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La discriminazione dei bianchi in Sudafrica

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Dalla fine delle politiche discriminatorie verso i neri in Sudafrica s'è verificato una sorta di apartheid all'inverso: oggi 450mila bianchi sono disoccupati e senza casa

Ann le Roux è una donna sudafricana bianca di sessant’anni. Nel 1994, quando Nelson Mandela divenne il primo presidente nero del Sudafrica, viveva in una casa a Melville, un quartiere della città di Johannesburg, con la sua famiglia.

Dopo la morte del marito, Ann fu costretta a vendere la sua casa di Melville. A causa delle politiche governative mirate a promuovere l’assunzione dei neri alla fine dell’apartheid, Ann fu licenziata in seguito a una pausa che si era presa per via del lutto familiare.

Oggi, sedici anni dopo, è costretta a vivere tra una roulotte e una tenda che divide con altre sette persone – tra cui sua figlia e i suoi quattro nipoti – nel campo abusivo di Coronation Park, a Krugersdorp.

Proprio come Ann, in seguito alla fine delle politiche discriminatorie verso i neri, molti sudafricani bianchi hanno perso la casa e il lavoro, e adesso vivono in campi come questo. Il fotografo di Reuters Finbarr O’Reilly lo ha documentato nella sua serie fotografica.

Il numero di sudafricani bianchi che vive al di sotto della soglia di povertà è aumentato dalla fine dell’apartheid, ovvero la politica di segregazione razziale dei neri da parte dei bianchi, rimasta in vigore fino al 1994, per la quale la popolazione non-bianca veniva considerata come inferiore.

Si stima che i sudafricani bianchi che oggi vivono nei campi abusivi sono circa 450mila. Molti parlano di questo fenomeno come di un apartheid all’inverso, per via della difficile situazione economica nella quale si sono ritrovati migliaia di bianchi. “Al momento, il nostro colore non è il colore giusto in Sudafrica”, ha detto Ann La Roux. 

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