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Home » Esteri

Il sadico gioco virtuale in cui le ragazze vengono umiliate dopo essere state sedotte

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Si chiama "pull a pig" ed è solo l'ultima trovata in fatto di bullismo 2.0, il crudele gioco che prende di mira una ragazza "bruttina", abbordandola, riempiendola di complimenti, per poi bullizzarla e umiliarla, in pubblico o in privato

Pull a pig. Inganna il maiale. È solo l’ultima trovata in fatto di bullismo 2.0. Si sceglie con attenzione la vittima, che sia possibilmente la più bruttina del gruppo, quella col fisico meno perfetto. La si abborda, riempiendola di complimenti, facendola sentire desiderata, promettendole mari e monti, se non amore eterno, e una volta che la si è fatta cadere nella crudele trappola, la si umilia, la si bullizza, in pubblico o in privato, deridendola per il suo aspetto fisico, per la sua creduloneria, per il suo essersi fidata di qualcuno che con lei stava solo affilando le armi del suo sadismo.

Di stupri virtuali, di haters incalliti, di shitstorm, di insulti crudeli spacciati per black humor ne avevamo già parlato nei mesi scorsi. Oggi è il turno dell’ennesima geniale idea partorita in un ambiente intriso di cyberbullismo, e sì, di sessismo.

Il fenomeno non è solo italiano. Ormai da qualche settimana media statunitensi ed europei stanno riportando testimonianze e racconti di chi, il “maiale” di turno, come viene definito dai suoi aguzzini, ha vissuto “il gioco” in prima persona.

Il 18 ottobre, Selvaggia Lucarelli, giornalista e scrittrice tra le più attive in Italia contro il cyberbullismo nelle sue varie sfaccettature, ha pubblicato la storia di Irene, vittima italiana tra le prime a raccontare in prima persona cosa le è successo, dopo che un ragazzo conosciuto su Facebook, ha iniziato a corteggiarla.

“Mi diceva che la mia riservatezza lo attirava. Mi ripeteva cose carine, mi coccolava, mi faceva sentire desiderata, nonostante in quel gruppo Assia e altri facessero spesso battute sul mio peso che in alcune mie foto di Facebook era abbastanza evidente”.

“Io, che pesavo 50 chili più di adesso, per due mesi sono stata intortata dalle sue moine e alla fine ho ceduto alla sua proposta di vederci”, si legge nell’articolo del Fatto Quotidiano. Ad un certo punto della storia, racconta ancora Irene, iniziano a comparire sue foto in situazioni intime, meme e insulti. Era tutto studiato. Irene era stata vittima del perverso gioco dell’umiliazione. Oggi Irene è uscita da quella storia mostruosa, a certe cicatrici sono dure a scomparire. Perché parlarne? Per mettere in guardia potenziali nuove vittime, che ingenuamente pensano di avere a che fare con un ragazzo veramente interessato a loro.

La sua storia è simile a tante altre.

I media britannici si sono occupati nei giorni scorsi di Sophie Stevenson, una 24enne britannica che era stata vittima dello stesso gioco da parte di un ragazzo olandese, Jesse Mateman. I due si erano conosciuti a Barcellona e avevano anche fatto sesso.

La storia è andata avanti, con sms, telefonate e promesse. Lei si reca ad Amsterdam per rivederlo ma lui non si fa trovare nel luogo dell’appuntamento, mandandole uno squallido messaggio con l’emoticon di due maiali: “era tutto uno scherzo”.

“È imbarazzante, è umiliante. L’unico motivo per cui ho parlato di questo è perché non voglio che accada ad altre ragazze”, ha raccontato Sophie. La ragazza era stata scelta dal suo “corteggiatore”, in accordo con alcuni amici”, perché era “la più brutta e grassa”, del locale.

Così, per divertimento. Per una scommessa. Alcuni giorni dopo Jesse ha raccontato la sua versione dei fatti: è stata Sophie a inventarsi tutto, lui non le aveva promesso nulla dopo la prima notte insieme”. In una versione precedente il ragazzo aveva negato perfino di aver fatto sesso con lei.

Giochi crudeli del genere, tra amici che si credevano “fighi”, probabilmente sono sempre esistiti. Milioni di donne, da sempre, si sono illuse di aver conquistato l’uomo della loro vita per poi non ricevere nemmeno una telefonata, per poi essere “scaricate” senza pietà. Quello che fa si che oggi cose del genere siano ancora più deleterie è la dimensione virtuale, e potenzialmente illimitata, dell’umiliazione. Pubblicare un’immagine imbarazzante, un meme, un insulto, equivale a far sì che il mondo intero la veda.

E la dimensione “organizzata” del fenomeno, con una strategia studiata in partenza, con una vittima presa di mira ad hoc, con dei gruppi Facebook creati con l’apposito intento di bullizzare ignare vittime, rende tutto lo scenario ancora più raccapricciante.

Ed è il fatto che fatti del genere suscitino tanta ilarità in molti, risate, furbi sberleffi, a far montare la rabbia.

Il risultato? L’autostima della malcapitata, colpevole di essere stata considerata “la più brutta” della serata, crolla, e per rialzarla non basteranno le scuse, non basterà la solidarietà di amiche e amici, non basterà convincersi che chi fa dei giochi del genere è una persona marcia, e non merita neanche la lontanissima considerazione. No, le conseguenze di un’umiliazione del genere non hanno limiti. Come non hanno limiti la cattiveria umana, la bassezza, la superficialità di questi nuovi “fighi”, leoncini da tastiera, “maiali” 2.0.

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