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Il fuoco dell’odio: le donne iraniane sfregiate dall’acido

Immagine di copertina

Asghar Khamseh è stato premiato come miglior fotografo del 2016 per il suo progetto fotografico. Le immagini su TPI

Sono sopravvissute, ma la loro esistenza non sarà più la stessa. In alcuni casi, a svelare il loro passato non c’è altro che uno sguardo. Tutto il resto è stato bruciato, cancellato per sempre. Sono le donne e i bambini protagonisti degli scatti fotografici di Asghar Khamseh, fotografo iraniano, premiato il 22 aprile 2016 con l’Iris d’oro come miglior fotografo dell’anno in occasione del Sony World Photography Awards 2016. 

Il suo progetto fotografico ha un nome evocativo, Fire of Hatred, ossia il fuoco dell’odio che lascia segni permanenti nel corpo e nella psiche delle vittime, e che mira non solo a corrodere la pelle, il viso o altre parti del corpo, ma a cancellare anche la vita sociale di chi ha osato rifiutare una proposta di matrimonio, a chiedere il divorzio o a esprimere semplicemente dissenso. 

Ecco la storia di alcune delle donne ritratte dall’obiettivo di Asghar Khamseh.

Shirin Mohammadi aveva 14 anni quando l’uomo che la corteggiava non accettò il suo rifiuto. Per vendicarsi decise di gettarle dell’acido addosso per cancellare la sua bellezza. Oggi Shirin, che in lingua farsi significa “dolcezza”, ha 18 anni e vive a Teheran. Ogni giorno, quando si alza, la giovane donna deve fare i conti con le ferite del suo viso e del suo corpo, deturpati per sempre. 

Nella foto che la ritrae, emerge la sua femminilità rimasta intatta: la mano sinistra con le unghie laccate di rosso e curate, il suo occhio e la sua bocca perfettamente truccati. Particolari che stridono profondamente con il resto del suo viso corroso dall’acido. 

Somayeh Mehri aveva 25 anni quando decise di divorziare dal marito che la picchiava e la maltrattava. Voleva proteggere le sue due figlie dall’uomo violento che aveva sposato qualche anno prima. Ma lui non si rassegnava alla fine del matrimonio e l’unico modo per vendicarsi era cancellare la bellezza di sua moglie. 

Il giorno che decise di gettarle l’acido, accanto a Somayeh c’era la sua bambina più piccola, Raana. L’acido le investì in pieno, deturpandole per sempre. Negli anni successivi mamma e figlia dovettero sottoporsi a numerosi interventi chirurgici. Ma l’ultimo, nell’aprile del 2015, è stato fatale per Somayeh, morta per una complicazione polmonare. Dopo la sua morte, le due figlie sono tornate a vivere con il padre.

Zivar Parvin oggi ha 37 anni e vive nella città di Sarabeleh, a ovest di Teheran. Dopo la morte del marito, suo cognato si fece avanti, ma lei si rifiutò. Nella notte del 9 luglio 2011, suo cognato e la moglie le gettarono addosso 4 litri di acido, mentre dormiva con accanto la figlia diciottenne Yasra.

L’incidente era accaduto una settimana prima delle nozze di Yasra che morì venti giorni dopo a causa delle gravi ferite riportate. Zivar ancora oggi è costretta a sottoporsi a numerosi interventi. 

I ritratti di Asghar Khamseh diventano per un verso la denuncia della violenza subita e, dall’altro, un atto di coraggio da parte delle sue protagoniste di mostrarsi davanti a un obiettivo, capace di cogliere sia le loro cicatrici, sia i loro sguardi profondi.

— Le immagini di Asghar Khamseh sono pubblicate su TPI con il consenso dell’autore 

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