Questi gruppi comandano la regione per mezzo di una fitta rete formata da giovani miliziani, fino ad arrivare ai maggiori capi rivoluzionari. Inoltre ogni campesino padre di famiglia è perfettamente immerso nel sistema.

Lo stato “legittimo” è completamente assente, sono i gruppi rivoluzionari ad occuparsi di ogni aspetto riguardante la vita pratica e quotidiana della regione: comprare la coca prodotta, stabilire le regole che tutti dovranno rispettare, preoccuparsi del mantenimento delle strade, risolvere i conflitti tra le persone e non raramente provvedere ad assicurare momenti ludici alla comunità.

L’unico prodotto sostenibile in quel territorio è la coca. Permette un guadagno rapido e la domanda è costante; inoltre, al contrario dei prodotti agricoli come yucca o mais non necessita infrastrutture per il trasporto nei mercati delle città limitrofe, ma si muove agilmente per sentieri articolati magistralmente nella selva. 

Non vi sono, infatti, strade percorribili con macchine o furgoni; un mezzo di trasporto potrebbe essere la moto, ma il tempo e i costi di trasporto porterebbero il prezzo al dettaglio a livelli insostenibili, soprattutto se paragonati ai prezzi molto bassi dei prodotti importati dal vicinissimo Venezuela. La concorrenza è insostenibile. Quindi coca!

In aggiunta, i campesinos, oltre a dover comprare i prodotti atti alla produzione della cocaina e pagare i chimici (la pasta di cocaina viene prodotta in laboratori artigianali situati sul posto), devono comprare i prodotti agricoli di prima necessità come riso, platano, yucca, eccetera… Prodotti che prima, ogni famiglia produceva da sé per il proprio fabbisogno e per il mercato e a cui oggi la coca ha mangiato la maggior parte dello spazio. 

Va detto che a causa di questo problema e del conseguente lievitazione dei prezzi, la guerriglia oggi impone ai proprietari dei terreni coltivati a coca di produrre almeno per loro stessi alcuni dei detti beni.

In questo circolo economico vizioso entrano anche i raspachines: ragazzi o bambini che raccolgono a mano le foglie di coca. I soldi guadagnati a cottimo nella settimana, verranno immediatamente brucati in moto, alcool e prostitute. Non vi è alcuna progettualità e prospettiva di vita ad ampio raggio, non si pensa neppure all’istruzione, ma solo nel vivere qui e adesso, al massimo dell’effimero.

Questo è un modello che promette plata facile, liquida e immediatamente spendibile il weekend. Poi riinizia la settimana, i soldi sono finiti e le montagne si riempiono di persone che paiono formiche attirate dallo zucchero, brulicano ordinati sotto un sole che infiamma, altri cinque giorni a raccogliere foglie, inerpicati su montagne dalle grandi pendenze con sacchi pieni di foglie sulla schiena.

Giorno dopo giorno la stessa vita con la unica promessa di due giorni al luna park dell’effimero.  È un lavoro che spacca le schiene e brucia le pelli di ragazzi che hanno la polvere in una mano e una bomba nell’altra, negli occhi un cielo troppo azzurro per essere compreso.  

Nel nostro cammino attraversando oceani di foglie verdi, nascosti come piccole e preziosissime boe, individuiamo i cambuches: laboratori artigianali, gestiti in famiglia, atti alla produzione di cocaina. Sono la prima vera base logistica di questo mercato.

Nella nostra prima visita ad uno di essi, il proprietario ci spiega il processo di lavorazione delle foglie di coca, che avviene per mezzo di agenti chimici e benzina, trasportati per vie impervie dai muli. Prodotti che a fine lavoro verranno riversati nelle falde acquifere circostanti. 

Il processo viene portato a compimento da ragazzini, che come apprendisti alchimisti, sotto le istruzioni di adulti esperti, producono quella che viene definita “pasta di coca”, cioè la base di cocaina che verrà successivamente venduta al narcotraffico. I gas e i fumi chimici sprigionati da questo processo rendono l’ambiente assolutamente irrespirabile e invivibile, almeno per narici vergini come le nostre, ma per questi ragazzi, per queste famiglie è la normalità. 

I loro polmoni sono come i loro occhi, organi che devono lavorare, che si adattano alla situazione e semplicemente sopravvivono.

(Questo reportage è stato realizzato da Simone Alterisio e Matteo Prezioso presso le piantagioni di coca della regione colombiana del Catatumbo. Dal reportage è in fase di realizzazione un libro dal titolo La genesi della polvereGli autori ringraziano per la collaborazione e l’appoggio logistico la ONG Fundacion Oasis De Amor y Paz)

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