Stati Divisi d’America: così l’omicidio di Charlie Kirk e la reazione di Trump possono cambiare per sempre la politica Usa
Delitti politici, retorica estremista, disgregazione sociale e troppe armi. Gli Stati Uniti si sono scoperti frammentati come non mai dopo la morte dell'attivista di estrema destra. Tra vecchi fantasmi e nuovi rischi
«Non avete idea di cosa avete appena scatenato in tutto il Paese e in tutto il mondo». Le parole pronunciate dalla vedova di Charlie Kirk, Erika, due giorni dopo l’omicidio dell’attivista di estrema destra, ucciso il 10 settembre scorso alla Utah Valley University, hanno infiammato gli animi in un momento in cui gli Stati Uniti sono già profondamente divisi. Se ai funerali pubblici la vedova ha perdonato il presunto assassino Tyler Robinson, il presidente Donald Trump ha lanciato benzina sul fuoco: «A differenza di Charlie, io odio i miei avversari». Ma il delitto è solo l’ultimo in un Paese sempre più in preda alla violenza politica.
Episodi inquietanti
Almeno 300 attentati sono stati registrati negli Usa tra l’assalto al Capitol Hill del 6 gennaio 2021 e le ultime elezioni presidenziali del novembre 2024. Altri 150 si sono invece verificati soltanto nei primi sei mesi di quest’anno. Da gennaio, almeno 21 persone sono state uccise in episodi di violenza politica negli Usa, 14 morte nell’attentato di Capodanno a New Orleans rivendicato dal sedicente Stato Islamico (Isis). Ma anche il terrorismo interno non scherza: il solo Trump è stato vittima di due tentativi di assassinio l’anno scorso; ad aprile un piromane ha preso di mira l’abitazione del governatore democratico della Pennsylvania Josh Shapiro; e a giugno un nazionalista ha ucciso la deputata democratica dello stato del Minnesota, Melissa Hortman, insieme al marito. Tutto questo senza contare gli incendi dolosi contro gli showroom e le auto Tesla per colpire il miliardario Elon Musk e l’attacco alla sede centrale del partito Repubblicano in New Mexico del marzo scorso.
La temperatura d’altronde è sempre più rovente: secondo una ricerca del Brennan Center, oltre il 40% dei legislatori statali americani ha subito direttamente minacce o attacchi dal 2021. Il dato più preoccupante è che una quota crescente dei cittadini statunitensi approva questo genere di azioni. Un sondaggio condotto a febbraio da Bright Line Watch ha rilevato che quasi un intervistato su dieci è favorevole alla violenza contro i leader del partito opposto, se attuano «politiche dannose». Non sorprendono, in questo contesto, le parole del governatore dello Utah, Spencer Cox, dopo l’omicidio Kirk: «La nostra nazione è a pezzi». Un clima però che la stessa vittima aveva contribuito ad alimentare esprimendosi più volte sui temi più caldi al centro della contrapposizione politica: «Quando vedo un pilota nero su un aereo mi chiedo se è qualificato». «Se mia figlia di dieci anni venisse violentata dovrebbe partorire». «Vale la pena sostenere il costo di alcune morti causate ogni anno dalle armi da fuoco».
Il “caso” Turning Point Usa
Ma chi era Charlie Kirk? Figlio di un architetto cresciuto nel benestante sobborgo di Prospect Heights a Chicago, il 31enne aveva frequentato e poi abbandonato gli studi in un community college dell’Illinois, dopo essere stato respinto dall’Accademia militare di West Point. Nel 2012 però, a nemmeno 19 anni, aveva fondato Turning Point Usa (TPUSA), una no-profit con sede a Phoenix, in Arizona, che promuove principi conservatori, come il libero mercato e il contrasto all’immigrazione, e “valori tradizionali”, come la famiglia e la lotta all’aborto. Non un semplice attivista o influencer: solo l’anno scorso infatti la sua organizzazione ha registrato introiti per quasi 85 milioni di dollari, per lo più provenienti da donazioni. Ma a quale scopo?
«I gruppi conservatori sono noti per il loro tentativo di “umiliare i liberali”, un’idea che risale agli anni ’60, quando gli studenti di destra organizzavano proteste alternative per dimostrare quella che consideravano l’ipocrisia progressista: TPUSA ha fatto lo stesso», spiega a TPI il politologo Daniel Ruggles, studioso dei movimenti conservatori giovanili americani. «Grazie all’emergere di Internet e dei social media», aggiunge Ruggles, l’organizzazione di Kirk è stata «in grado di connettersi con gli studenti come un marchio cool, divulgando e diffondendo idee di destra in modi che trovassero riscontro tra i ragazzi». Ma il suo successo andava al di là dei giovani. «L’ascesa di Kirk derivava dalla sua capacità di coinvolgere sia giovani seguaci che donatori adulti», prosegue Ruggles. «Il suo primo contatto con dei donatori avvenne nel 2012 quando, a soli 18 anni, da studente delle superiori, intervenne a un evento conservatore locale: allora un attivista più anziano notò il suo potenziale e lo portò con sé alla convention del Partito Repubblicano». «Nel 2024, TPUSA ha raccolto oltre 85 milioni di dollari, principalmente da donazioni, utilizzando questi fondi per coinvolgere gli studenti nell’attivismo conservatore. Dalla morte di Kirk, i leader di Turning Point affermano che oltre 50mila studenti li hanno contattati per avviare nuove sezioni universitarie», ci ricorda l’esperto. «Come Donald Trump, Kirk è riuscito a intercettare le istanze populiste e ad attrarre i mega-donatori conservatori che lo vedevano come qualcuno in grado di spingere il Partito Repubblicano più a destra». Non sorprende allora che il fondatore del movimento fosse una figura sempre più importante per Trump, la base MAGA e il Grand Old Party.
Il peso politico di Kirk
«Turning Point Usa è solo l’ultima tappa di una lunga tradizione di attivismo giovanile conservatore negli Stati Uniti», ci spiega il politologo. «Nato negli anni ’60, parallelamente all’ascesa dell’attivismo giovanile in Nord America e in Europa, questo movimento voleva dare una risposta di destra ai problemi che affliggevano il mondo liberale del Secondo Dopoguerra: molti temevano che le proteste della sinistra avrebbero portato a un crollo dell’ordine attuale. Per contrastare questo fenomeno, i conservatori crearono nuovi gruppi come i Giovani Americani per la Libertà, che avrebbero promosso i valori conservatori nei campus universitari al fine di impedire quello che consideravano un predominio liberale nell’istruzione superiore». Non a caso, l’attivismo di Kirk si è concentrato proprio nelle università, letteralmente fino al suo ultimo respiro. «I giovani conservatori», continua Ruggles, «hanno sfruttato queste proteste per reclutare nuovi sostenitori e aiutarli a diventare futuri leader del Partito Repubblicano, il che ha reso il partito più conservatore». «Dagli anni ’70 e ’80», secondo lo studioso, «un canale di comunicazione tra studenti e attivisti ha aiutato i conservatori a plasmare il Partito Repubblicano e a promuovere idee di destra».
Obiettivo raggiunto, come spiega a TPI la professoressa Rachel Blum dell’Università dell’Oklahoma, esperta della svolta a destra dei repubblicani. «Quando nel 2012 fu fondata TPUSA, la presa del potere nel Partito Repubblicano (da parte dell’estrema destra, ndr) era già in atto. Il Tea Party era attivo da tre anni e in tutto il Paese continuava a estromettere i rappresentanti repubblicani eletti non allineati. Quest’ascesa poi fu galvanizzata da Trump e TPUSA si è allineata», ci spiega la politologa, secondo cui, «insieme ad altri gruppi simili, TPUSA ha sfruttato quest’energia e portato l’idea di prendere il controllo del Partito Repubblicano a un nuovo pubblico: i giovani universitari».
Kirk infatti, sottolinea Blum, «spiccava tra gli influencer conservatori che utilizzavano podcast e altre forme di media non tradizionali per raggiungere gli elettori più giovani». «Si rivolgeva esplicitamente ai giovani elettori scegliendo di presentarsi nei college e di impegnarsi in dibattiti con altri ragazzi. Esprimeva l’ortodossia MAGA in termini incisivi e contemporanei che attraevano i giovani con tendenze conservatrici e si distingueva dagli altri organizzandosi fisicamente, di persona, nei campus universitari». Kirk era talmente popolare da permettersi uscite impensabili per altri esponenti della sua parte politica. «Si differenziava dai pensatori precedenti dicendo ad alta voce cose che altri sussurravano solo sommessamente», sottolinea Blum. «Ad esempio, i ruoli di genere o la visione tradizionale del matrimonio sono comuni nel conservatorismo ma la maggior parte dei sostenitori della vecchia scuola non esprimeva la propria opposizione all’uguaglianza delle donne in termini così sfacciati come Kirk ed erano più cauti anche su altre questioni». Ecco perché piaceva così tanto al movimento MAGA. «Il suo stile politico rispecchiava da vicino quello di Trump», ci spiega la politologa. «Ciò includeva la disponibilità a dire cose controverse o crudeli senza scusarsi, il liquidare coloro che non erano d’accordo con lui come meno che umani, un dichiarato impegno per la libertà di parola pur volendo controllare le parole altrui e un’assoluta lealtà a Trump come figura centrale del MAGA».
La sua morte però, come preannunciato dalla moglie Erika, non segna affatto la fine del movimento, anzi. «I giovani conservatori aiutano il movimento MAGA votando, facendo volontariato e persino lavorando per i rappresentanti al governo», spiega a TPI il politologo Ruggles. «Nel 2024, la vittoria di Donald Trump può essere in parte spiegata dalla capacità di TPUSA di mobilitare decine di migliaia di studenti a votare e sostenere i repubblicani. Alcuni di questi giovani adulti continueranno a lavorare per il governo, potenzialmente sfruttando la burocrazia per raggiungere gli obiettivi del movimento. Kirk potrà non essere più il leader della destra giovanile ma l’infrastruttura di base che ha contribuito a creare resta intatta». Ma proprio chi intende raccogliere o sfruttare la sua eredità rischia di soffiare su un fuoco che potrebbe incendiare un Paese già frammentato.
La minaccia delle armi
«La morte di Kirk, come tante altre perdite pubbliche, non è solo un’occasione di lutto, ma anche un palcoscenico per la messa in scena dei propri valori», ha commentato dopo l’omicidio la consulente legale del Motherhood Center di New York, Allison Carmen. Ma la reazione dell’estrema destra statunitense è piuttosto preoccupante, a partire dalla Casa bianca. «Per anni, gli esponenti della sinistra radicale hanno paragonato meravigliosi americani come Charlie ai nazisti e ai peggiori assassini di massa e criminali del mondo», ha dichiarato il presidente Donald Trump sul suo social Truth. «La sinistra è il partito dell’omicidio», ha aggiunto Elon Musk. «La sinistra è terrorista», ha rimarcato l’influencer e consigliera non ufficiale di Trump, Laura Loomer.
«L’insistenza di alti funzionari e personalità repubblicane sul fatto che l’omicidio di Kirk sia stato commesso dalla sinistra (nonostante la mancanza di prove), gli appelli alla guerra civile, l’amplificazione di una ristretta schiera di post sui social media e la recente repressione delle ong “di sinistra” ma anche gli sforzi per garantire che chiunque parli negativamente di Kirk venga licenziato, sono unici», commenta la politologa Blum a TPI. «Credo che questo dimostri una reale asimmetria tra il modo in cui i partiti considerano la violenza politica e la libertà di parola. C’è anche il rifiuto da parte dei repubblicani di riconoscere che la maggior parte della violenza politica negli Stati Uniti è commessa da uomini bianchi di destra e con le armi».
Polarizzazione e violenza
D’altronde, secondo i dati del Government Accountability Office americano, la violenza degli estremisti di destra è stata responsabile di oltre il 75% delle morti per terrorismo interno registrate negli Usa dal 2001. Mentre, secondo due sondaggi Gallup, almeno un cittadino su tre dichiara di possedere un’arma da fuoco; il 48% della popolazione vive in una casa in cui è presente almeno una pistola; e la percentuale di adulti che dichiarano di soffrire o di essere in cura per depressione supera il 18%.
Non è un caso che, come notato dallo Psychiatric Times, le sparatorie di massa siano un fenomeno «sproporzionatamente americano, che raramente si verificano a tassi comparabili in altri Paesi industrializzati». Nell’ultimo quarto di secolo, secondo una ricerca condotta in 36 nazioni occidentali dal Rockefeller Institute of Government, gli Usa hanno registrato il triplo di questi episodi violenti rispetto agli altri 35 Paesi studiati. Il problema della violenza politica negli Usa però non è legato solo alla maggiore disponibilità di armi.
La polarizzazione, secondo una ricerca pubblicata dal professor James A. Piazza della Pennsylvania State University sulla rivista Security Studies, rende più probabile il sostegno e il verificarsi di eventi politici violenti. Negli Stati Uniti ad esempio, i repubblicani e i democratici più polarizzati, ossia quelli convinti che «i membri del partito politico opposto rappresentino una minaccia per il benessere della nazione e amino meno l’America», sono più propensi a sostenere l’uso della violenza per scopi politici. Non c’è dubbio che il Paese soffra per questo fenomeno. Trent’anni dopo aver scritto “Bowling Alone”, il famoso saggio in cui diagnosticava una pericolosa crisi di coesione sociale negli Stati Uniti, a marzo il politologo Robert D. Putnam ha avvertito il pubblico della Harvard Kennedy School che, in un contesto di polarizzazione e sfiducia più alti che mai dalla Guerra di secessione, gli Usa «rischiano di andare all’inferno». Secondo la sua analisi infatti, i tassi di coesione politica, sociale e culturale negli Stati Uniti sono ai minimi dalla fine dell’Ottocento mentre la disuguaglianza economica è tornata al livello della Grande depressione degli anni Trenta.
«La crescente polarizzazione nella società americana è preoccupante, ma ancora più preoccupante è la svolta verso la normalizzazione della violenza politica. Gran parte di questa svolta può derivare da leader che normalizzano, incoraggiano o non condannano la violenza. La polarizzazione dell’elettorato è preoccupante, ma gli Stati Uniti sembrano anche muoversi verso una nuova normalità, con leader che promuovono la rappresaglia piuttosto che la de-escalation, in netto contrasto con i conflitti della generazione precedente», commenta a TPI il politologo Ruggles.
Spettri del passato
Il rischio è che l’escalation sfoci nella violenza aperta. «L’attuale momento politico è in forte sintonia con gli anni ’50 dell’Ottocento», aveva denunciato lo storico Kevin Waite dell’Università del Texas a Dallas dopo l’omicidio Kirk. «La Guerra Civile fu davvero uno scontro tra vicini e fratelli che combattevano tra loro. Ciò a cui stiamo assistendo ora negli Stati Uniti è una polarizzazione disumanizzante, frutto di un nazionalismo contrario all’immigrazione e di un tribalismo partigiano», ammette Ruggles. «La violenza politica dovrebbe essere ritenuta responsabile, ma la tragica morte di Kirk non può diventare un’opportunità per incitare ulteriore polarizzazione e divisione. Finché la demonizzazione dell’avversario sarà la risposta dei leader di partito agli orrori della violenza politica, la situazione americana rischia un’escalation incontrollabile». L’ultimo studio della UC Davis in merito rivela che poco meno di un terzo degli americani ritiene «giustificata» la violenza politica. Anche se il 5,7% degli intervistati prevede «una guerra civile nei prossimi anni» e il 3,8% è convinto che «sia necessaria», meno del 2,6% si è detto disposto a compiere atti violenti di persona. Eppure, secondo i dati raccolti da Acled, «l’attività estremista negli Usa è ai minimi degli ultimi cinque anni».
Pare più una questione di potere. «Ci sono sicuramente dei parallelismi con gli anni ’50 dell’Ottocento ma anche delle sottili differenze», conclude la politologa Blum. «Allora sia i Whig che i Democratici si sforzavano di tenere fuori dal tavolo un tema, la schiavitù, su cui la discussione era promossa da un nuovo partito, i Repubblicani. Oggi non c’è un nuovo movimento che imponga all’ordine del giorno un problema che la politica cerca di ignorare». Al contrario, secondo l’esperta, «l’attuale crisi costituzionale sembra avere più a che fare con la possibilità di limitare il consolidamento del potere da parte di Trump e se questo comprometterà le caratteristiche fondamentali della democrazia americana contemporanea: elezioni regolari ed eque, suffragio universale, libertà di espressione, libertà dalle istituzioni religiose e il limite al ricorso ai militari contro i civili da parte del governo».